20. Assassini e latitanti

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– Ehi voi, fermi! – sentivamo urlare furiosamente.

Ci guardammo negli occhi e mi feci forza.

– Andiamo, carne molle, – mi disse lei con complicità.

Riprese a correre e, stavolta, insieme a me. Provavo ancora fatica e dolore dalla battaglia, ma stava lentamente passando.

Hako, alleggerita, riuscì a correre molto più velocemente di prima. In quel modo, seminare i soldati divenne davvero possibile.

La distanza fra noi e le truppe appesantite dalle armature iniziò ad aumentare, avvantaggiati dall'esser privi di carichi pesanti. L'importante allora era restare a galla abbastanza a lungo, senza fermarci mai.

– Dove dobbiamo andare? – chiese Hako.

– La città sul promontorio. È più vicina del mio villaggio, – dialogammo con voce alta e interrotta dai profondi respiri a cui la corsa ci obbligava.

– Quanto tempo potremmo metterci?

– Non lo so... abbiamo impiegato quasi due giorni netti per raggiungere il tuo accampamento camminando. Se continuassimo a correre potremmo arrivare addirittura stanotte.

– Bene, – mormorò.

– Cos'hai intenzione di fare ora con quel filamento?

– Non lo so. Non ho mai trovato un modo per distruggerlo.

– Alla città sul promontorio ci sono diversi fabbri molto esperti, forse possono aiutarci.

– Dubito... ma intanto scappiamo.

Continuammo a correre all'incirca per un quarto d'ora senza darci tregua. Non avrei mai potuto fare uno sforzo simile se non avessimo avuto delle truppe armate determinate a farci la pelle, ma a un certo punto fummo obbligati a fermarci per recuperare le forze.

I soldati erano ormai completamente seminati e anche il percorso che facemmo ci aiutò. Cambiammo più volte direzione per confonderli e cercammo di farci occultare dagli elementi della foresta stessa.

Era pieno pomeriggio quando ci accasciammo al suolo per riposare e riprendere fiato. Saremmo ripartiti forse non di corsa, ma sicuramente a passo svelto, appena ci saremmo potuti rialzare.

Sia io che Hako usammo un albero dietro di noi per appoggiarvi la testa.

Lei prese a parlare dopo qualche dozzina di secondi di profonda ansima:

– Keiko...

– Sì? – parlavamo a fatica.

– Cos'era quello?

– Quello cosa?

– Durante il combattimento, la spada...

– Ah sì... Non lo so. Ho solo messo la mano davanti alla lama e quella è stata respinta.

– Quel tuo colpo di scena ha salvato entrambi.

– Io?

– Sì... difficilmente avremmo vinto senza quella mossa. Erano i tuoi poteri quelli, l'hai capito, vero?

Annuii e, nel mio affaticato silenzio, ne diedi conferma.

– Non l'ho fatto apposta, ho avuto fortuna.

– Spesso l'uso dei poteri emerge istintivamente. È come usare un normale arto, viene spontaneo.

– Se lo dici tu...

– Il tuo cuoricino da carne molle mi ha fatto faticare di più nella corsa, ma è grazie a te se il soldato si è trovato impreparato. Non si aspettava che avessi dei poteri, e in un attimo è passato dall'essere in vantaggio al non avere più speranze di vittoria.

La forgiatrice di lame ⅠWhere stories live. Discover now