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Incinta.
Beth non se ne faceva capace.
Una giovane vita le stava crescendo in grembo.
Una piccola persona sarebbe stata la sua progenie.
E lei era completamente sola.

Alec non si era più fatto vivo e il bambino poteva solo essere suo, non c'erano altre spiegazioni. Non sapeva nemmeno che fine avesse fatto, dove si trovasse al momento. Non l'aveva visto dal funerale, sentito da molto tempo prima.

Era terribilmente spaventata dalla sua reazione, di essere allontanata come Serena, di divenire una pessima madre e ritrovarsi a crescere una persona da sola, senza poter contare sull'aiuto di nessuno.

Era terrorizzata dalle reazioni dei suoi genitori, si sarebbero preoccupati per la sua incolumità se avessero saputo del suo ricovero. Così aveva deciso di tenere tutto nascosto, di non farne parola con anima viva.

A Clemence, che naturalmente l'aveva aspettata fuori dall'ospedale, aveva propinato la più banale delle scuse, e non essendo un medico ci aveva creduto. Bethsabea si era sentita in colpa, ma non avrebbe potuto fare altrimenti.

Il primo a saperlo doveva essere Alec, il padre, responsabile tanto quanto lei.

Aveva provato davanti allo specchio varie versioni del discorso che avrebbe voluto fargli, ma davanti la porta del suo appartamento a Belfast, dove Ryan le aveva detto che ancora si trovava, era rimasta immobile con un vuoto di memoria, senza il coraggio di bussare.

Per fortuna Alec le aveva risparmiato questo arduo compito spalancando improvvisamente la porta e rischiando di urtarla mentre usciva distrattamente da casa.

Aveva un aspetto alquanto trasandato, i capelli erano cresciuti ancora e i suoi occhi chiari erano freddi, spenti, assenti.
La osservava curioso, quasi chiedendosi il motivo di quella visita improvvisa.

"Devo parlarti" esordì la donna senza troppi giri di parole, senza nemmeno salutarlo ma introducendosi direttamente all'interno dell'abitacolo.

Non aveva minimamente tenuto conto del fatto che avrebbe potuto trovarci qualcun altro all'interno, che avrebbe potuto intraprendere un'altra relazione, ma per fortuna era vuoto.

Alec non parlava, la scrutava semplicemente senza recepire le parole che lei aveva appena pronunciato, consapevole che non avevano nulla da dirsi, in particolar modo dopo tutto il tempo che era trascorso.

Il suo sguardo era di arrogante superiorità mentre Beth si metteva seduta sul divano e incitava lui a fare lo stesso, perseverando in quell'imbarazzante silenzio.
Ma la giovane era consapevole -e d'altra parte glielo leggeva negli occhi freddi, spenti, assenti- che quella era solo una maschera. Il suo scopo era mascherare il dolore, la delusione, la perdita della madre.

Beth cercava le parole migliori per metterlo a conoscenza della sua condizione, per fargli sapere che stava per diventare padre di nuovo ma che lo avrebbe voluto al suo fianco in ogni istante, ma non sapeva dove iniziare.

Avrebbe potuto prendere il discorso alla larga, parlare di bambini, di padri, di Rebecca, ma non era sicura che sarebbe stato a sentirla tutto il tempo necessario perché lei arrivasse al punto. Probabilmente nemmeno i suoi nervi le avrebbero retto il gioco.

"Sono incinta" disse dunque, chiaro e conciso, il culmine a cui l'avrebbe portata qualsiasi discorso sterile. Erano solo due parole, dovevano solo essere accettate.

Alec continuava a non parlare, ma in compenso si era seduto sulla sedia, lontano da lei.
Aveva le sopracciglia aggrottate e respirava pesantemente, quasi con la necessità di incamerare aria per scacciare quella notizia che oramai si era sparsa nella stanza e non sembrava intenzionata ad abbandonarla molto facilmente.

Beth era consapevole di aver appena sganciato una bomba ad orologeria, che qualsiasi reazione sarebbe stata esagerata, diversa da come lei se la sarebbe aspettata. Sperava solamente che Alec capisse.

"È... mio?" domandò solamente, ma quelle parole ebbero il potere di distruggerla.

Aveva una così alta opinione di lei che temeva di non essere il padre, che lei fosse stata con qualcun altro nel lasso di tempo in cui si erano bellamente ignorati, o magari mentre si frequentavano?

Beth fece la faccia più schifata del suo repertorio, probabilmente non aveva mai riservato a nessuno lo sguardo che i suoi occhi di fuochi stavano lanciando ad Alec, pronti a colpirlo e fargli del male perché se l'era meritato.

"Non volevo insinuare nulla" si affrettò a giustificarsi, paradondosi le mani davanti quando la vide in procinto di abbandonarlo lì in mezzo.

"Sì, è tuo, perché il mese scorso non hai messo il preservativo" gli addossò tutta la colpa nonostante quella sera lei fosse molto brilla e non ci avesse nemmeno fatto caso. Non era da lei, ma oramai il dato era stato tratto.

"Non mi pare tu me l'abbia ricordato" puntualizzò l'uomo afferrandola per un braccio.

Si guardavano negli occhi ed erano entrambi arrabbiati poiché ognuno cercava di scaricare le colpe sull'altro.
L'arroganza e la prepotenza di Alec erano papabili in ogni suo muscolo, dalla mascella contratta alla presa ferrea con cui l'aveva inchiodata al centro della cucina e che non accennava ad allentare.

In quel momento accadde qualcosa, ma nessuno dei due la comprese.

Come una scintilla che fa finalmente scoppiettare le fiamme di un fuoco, così uno sguardo di entrambi si trasformò nel bacio che divenne la coronazione del loro amore.

"Giurami che non mi lascerai più" lo pregò Bethsabea rifugiandosi nel suo abbraccio e lasciando che la prendesse in braccio per adagiarla dolcemente sul divano.

"Giurami che mi amerai per sempre, che imparerai a farlo" pianse la giovane stringendogli forte le mani, timorosa che potesse fuggire da lei, da loro.

"Penso che questa sia l'unica notizia che mia madre avrebbe voluto" le rispose Alec con le lacrime agli occhi mentre le lasciava una lunga scia di baci sul ventre scoperto.

Poi la guardò intensamente negli occhi e le disse "Te lo giuro, Bea".

E quello fu il loro momento.

Avrebbero avuto molto da imparare entrambi, innanzitutto a conoscersi, poi a convivere, ad accettarsi. Avrebbero dovuto imparare ad amarsi.

Perché noi impariamo ad amare non quando incontriamo la persona perfetta, piuttosto quando arriviamo a vedere in maniera perfetta una persona imperfetta.

N.d'A.

Quella che ho scelto come frase di chiusura -spero apprezziate- e da attribuire a Sam Keen, scrittore e filosofo tedesco. Ho voluto terminare in questo modo perché nella maggior parte dei capitoli -e in questo in particolare- ho sottolineato l'arroganza, la sfrontatezza, la prepotenza di Alec, dunque volevo giustificare il mio averlo descritto troppo spesso in cattiva luce.

Ormai ci siamo, questo è ufficialmente l'ultimo capitolo; sono grata a coloro che sono arrivati fin qui, mi avete reso davvero contenta!

Ovviamente ci sarà un epilogo perché queste due testoline meritano qualcosa in più, mi sembrava giusto dar loro un bel finale, che arriverà nei prossimi giorni 💘

flyerthanwind

Figlia di un giuramento (o forse due)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora