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«Come hai fatto a uscire da scuola senza che ti notassero?»
«Sono magico, Gee.»
Gerard sorrise, scuotendo poi la testa per via del mio comportamento. Era pur sempre un professore.
«Non mi può mettere nemmeno una nota, visto che non è più il mio professore» Gli feci la linguaccia e mi allontanai da lui, che invece scattò verso di me e mi afferrò con le sue braccia.
«Posso invece.»
«Ah sì?»
«Certo, c'è scritto nel regolamen-»
«Ma fanculo alle regole Way» Risi tappandogli la bocca con una mano, e potei sentire il suo sorriso allargarsi attraverso le mie dita.
«Sei un alunno odioso.»
«Senti chi parla!»
«Se non sono simpatico perché stai con me?» Chiese, fingendosi offeso. Ma non sapeva proprio fingere, oh no.
«Perché... perchè sei carino.»
«Carino. Io?» Sbuffò una risata.
«Già, scusa. Volevo dire che sei un figo pazzesco» Mi corressi, facendogli l'occhiolino.
Lui arrossì e lo trovai troppo adorabile.
«Sei adorabile.»
Ecco, glielo dissi.
«Dimmi qualcosa su di te, Frank» Disse, invertendo la rotta della conversazione.
«Mi piacciono i piercing, i tatuaggi, la chitarra, tu, i cani, le cinture vistose e la lingua a metà.»
Lo vidi sorridere al "tu", dopo rimase scioccato dall'ultima cosa della mia lista mentale.
«Lingua a metà?»
«Sì, lingua a metà» Tirai fuori la lingua e con un dito segnai una linea invisibile in mezzo ad essa.
«Cosa diamine- è un'altra moda perversa?»
«Moda perversa?! Dio, sei vecchio!» Scoppiai a ridere mettendomi una mano sulla pancia, che ancora un po' mi faceva male.
«Quanti anni hai?» Gli chiesi subito dopo, curioso.
Lui esitò solo per un attimo, «Trentuno».
«Sai, io ad ottobre ne faccio diciotto» Sorrisi spontaneamente e mi ficcai sotto le sue braccia, stringendolo forte quanto potevo.
Lui rimase immobile i primi secondi, forse era sorpreso, ma dopo mi accarezzò la schiena e mi strinse a sè.
«Sei piccolo»
«No!» Mi allontanai per guardarlo negli occhi, con la fronte corrugata.
Lui rise silenziosamente alla mia reazione. «In confronto a me lo sei, Frank...»
Mi irritai per quello, ma solo perché sapevo fosse la realtà. Rimasi un momento in silenzio a fare dei calcoli, poi ribattei tutto convinto, «Abbiamo solo tredici anni di differenza.»
«Solo?» Mi disse lui, sorridendo, probabilmente divertito dal mio inutile tentativo di dare un senso alle cose che non ce l'avevano e che per me potevano anche rimanerne senza.
«Non importa Frank, ormai abbiamo deciso. E poi c'è una cosa molto positiva: potrò aiutarti a fare scelte più mature.»
Se me l'avesse detto un professore qualsiasi, con una di quelle voci robotiche e senza sentimento tipo quelle degli assistenti vocali, e un'espressione saggia, l'avrei beatamente mandato a cagare.
Ma me l'aveva detto il mio professore.
Il mio Gerard.
E aveva usato un tono profondamente dolce e sincero.
Senza toni di superiorità e saccenza.
Solo un pensiero uscito dalla sua bocca, puro e senza la scelta delle parole. Un pensiero per me.
«Hai ragione» Gli sorrisi, e lo strinsi forte, ancora di più.
«Gerard, ti posso dire una cosa strana?»
«Suppongo di sì» Rispose, ridacchiando.
Io appoggiai il mento alla sua spalla, mentre ancora eravamo in piedi e abbracciati, stretti dalle nostre braccia.
Volevo dirgli cosa provavo. Cosa provavo per lui.
Forse facendoglielo capire, con tante parole, forse riassumento il tutto con una semplice parola.
Ma si sarebbe accontentato?
Anzi, avrebbe capito?
Forse un po', ma non avrebbe appurato delle cose.
«Anzi, tante cose strane.» Precisai, esitando ancora un po'.
Lui annuì e basta, carezzandomi lentamente la schiena con la punta delle dita, pronto ad ascoltarmi.
E questo - il suo silenzio, la sua comprensione, la sua attenzione - forse mi metteva più ansia.
Però ormai dovevo dirlo. Non riuscivo più a tornare indietro. Ce l'avevo in gola.
«Hai presente quando ti appassioni a qualcosa senza accorgerti di nulla? Nel senso che, provi quella cosa un paio di volte, e dopo diventa una dipendenza?
Come le sigarette, ecco. Una volta preso il vizio, non riesci a smettere. Non riesci e non vuoi che qualcuno ti aiuti.»
Dissi tutto in fretta, affidandomi soltanto alla mia mente e ai miei pensieri ed elaborandoli a parole forse spicce, ma che a dirle provavo difficoltà.
«Come quando passi davanti a un mercatino rock ma non hai abbastanza soldi per comprare un vinile o la maglietta della tua band preferita. E faresti di tutto pur di averla, la ruberesti o imbroglieresti il tipo che le vende.» Non osavo spostare la testa dalla spalla di Gerard, perché non volevo che mi vedesse, non volevo che leggesse tutto già nei miei occhi e che lo decifrasse in maniera sbagliata tanto da spaventarsi.
Io mi spaventavo per quello che provavo. Perché era tanto, e non l'avevo mai provato, e forse non avevo la capienza giusta per contenere quei sentimenti ma, avrei rischiato.
«Come quando ti regalano la tua prima macchina e diventa improvvisamente la cosa più bella del mondo, e ti senti fortunato, molto fortunato, e la curi come se fosse un pezzo di te.»
Non vedevo le sue espressioni e anche questo mi spaventava, ma ormai mi ero rilassato, ormai le parole uscivano e basta.
Lui rimaneva fermo, forse aveva capito.
«Come quando fai una selezione di tutte le persone che riempiono la tua vita e solo allora ti accorgi di quella che fa davvero la differenza.»
Gerard si scostò appena, sapevo, lo sapevo che voleva vedere la mia faccia. Io lo lasciai fare, ma non lo guardai.
Se avessi spostato lo sguardo da quel muro bianco, mi sarei distratto; se avessi incontrato i suoi occhi, avrei perso il coraggio di parlare.
«E ti accorgi di dover fare di tutto per far sì che quella persona resti e continui ad apprezzarti per quello che sei.»
Lui spostò una mano sul mio viso, mi sollevò il mento con il pollice e fece incontrare i nostri occhi.
Il suo sguardo dolce e il piccolo sorriso sulle sue labbra erano inaspettatamente rassicuranti.
«Con questo, Gerard, voglio dire che per te provo tante cose che non ho mai provato per nessuno, e sono tutte dannatamente positive. Per quanto agli occhi degli altri questa scelta possa essere sbagliata. Ma lo sai che a me non è mai fregato nulla del parere degli altri» Non distolsi lo sguardo dal suo ma mi premetti contro il suo petto per paura di essere respinto.
Fece per dire qualcosa, ma volevo continuare, così lo bloccai per un momento scuotendo la testa.
«Non so quale sia la parola giusta che racchiuda questi sentimenti. Non voglio dire qualcosa che sia troppo banale. Voglio che tu capisca a pieno quello che sento per te» Misi una mano sul suo petto e nel frattempo lui mi accarezzò i capelli.
«Ti ascolto, Frankie. Voglio sentire tutto quello che hai da dirmi.»
«Provo queste cose e non voglio smettere di farlo. Non voglio eliminare o cambiare nulla. Non cambierei le nostre vite solo per poterti avere con me senza difficoltà.
E soprattutto non rinuncerei a te per gli ostacoli che siamo costretti ad affrontare. Invece rinuncerei a qualcosa che possa giovare al nostro rapporto»
«Tu, Frank, tu devi solo pensare a te stesso. Io sono responsabile di quello che tu fai, tralasciando adesso il ruolo di docente. Non voglio che tu ti senta in difficoltà, che tu cambi le tue abitudini o che tu spenda meno tempo nelle cose che ami o che devi fare per il tuo futuro.
Devi pensare a te e ti prometto che io penserò a noi al tuo posto.»
Mi morsi le labbra, ero nervoso. Nervoso perchè mi era difficile credere di star parlando con lui di queste cose, che lui ricambiasse i miei sentimenti e li trovasse così importanti da lasciarmi fare la mia vita e aspettarmi ancora.
«Gerard ti amo.»
Mi sorrise. Aveva un sorriso sottile e i denti piccoli.
Bellissimo.
Mi diede un bacio sulla fronte e per un momento pensai che non volesse rispondermi. Ma dopo potei sentire il mio cuore sospirare di sollievo.
«Anche io, Frank»

𝗛𝗼𝘄 𝗦𝗵𝗼𝘂𝗹𝗱 𝗜 𝗖𝗮𝗹𝗹 𝗬𝗼𝘂?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora