Capitolo 17. Silenziosamente

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Maggio 2019, Monaco

Aprii gli occhi e mi resi subito conto di avere mal di testa, dovuto non solo al dopo sbornia ma anche al fatto che qualcuno ci svegliò, bussando in maniera incensante alla porta. Charles si alzò, infilandosi in fretta i pantaloni che trovò a terra e andando ad aprire. Io invece, mi tirai il lenzuolo fin sopra la testa, odiandomi per aver bevuto troppo.

«Mamma!» sentii urlare improvvisamente Charles, cadendo dal letto nel tentativo di alzarmi velocemente. Rimasi impigliato nel lenzuolo, combattendoci contro finché non riuscii a liberarmi. Corsi in bagno, chiudendo la porta a chiave e appoggiandomici contro. Sospirai, imprecando sottovoce. Ci mancava solo sua madre, considerando il casino che era diventata la nostra relazione. Mi chiesi se avessimo ancora una relazione, considerando la discussione che avevamo avuto la sera prima. Ricordavo tutto, anche se ero ubriaco. Ricordavo tutto e non mi pentivo di niente, tranne forse del fatto che Charles fosse finito in lacrime.

Dopo Baku e quel maledetto tweet  le voci su di noi aumentarono, nonostante Charles avesse rilasciato delle interviste, negando tutto. Le cose si complicarono ulteriormente quando rientrò in scena Giada, a detta sua preoccupata per Charles, considerando le sciocchezze che dicevano su di lui. Insomma, lei avrebbe potuto confermare che Charles era etero, come se nel 2019 le sfumature sessuali fossero di carattere mitologico. E lui, chissà per quale motivo, la riaccolse nella sua vita. Tutto ciò mi fece andare letteralmente fuori di testa.

***

«Ci sarà anche Giada alla gara.» gli dissi leggendo casualmente l'ultimo messaggio che aveva ricevuto. Lui mi strappò il telefono dalle mani, leggendo a sua volta.

«Io e Giada siamo amici.» mi informò, come se fosse una cosa scontata che la sua ex ci sarebbe stata. Amici, sì certo! Lei non vedeva l'ora di ritornarci insieme, ne ero certo. E credo che in cuor suo lo sapesse anche Charles.

«Ah.»

«Andiamo, non cominciare!»

«Non sto cominciando a fare n i e n t e!» gli risposi alzando la voce, poi mi alzai e andai in camera, sbattendo la porta. Lo sentii urlare qualcosa, ma non provai nemmeno a capire cosa.

Troppo nervoso per poter condurre una conversazione civile, decisi di accettare l'invito di Caterina ad uscire. Era il martedì prima della gara a Monaco, la città era in fermento ed io avevo una strana voglia di fare casino. Quando uscii sapevo non sarebbe andata a finire bene, ma lo feci comunque. Charles mi chiese dove stessi andando e cercò di fermarmi, senza però riuscirci.

Non conoscevo Monaco, considerando che quella era la terza volta che ci andavo, però con l'aiuto di Google Maps riuscii a raggiungere il posto dove dovevo vedermi con Caterina. Assieme a lei c'erano alcune sue amiche; si presentarono ed io dimenticai subito i loro nomi. Volevo solo bere per dimenticare, e lo feci. Shot dopo shot cominciai a sentirmi più leggero. Cominciai a maturare la convinzione che Charles Leclerc poteva anche andare a farsi fottere! Ed ero così convinto di ciò che lo chiamai, ignorando il fatto che fosse l'una passata. Il telefono squillò per cinque volta, poi sentii la sua voce allarmata.

«Niccolò!»

«Charles, vaffanculo!» gli dissi «Non mi meriti sai? Non ti meriti nemmeno metà di quello che provo per te, perché se veramente tu provassi anche solo la metà di ciò che provo io per te, a quest'ora tutti saprebbero. Tutti! E Giada? Non sarei nemmeno qui a nominala...invece...»

«Dove sei? Ti sto cercando da ore.»

«Non vog...»

«Dove cazzo sei? Non mi interessa se vuoi o meno vedermi, basta che ti fai venire a prendere e torni a casa.» mi disse non facendomi parlare. «Ti prego.» aggiunse sospirando.

Mi venne a prendere nemmeno un quarto d'ora dopo, prendendosela con Caterina per lo stato in cui mi ero ridotto. Provai in vano a difenderla, perché in fin dei conti non centrava niente, ma Charles non mi lasciò nemmeno parlare. Ritornammo a casa in silenzio, lui visibilmente incazzato, io confuso e con un gran mal di testa.

«Sei stato davvero uno stronzo.» mi disse tamponandomi i capelli con l'asciugamano. La doccia che mi feci non aiutò a molto, se non a farmi ricordare il giorno seguente quel momento terribilmente angosciante.

«E perché mai?»

«Credi davvero che io non ti ami tanto quanto tu ami me?»

«Mi pare ovvio! Andiamo, non puoi nemmeno azzardarti a dire che non è vero.» dissi strappandogli l'asciugamano dalle mani e andandomene verso la camera da letto. Lui mi seguì, tirandomi un braccio e costringendomi a guardarlo.

«Non sai cosa sto provando in questo momento...»

«No Charles, probabilmente non lo so. Ma so cosa sto provando io! Mi sento come se gli ultimi mesi della mia vita fossero solo una stupida bugia, come se noi non fossimo altro che una bugia!» dissi, sorridendo tristemente. «Hai ventitré anni cazzo, prenditi le tue responsabilità! La persona che ami, o che dici di amare, ti sta letteralmente sfuggendo tra le dita...e tu non fai niente. Amare significa mettere il bene dell'altra persona prima del tuo, alcune volte.» Mi fermai a guardarlo, vedendo nei suoi occhi qualcosa cambiare. «Io non credo di farcela così, non perché non ti ami, ma perché tu non ami te stesso abbastanza per ammettere a tutti che sei felice con me, con un ragazzo! Cazzo, non c'è niente di male! Vuoi smetterla di fare il bambino? Ecco, questa è la tua opportunità.»

Una lacrima girò il viso di Charles, poi le sue guance si ricoprirono completamente di lacrime.

«Non posso.» sussurrò. Non so se fu per la quantità di alcol che avevo in circolo o perché non volevo apparire patetico, ma non piansi. Annuii, semplicemente annuii. E altrettanto semplicemente me ne andai a letto.

***

«Niccolò.» mi chiamò Charles bussando alla porta del bagno. Ero rimasto appoggiato a quella maledetta porta per tutto il tempo, con le ginocchia al petto e la testa piena di pensieri negativi. «Puoi uscire?» mi chiese ed io lo accontentai.

Ci perdemmo l'uno degli occhi dell'altro per tutto il tempo, e non servirono parole perché i nostri corpi sapevano benissimo cosa fare. Le sue mani accarezzarono i miei fianchi, le mie invece finirono tra i suoi capelli. Le nostre labbra come magneti si unirono. Ci incastrammo, ci scontrammo, mi fece suo ma non mi sentii davvero suo. Steso sul letto, con le gambe attorno alla sua vita e lo sguardo perso sul soffitto, capii che non sarei più stato suo. Mi penetrò con spinte sempre più decise, ma non fu per il dolore che cominciai a piangere. Fu l'orgasmo a farmi piangere, perché non capivo come potesse il piacere essere così amaro. Come faceva l'amore a fare così dannatamente male.

Ci lasciammo senza dircelo, cosa che in parte apprezzai perché non avrei accettato di sentirmelo dire. Ci lasciammo e qualche ora dopo, quando ci vedemmo ai box, capii che era impossibile lavorare insieme. Ci lasciammo e lui, come uno stupido, fece una gara di merda e andò a muro.

Ci lasciammo, per il momento.

Scintille || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora