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#panicopaura


In questi giorni ho riflettuto molto su quello che mi è successo. E, in un certo senso, non riesco ancora ad ammetterlo a me stessa.
Marta non si fa più vedere nei corridoi e, da quello che mi ha detto Edward, nemmeno in casa. Gabriel mi lancia occhiate strane, come se in uno sguardo potesse dire "Ti prego perdonami ma non perdonarmi nemmeno". Mi sono fidata di una persona che credevo fosse dalla mia parte; inizio anche a pensare che si sia avvicinato a me, un anno fa, solo per arrivare a Andy.
Stupida, stupida Katniss!
Nel mio inconscio continuo a sperare, comunque, che il lieto fine possa arrivare anche ad una povera anima fessa quale sono.

Ficco le mani nelle tasche del giacchetto di jeans, abbellito da me con le toppe floreali, e lancio un'occhiata al piccolo bar alle mie spalle dalla quale esce un lieve profumo di caffè mischiato ad una melodia jazz. Mi ha sempre ricordato i clown, il jazz. E non chiedetemi perché.

Accendo la schermata del cellulare più volte in modo quasi morboso, ma lo metto nella tasca dei pantaloni a pois e incrocio le braccia al petto dopo essermi messa l'anima in pace. Aspetta, però. Sono in orario vero? L'incontro era alle quattro e mezza, quindi calcolando che è il primo incontro e che probabilmente verrà in macchina e che ci sarà sicuramente traffico e tutto il resto...
Okay Kat, adesso smettila. Una vera donna sa gestire le proprie emozioni!

Anche se non sono proprio una donna perché quando mi capita di guardare la tv finisco con gli occhi incollati allo schermo davanti ai Baby Looney Tunes.

Ma non stavamo parlando di questo, Katniss!

«Ehm. P-posso salutarti?»

Caccio un urletto e mi giro giusto in tempo per vedere il suo volto stranito e divertito allo stesso tempo. Sembra proprio che il Karma provi un'infatuazione molto forte nei miei confronti.

«Io... Certo.» sorrido imbarazzata. Il cuore scalpita nella mia gabbia toracica e le mani iniziano a sudare senza sosta. E' esattamente come me lo ricordavo: non troppo alto, gli occhi grandi e scuri e i capelli arruffati sulla fronte con un accenno di calvizie sulle tempie. Si avvicina goffamente a me come se non avesse mai avuto nessun contatto con un altro essere umano, mi da un leggero bacio su una guancia e poi sull'altra.

«Credevo che non ti avrei più rivisto.» ammette a bassa voce allontanandosi di nuovo.

Sorrido a quello che sarebbe dovuto essere mio padre; a quello che avrebbe dovuto accompagnarmi il primo giorno di scuola con una mazza da baseball in mano per allontanare i ragazzi troppo indiscreti, colui che avrebbe dovuto insegnarmi a giocare a football nonostante odiassi ogni tipo di attività fisica. L' uomo della mia vita, l'uomo che avrei amato più di tutti gli altri.

Ma nonostante non abbia fatto niente di tutto questo, mi viene da sorridere. Perché anche se non c'è stato, c'è adesso. «E invece eccomi qua.»

Annuisce, penso che se continui a sorridere in questo modo possa rischiare di avere una paresi. Indica l'entrata del bar con un gesto lento della mano. «Entriamo?»

«Sì.»

Sembra andare tutto bene fino a quando non lo vedo scivolare in terra, esattamente con le natiche sul gradino dell'ingresso, avvolto da un' espressione sconcertata, come se non si fosse accorto delle dinamiche dell'accaduto. Sbatto le palpebre un paio di volte pressando le labbra.

Katniss non ridere. No, non farlo. Non ci prov-

«OH MIO DIO!» scoppio in una fragorosa risata che attira l'attenzione di tutti i clienti seduti ai piccoli tavolini rotondi; e anche quella del cameriere, che si avvicina apprensivo.

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