capitolo 1

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«Com'è andata?» chiese Namjoon. Li aspettava sulla soglia del grande edificio che camuffava l'Istituto lungo la trafficata strada di Seoul, mani nelle tasche dei bermuda verde militare e cappellino da baseball in testa.
«Tempo perso» replicò Taehyung. «C'è voluto più tempo a trovare il posto che ad esaminarlo» aggiunse. «E in ogni caso dovremo aspettare i risultati delle analisi dei Fratelli Silenti».

«Di certo c'erano le tracce di un incantesimo, come su tutti i siti precedenti» fece presente Jimin.
Namjoon sembrò soppesare per un momento le informazioni, con le labbra strette e la lingua che premeva sulla parete della guancia. «Capisco» disse infine. «Jiminie, tu va' pure. Volevo scambiare due parole con Taehyung».
Jimin guardò il suo parabatai e Taehyung annuì appena, per poi guardarlo allontanarsi senza emettere fiato, superando le porte di vetro.
Taehyung lo seguì con lo sguardo finché non sparì lungo le scale. Spostò gli occhi sul ragazzo di fronte a lui: «Hyung, che succede?»
«Jimin è molto preoccupato per te» esordì Namjoon.
«Lo so» ribatté l'altro ragazzo. Improvvisamente osservare gli anfibi della propria tenuta sembra un'idea alquanto attraente. «Ma credo anche che se avesse voluto parlarmene, lo avrebbe già fatto, no?» disse poi, trovando la spinta per tornare a guardare in faccia il capo dell'Istituto.
«Mi ha raccontato del responso dei Fratelli Silenti...»
«I Fratelli Silenti» ripeté fra sé Taehyung. Fece schioccare la lingua, stizzito. «Non sanno niente» disse più forte. «Dicono che probabilmente la mia amnesia è temporanea, ma non ne sono certi... Hyung, ti rendi conto? E cosa dovrei fare nel frattempo? E se la memoria non tornasse mai?»
«È per questo che volevo parlarti» ammise Namjoon. Gli tese un biglietto da visita. Taehyung gli diede un'occhiata perplessa. «Vorrei che incontrassi questa persona».
«Kim Seokjin?»
«È il nuovo sommo stregone di Seoul. Un amico. Sa fare il suo lavoro. Va' da lui quando te la senti, forse saprà dirti qualcosa...» prese un respiro profondo e continuò, mormorando, «che il Conclave non vorrebbe che tu sapessi».
Taehyung si mise il biglietto in tasca. «Grazie» rispose, non sapendo bene che altro dire in quella circostanza. «E tu come stai?» gli chiese.
Namjoon gli fece un mezzo sorriso. «Non devi preoccuparti per me». Gli diede una pacca sulla spalla e gli fece segno di entrare nell'edificio.

Jimin lo aspettava nella sua camera. Era seduto ai piedi del letto a gambe incrociate.
Taehyung riconobbe subito l'odore di biscotti al cioccolato, Jimin gli allungò un bicchiere di plastica pieno di gelato variegato al gianduia e coperto di biscotti più o meno sbriciolati.
Taehyung accettò l'offerta e si sedette accanto a lui senza dire una parola.
«Di cosa voleva parlare?» chiese Jimin, fra una cucchiaiata di gelato e l'altra. Doveva averlo rubato dalla cucina, probabilmente non aveva nemmeno ripulito il cucchiaio che aveva usato per prendere il gelato, né spolverato le briciole dei biscotti. Hoseok non ne sarebbe stato contento, se se ne fosse accorto.
«Niente di importante» mentì Taehyung. Jimin non chiese nient'altro in proposito, semplicemente si appoggiò alla sua spalla e continuò a mangiare. «Per fortuna non mi ha chiesto se avessimo trovato prove sul campo».
Jimin raddrizzò la schiena di scatto e lo sguardo con occhi spalancati. «Non hai intenzione di dichiararle?»
«Il Clave non sta dando peso alla faccenda, non si accorgerebbero nemmeno della mancanza di quei documenti» ribatté Taehyung.
«È contro la legge!»
«E con questo? In America, Jace Herondale e la sua comitiva hanno infranto metà delle leggi del Conclave e ora sono acclamati come eroi!»
«Loro hanno fermato una guerra! È diverso!»
«Ho bisogno del tuo aiuto!» Jimin lo guardò di traverso. «Devi tradurre quei documenti» continuò Taehyung.
«Non mi sembra una buona idea» replicò l'altro ragazzo. Strizzò il bicchiere di plastica, che si accartocciò nella sua mano, e si alzò dal letto, pronto ad uscire dalla stanza.
Taehyung scattò a sua volta e lo intercettò a metà strada dalla porta. Jimin sembrava sempre così piccolo accanto a lui, ma era di certo il più forte dei due, quando si trattava di forza di volontà: se davvero non aveva intenzione di aiutarlo, Taehyung sapeva di non poter convincerlo a cambiare idea, ma sentiva che valeva la pena tentare. «Il Clave non ci permetterà mai di vedere il contenuto di quei documenti se glieli consegniamo e basta! Stanno cercando di insabbiare qualcosa, è evidente! Altrimenti perché continuare a ignorare questi casi?»
«Queste sono solo delle tue congetture» ribatté Jimin.
«Senti, ne faremo una copia, okay? E consegneremo l'originale come prova se proprio vuoi».
Jimin prese un respiro profondo e girò lentamente su se stesso, soppesando la cosa. Alla fine si voltò di nuovo verso Taehyung: «E va bene» acconsentì. «Ma so già che me ne pentirò».

blood and memoriesWhere stories live. Discover now