capitolo 10

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L’acqua era fredda. Tanto fredda che Jungkook non riusciva a muovere gli arti.
Il sale gli bruciava gli occhi. Non riusciva a vedere la superficie.
Gli mancava l’aria. I polmoni gli bruciavano e si contorcevano cercando di spingerlo a prendere un respiro, ma non poteva. Se l’avesse fatto, si sarebbero solo riempiti d’acqua gelida.
Poi vide Taehyung. A qualche metro da lui. Il suo sguardo sembrava perso, vuoto, ma spaventato: fissava un punto alle spalle di Jungkook, allungò un braccio verso di lui.
Jungkook riuscì a piegare i muscoli irrigiditi del collo alla sua volontà, a voltarsi in quella direzione, solo per incontrare gli occhi spenti di Jin.
Era come se nessuno dei due lo vedesse davvero.
Il suo diaframma si contrasse dolorosamente.
Non riusciva a muoversi.
«Ud». La parola risuonò nelle sue orecchie come l’avesse pronunciata uno dei suoi amici. Stava perdendo la testa.
Un altro spasmo del diaframma lo piegò in due. Ora il suo sguardo era rivolto verso l’oscurità del fondale che si estendeva a decine di metri sotto di lui.
La consapevolezza lo colpì come uno schiaffo e una scarica di adrenalina gli fece iniziare a tremare le dita: presto non sarebbe riuscito a combattere l’istinto del proprio corpo alla ricerca d’ossigeno. Sarebbe annegato.
Ma la voce nella sua testa continuava a ripetere quella parola. Non si aspettava buttare gli ultimi istanti della propria vita a cercare di ricordare come tradurre una dannata parola latina. Maledisse Hoseok e le sue lezioni di lingue straniere. Conosceva quella maledetta parola e il solo realizzarlo gli fece paura: arabo, un imperativo… Torna indietro.
«Ud!» Aveva già sentito quella voce. Nella Chiesa dei Santi Arcangeli. L’aveva chiamato, gli aveva detto di lasciare la mano di Taehyung.
Jungkook prese un respiro.

La massa nera dei Lete iniziò a diradarsi dopo che un paio di loro si schiantarono contro la barriera di protezione eretta da Seokjin.
Stava iniziando a piovere.
Yoongi osservò i demoni riversarsi lungo strada, fra i mondani ignari che continuavano a muoversi su e giù per i marciapiedi di fronte all’Istituto e a portare avanti le loro vite come formiche sotto il cielo cupo.
Distolse lo sguardo dalla vetrata bagnata. Strinse la cinghia di cuoio della fondina del pugnale sulla gamba destra con uno sbuffo: sembrava più larga del solito, doveva aver perso peso. Imprecò fra i denti. Non gli piaceva l’aria che si respirava nell’armeria, sempre troppo secca e fredda, densa dell’odore di metallo delle lame che costellavano le pareti, alle quali Hoseok riservava una cure reverenziale.
Stranamente nemmeno il maestro d’armi dell’Istituto sembrava a suo agio in quel momento. Stava armeggiando con i legacci della faretra da un po’, ma non riusciva a darsi pace.
Namjoon mise una mano su quella dell’amico e l’altro lo lasciò fare senza fiatare, lasciando che fosse lui a regolare la fibbia all’altezza della propria spalla. «Non riesco a crederci» gli disse a mezza voce.
Yoongi distolse lo sguardo dai due e cercò di concentrarsi sulle lame serafiche che stava allineando nella propria cintura delle armi.
«È colpa mia?» chiese Hoseok. «Se non avessi mandato Jungkook in campo…»
«Non è colpa tua, Hope» replicò altrettanto piano il capo dell’Istituto. Gli porse l’arco. «Non puoi prenderti la colpa della merda di questo mondo, ma puoi combatterla».
Hoseok prese l’arma dalle sue mani senza replicare.
«Che ve ne fate di pistole?» si sentì Jackson Wang chiedere dall’altra parte della lunga sala. Si stava passando fra le mani un revolver. «Credevo che i demoni non fossero vulnerabili a queste cose…»
«I Nascosti sì» replicò seccamente Hoseok.
«Sai usarla?» fece invece Yoongi. Il Praetor annuì. «Le cartucce sono un ripiano sotto le pistole. I proiettili in oro e sorbo selvatico vanno bene contro gli stregoni» indicò avvicinandosi a lui. Prese un’altra arma dalla custodia e la caricò: «Non si è mai troppo prudenti» disse mettendogliela in  mano. «Kim Hyojong ha iniziato questa storia. Abbiamo già perso il conto delle vittime. Se ne hai la possibilità, spara a quel bastardo».
Bae Suzy si legò un coltello a farfalla alla cintura e si voltò verso gli altri Shadowhunters. «Come contante di trovare Kim Taehyung e Park Jimin se le rune di localizzazione non funzionano?»
«Seokjin hyung è al piano di sopra con Kim Hyuna a occuparsene in questo momento» rispose Namjoon. Esitò prima di aggiungere: «Con la magia di sangue». Sembrò disgustato dalle sue stesse parole. Non era stato semplice per lui dare il permesso a Seokjin di frugare nelle stanze di Taehyung e Jimin alla ricerca di capelli o frammenti di unghie. La magia di sangue, nella sua semplicità, era la più vicina all’oscurità e alla carne.
Yoongi si rese conto di non aver visto Namjoon in tenuta da battaglia dal giorno della morte di Bang. Sembrava a disagio: era sempre stato il genere di persona che preferiva riflettere allo scendere in campo, cosa che lo rendeva la simbiosi perfetta per Hoseok.
«Il campo è libero» annunciò Yoo Inna, allontanandosi alla finestra opposta a quella dalla si era affacciato Yoongi. «I Lete si sono ritirati».
«Non possiamo comunque muoverci finché non sappiamo dove andare» replicò seccata Lee Jieun.
Hoseok si abbassò dietro la teca dei pugnali rari ed estrasse da un armadietto un fagotto. «Suggerisco a tutti di prendere uno stilo e una spada angelica in più» disse srotolando il tessuto simile al velluto per rivelare una serie di lame e lunghi stili marchiati da intrighi di rune del Paradiso.
Yoongi si avvicinò a osservare le armi in adamas e ne impugnò una: erano certamente state forgiate prima di quelle che venivano date ai membri dell’Istituto come dotazione standard, erano più pesanti, più elaborate, più corte. Yoongi non aveva alcuna intenzione di indossare uno di quegli scomodissimi foderi da schiena che Lee Jieun stava esaminando alla ricerca di uno che non troppo ingombrante; stava per legarla al fianco, quando lo sguardo gli cadde sugli stili nel mucchio: «Che ci fa questo qui?» chiese ad Hoseok. Sentì un nodo stringersi all’altezza dello stomaco quando le dita si chiusero attorno al metallo freddo. «Questo è di Jungkook, dovrebbe essere in camera sua».
«È solo un gemello» spiegò il maestro d’armi. «Jungkookie me ne aveva chiesto uno in caso avesse perso il suo. Lo voleva più corto di quelli normali, diceva di trovarlo più maneggevole, come una…»
«Come una matita,» concluse Yoongi, «lo diceva sempre». Strinse la presa sullo stilo: non aveva nulla di particolare ad eccezione delle rune impresse sulla lunghezza e della forma piramidale a base pentagonale; uno strumento spesso e pulito, estremamente semplice. Lo ripose nella tasca interna della giacca della tenuta.
Jackson Wang indicò l’ingresso dell’armeria con il pollice, ancora intento ad esaminare il corpo delle pistole. «Arriva qualcuno» annunciò.
Come aspettasse quella parole per fare il proprio ingresso (la cosa non avrebbe sorpreso Yoongi), Seokjin spalancò un’anta della doppia porta ed entrò a passo svelto: «Ci siamo» disse dirigendosi verso Namjoon. Gli prese la mano, come dovesse consegnargli qualcosa, ma esitò. «Te la senti di essere tu?»
Yoongi si rese conto che il Nascosto stringeva qualcosa nel pugno della mano destra. Tornò con lo sguardo al capo dell’Istituto, ancora esitante. «Lo faccio io» si sentì dire.
Seokjin si voltò verso di lui, così come Namjoon e Hoseok, poi guardò gli altri due come per chiedere la loro opinione. Nessuno disse niente. Lo stregone si allontanò dal leader e fece qualche passo verso Yoongi: «La mano dominante».
Yoongi tese la mano destra e si sentì scottare al contatto con il grumo vischioso che Seokjin vi lasciò cadere dentro. La massa vermiglia si dissolse lentamente, lasciando sul palmo della sua mano un marchio che somigliava a una parola araba.
«Svanirà nel giro di qualche ora senza lasciare cicatrici, non ti preoccupare» assicurò lo stregone, come fosse certo che quello fosse ciò a cui stava pensando lo Shadowhunter in quel momento.
«Fai strada» esortò Namjoon.

blood and memoriesWhere stories live. Discover now