capitolo 2

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«Siamo arrivati» disse Taehyung. Girò la chiave dell'auto nella toppa, spegnendo il motore.
«È tutto okay?» gli chiese Jimin sottovoce una volta che Jungkook fu sceso dalla vettura. Sentiva il nervosismo del suo parabatai come fosse suo, sul fondo del suo stomaco, ma non voleva chiedergli quale fosse il problema davanti a Jungkook.
«Tutto perfetto» rispose Taehyung. «È solo che... Jungkookie... è la sua prima missione, mi sento responsabile per lui» ammise poi con un sospiro.
«Lo so, lo capisco» replicò Jimin. «Ma vedrai che andrà bene, è il migliore di noi».
Tae fece un grugnito di asserzione. Si voltò per guardare Jimin da dietro il sedile del conducente e indicò la sua cintura delle armi con un cenno del mento prima di scendere dal pickup.
Jimin lo seguì. Impugnò una delle spade angeliche e la nominò: «Hariel». La lama si animò della sua pallida luce argentea; gli altri fecero lo stesso.
Si trovavano di fronte a quello che doveva essere stata una stalla, forse. Ora sembrava solo un rudere sgangherato, pieno di buchi, anche se il tetto sembrava ancora piuttosto solido.
Un cartello di legno dichiarava: "Chiesa dei Santi Arcangeli, proprietà privata".
Jungkook fece per entrare, ma Jimin lo prese per una spalla e lo tirò indietro: «Tu sta' con Taehyung» gli disse.
Il ragazzo abbassò la testa e raggiunse l'altro in silenzio. «Dobbiamo coprirci le spalle a vicenda» gli disse Taehyung, quasi istintivamente.
Jimin stava in testa, fu lui a tracciare la runa di Apertura sulla porta metallica del capanno e a entrare per primo; Taehyung entrò per ultimo, fissando le spalle di Jungkook. L'istante in cui mosse il primo passo all'interno della Chiesa dei Santi Arcangeli, il portone si chiuse dietro di lui. Taehyung ebbe la sensazione di trovarsi in un altro mondo, lontano anni luce dalla sicurezza del calore del Sole. Non prometteva nulla di buono: buio e freddo umido si insinuavano sotto la pelle, penetrando le ossa. Era un freddo innaturale per una giornata d'estate.
Lo spazio all'interno dell'edificio era angusto, con un soffitto alto forse appena due metri, soffocante. Una navata stretta correva tra file di banchi e grosse candele marroni ardevano sui candelabri a muro delle pareti.
Jungkook era accanto a lui, impassibile nella tenuta nera da combattimento - come se nulla di quel luogo lo turbasse.
Jimin si voltò, la sua spada, Iliel, stretta in pugno. «Ci sono tre altari, ognuno ne controlli uno». Gli altri annuirono; Taehyung percorse la navata, diretto all'altare principale.
Più andava avanti, più notava dettagli bizzarri: cose fuori posto, cose che non c'erano. L'edificio era completamente privo di finestre e, raggiunto l'abside, dove pochi gradini portavano alla pedana rialzata su cui sorgeva l'altare, si rese conto che in quella chiesa non c'erano croci, o alcun tipo di simbolo religioso. Sulla pietra grezza dell'altare compariva però un'incisione:

PERCHÉ NOI STIAMO PER DISTRUGGERE QUESTO LUOGO:
IL GRIDO INNALZATO CONTRO DI LORO DAVANTI AL SIGNORE È GRANDE
E IL SIGNORE CI HA MANDATI A DISTRUGGERLI.

Conosceva quelle parole, erano della Genesi.
Taehyung ruotò gli occhi: le sette cristiane erano sempre le peggiori.
Ma, per quanto odiasse ammetterlo, gli piaceva leggere passaggi di vari testi sacri: anche se non credeva in un Dio, erano tutte delle belle storie.
«Libero» disse agli altri, che risposero allo stesso modo. Riposero le lame angeliche.
«Sembra non ci sia nessuno...» stava dicendo Jungkook, ma fu interrotto dal ticchettio tipico di tacchi che calpestano il suolo di un luogo silenzioso.
«Oh, ma siete giusto in tempo per la cerimonia» proferì una voce tagliente e fredda alle loro spalle.
Il sobbalzo di Taehyung non era previsto, così come la presa calda e salda della mano di Jungkook attorno al suo avambraccio.
«Abbiamo sentito dire che siete in grado di evocare dei veri demoni» fu la risposta piatta del ragazzo più giovane.
«No, non demoni. Angeli» sogghignò la donna che aveva parlato. «Potete chiamarmi Sorella». Era poggiata a quella che poteva essere la porta di una sacrestia. Aveva tutto meno l'aria di un essere umano: anche se indossava un elegante tailleur scuro, con i capelli rasati e le occhiaie livide sotto gli occhi di un viso scheletrico, a Taehyung ricordava le fotografie del museo della guerra di Parigi, con le donne vittime dei campi di concentramento, ma lei si trovava lì per sua volontà. «Siamo sempre lieti di accogliere nuovi membri sotto le ali degli Angeli, venite» li incoraggiò voltandosi e superando la porta dai vetri gialli smerigliati.
Taehyung si sbagliava, quella non era una sacrestia, ma una rimessa per gli attrezzi. Lo spazio già di per sé angusto era reso ancor più claustrofobico dalla presenza dei membri della setta. Era stato chiaramente preparato per un rito di evocazione, proprio come descritto con molti dettagli nella Chiave di Salomone: era il rifugio di "officianti", il punto mistico dal quale, in tutta sicurezza, "gli spiriti possono essere evocati, sottomessi, e si può porre loro qualsiasi domanda e ordinare qualsiasi cosa"; sul suolo di marmo della erano stati disegnati tre cerchi concentrici.
Taehyung guardò Jimin e lui ricambiò il suo sguardo preoccupato.
«Nel corso di questa importante fase del Rituale si devono recitare dei Salmi della Bibbia» spiegò loro la donna che li aveva "accolti", Sorella.
Taehyung ne conosceva solo alcuni e per sommi capi, così come gli altri; recitarono cercando di celare il dubbio sull'eventuale riuscita della cosa.
Poi, vicino al margine interno del cerchio centrale, Sorella tracciò la lettera ebraica Tau quattro volte, in corrispondenza di ciascun punto cardinale: il Nome di Dio di quattro lettere, che non deve essere pronunciato.
Gli officianti presero posto in piccoli tratti di interruzione nelle figure e quello che doveva essere il "Maestro" completò le figure prima di iniziare il Rituale per l'Evocazione.
"Quando il Maestro dell'Arte avrà parlato con gli Spiriti, dovrà ogni volta esercitarsi a creare un Cerchio diverso, che abbia qualcosa di speciale ", gli avevano spiegato in Accademia. Taehyung non aveva creduto che studiare tutte quelle che le erano sembrate cazzate avrebbe mai potuto risultare utile sul campo. Si era sorpreso nell'apprendere che all'interno della setta nessuno aveva un nome. Era un caso da manuale: "I membri delle sette spesso credono di essere solo pedine", gli era stato detto in Accademia.
Si divisero lungo la circonferenza dell'evocazione. Taehyung avrebbe voluto avere la figura familiare di Jimin al suo fianco, ma sentiva anche di dover stare accanto a Jungkook.
Il problema era che nessuno dei due era vicino a lui: i tre ragazzi erano divisi, formando i vertici di un triangolo equilatero delle loro postazioni.
Il suolo freddo sembrava assorbire ogni vibrazione e suono, compreso quello dei loro respiri.
I celebranti della setta avevano allestito un cerchio di sale intarsiato di rune che apparivano come graffi sul marmo. Nella semi oscurità, versarono sangue fresco sgorgante da ferite da taglio sui loro polsi direttamente sulle fiamme. Con i visi rivolti verso il basso, come peccatori in preghiera, recitarono: Imamiah, Deus Caligine tectus, lex est araneae tela, quia, si in eam inciderit quid debile, retinetur; grave autem pertransit tela rescissa.
Era latino: "Imamiah, Dio nascosto nell'oscurità, la legge è come una ragnatela: se vi cade qualcosa di leggero essa lo trattiene, mentre ciò che è pesante la rompe e scappa via".
Taehyung sentì l'aria come risucchiata fuori dai propri polmoni con la forza, mentre fiamme verdi-dorate divamparono al centro delle strane figure incise sul pavimento; rune tracciate tra i vari cerchi si illuminarono di un rosso cremisi. Taehyung sentì accapponare la pelle. Erano vorticose linee scure che solcavano il marmo, intricate, come appartenenti ad un alfabeto straniero. Non le conosceva, ma era come se... come se ne sentisse il linguaggio penetrare nelle ossa.
Sentì lo stomaco contrarsi per la nausea, gli girava la testa.
Improvvisamente sentì il calore della stretta salda di Jungkook sul suo polso, che rispetto alla sua mano sembrava bollente.
Dalle fiamme emerse una figura scura: alta come un muro, dai lineamenti morbidi e nudi come quelli di una statua greca, gli occhi chiusi, la carnagione del colore del ferro incandescente. Emise un debole sussurro, come una marea lenta che si ritraeva, mentre la carne prendeva gradualmente una tonalità umana, come raffreddandosi.
Il Maestro sollevò il medaglione che aveva stretto nella mano sinistra: «Vendo la mia anima e il mio corpo alle potenze celesti, sii tu la nostra lama». Il "Patto" era stato stipulato. «Intercedi per noi presso la Regina dei Beati!»
Le fiamme si spensero di colpo. Dalle scapole della figura umanoide si spiegarono due paia d'ali dalle piume nere. Imamiah, secondo le angelologie uno degli appartenenti al Coro dei Principati, uno degli angeli ammessi alla presenza di Dio, aprì gli occhi: orbite completamente fatte di luce incastonate nel volto e sulle ali scure.
Taehyung afferrò la mano di Jungkook, dentro di lui bruciavano l'adrenalina e l'istinto di scappare. Il ragazzo ricambiò la sua stretta, ma nel calore della sua mano non c'era traccia del terrore che stava attanagliando la bocca dello stomaco di Taehyung: lui era sereno.
Imamiah alzò un braccio e mosse passi fino a puntare due dita contro il petto di Jungkook.
Taehyung sentì la mano del ragazzo scivolare dalla sua stretta: stava camminando verso quella creatura.
«Jungkook!» urlò, ma non riuscì a muoversi verso di lui.
«Filio Nuntii, animum tuum sedes» pronunciò Imamiah, senza muovere le labbra. In qualche modo, nei suoi occhi luminosi c'era rimprovero. «Ut comperias pacem orabo».
Placa il tuo animo, figlio del messaggero... Pregherò affinché tu trovi la pace.
Jungkook raggiunse il centro del pentacolo in silenzio, Imamiah avvolse entrambi nelle sue ali e il bozzolo fu avvolto da nuove fiamme e scomparve facendo piombare la sala nel silenzio.


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