§ 17. Parla con me in francese

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Con tutto l'olio di gomito di cui era capace, Vasily strofinava per mandar via una delle tante macchie di fuliggine color piombo dal muro, invano. Dovevano ritenersi fortunati solo per non aver dovuto chiamare i vigili del fuoco, tanto erano state alte le fiamme azzurrognole levatesi dalla cassa armonica durante gli ultimi, terribili istanti. Inspiegabilmente, non avevano attecchito che debolmente alle parti d'arredo che non costituissero materia dello strumento stesso.

Quello che ne restava adesso era soltanto un cumulo di macerie annerite e colme di desolazione.

— Lascia stare, è inutile, — si sentì consigliare da Jeremy, impegnato a sua volta a spazzar via dal pavimento gli ultimi detriti di quel cimitero di carbone. — Ripagherò tutti i danni all'agenzia.

Non era abituato a vederlo in abiti casual, come la T-shirt e la camicia che aveva indossato sui jeans, quella mattina, e sortiva in lui un certo effetto. Sembrava ancora più giovane di quanto mai avesse imparato a conoscerlo, persino adesso che era a conoscenza della sua vera età.

Vasily si permetteva di indugiare in simili considerazioni soltanto perché ormai avevano la certezza che le lesioni sulle mani di Cédric sarebbero guarite completamente. E perché, malgrado la grande paura che tutti loro avevano provato in quel momento, avevano adesso la conferma che sarebbe stato possibile vincere contro di loro. Sempre che Cédric avesse scelto di sottoporsi altre due volte a quello stillicidio, beninteso.

Se avesse chiesto consiglio a lui, Vasily non avrebbe mai avuto il cuore di chiedergli di provare una seconda volta, sebbene in ballo ci fosse la salvezza del suo stesso fratello. Non si sentiva in diritto di pretendere una cosa del genere, né lo avrebbe mai fatto. Soprattutto se tentava anche solo di immaginare quanto dovesse essere stato spaventoso trovarsi al suo posto, o se ricordava l'espressione del suo viso contratto dalla sofferenza.

Scosse la testa per evitare di tornare ancora con la memoria a quell'esperienza accaduta solo tre giorni prima e sfregò la spugna con maggior forza, pur sapendo quanto fosse inutile.

— È davvero un peccato per la tenda, — considerò scioccamente alla volta del professore, osservando il brandello di lino sottile, strappato per metà. Non ottenne risposta, se non uno sguardo pieno di affetto.

— Preparo qualcosa da mangiare, — lo avvertì invece l'altro scrutando l'orario. Sapeva atteggiarsi a perfetto casalingo, specie da quando si era arrogato il ruolo di infermiere personale di Cédric e aveva stabilito una tabella di marcia rigidissima, affinché tornasse in forma prima possibile.

Fino alla sera precedente erano rimasti preoccupati, perché il pianista non aveva voluto saperne di riprendere conoscenza. Di riaprire gli occhi, quantomeno, perché non era effettivamente svenuto, quanto piuttosto immerso in un limbo di sonno inquietante quanto quello delle principesse sotto incantesimo.

Quando poi si era risvegliato, dopo i primi minuti di confusione in cui avevano dovuto spiegargli quello che era successo, aveva riferito di essersi sentito incredibilmente stanco. Non ricordava niente di quando lo avevano portato di volata al Pronto Soccorso per quelle scottature sulle mani e sugli avambracci, e soprattutto per la ferita che solcava il palmo della sua mano destra lungo tutta la linea della vita, che non aveva smesso di sanguinare neppure dopo che Jeremy l'aveva fasciata stretta.

E dire che anche lui era sembrato vigile, mentre si svolgeva tutto questo, per quanto avesse parlato a malapena. Forse era restato sotto shock per tutto il tempo. Vasily non era stato tanto da meno, né aveva rappresentato un grande aiuto, se non per avergli tenuto la testa sopra le ginocchia durante il tragitto. Neanche ricordava quale ragione fosse stata apportata per giustificare l'accaduto di fronte ai medici. Non l'aveva sentita, probabilmente: il rumore delle urla preternaturali gli aveva martellato il cervello per tutta la notte.

Le corde d'oroWhere stories live. Discover now