§ 10. Non in cielo e non in terra

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Cédric sedeva a gambe incrociate sul letto, come al solito, e stava traducendo il passo in cui Dafne si trasformava in albero di alloro nelle Metamorfosi di Ovidio, con tanto di vocabolarione a destra e pacchetto di tortillas a sinistra. Per quanto bizzarra e inquietante fosse la questione degli "strumenti stregati" – così aveva preso a chiamarli nella propria mente –, la vita andava avanti. Toppare un esame si trovava tra le ultime voci della sua lista delle faccende da sbrigare, sebbene quella sera si sentisse troppo distratto per concentrarsi al meglio.

A distrarlo era un miscuglio di circostanze, tra cui la speranza di ricavare qualche informazione dall'incontro stabilito per la mattina successiva con il tale Gaillard, ammesso che il vecchio se ne ricordasse. A giudicare dalla sua voce incartapecorita, doveva avere centocinquanta anni o giù di lì.

Quella di Vasily, invece, aveva sortito tutto un altro effetto. Gli aveva trasmesso l'impressione di essere un ragazzo molto riservato, forse addirittura un po' cupo, anche se ciò poteva essere dipeso dalla situazione che stava vivendo. Ma aveva trovato affascinante la sua capacità di esprimersi in un francese quasi del tutto privo di inflessioni, con una pronuncia magnificamente scandita, senza storpiature. Da linguista, Cédric sapeva quanto l'impostazione mentale di una persona, la raffinatezza e l'acutezza di ragionamento dipendessero dalle sue capacità nell'espressione verbale, a partire dall'articolazione fonetica fino alla scelta delle parole.

Era lampante che quel ragazzo avesse ricevuto un'educazione rigida e forse anche un po' antiquata, che lo aveva reso più riflessivo rispetto alla massa, unita a una formazione musicale che gli aveva donato sensibilità artistica. Era rimasto sbalordito quando gli aveva chiesto come potesse fidarsi di lui. Che razza di domande! Gli era bastato sentirlo parlare.

Così, quando rispose alla sua chiamata con cui gli comunicava di essere quasi certo di aver trovato il palazzo giusto, si sentì moderatamente curioso di guardare in faccia il fuggiasco. — Ti vengo incontro, — gli disse. E scese giù in strada in pantofole.

Neanche a dirlo, era il tipo con il violino in spalla. Un ragazzo di qualche centimetro più basso di lui, dal portamento principesco e i lineamenti squisitamente cesellati, quantunque sembrasse stanco per il viaggio. Lui fu riconosciuto subito, grazie al video dove aveva sfoggiato il medesimo look "home-style", e ringraziato almeno altre quattro volte per l'ospitalità offerta, prima che riuscisse a farsi seguire all'interno dell'antico ascensore.

— Mettiti pure comodo, — lo invitò quando si trovarono in casa, indicando le diverse stanze oltre al salone: la cucina, il bagno, la sua camera e quella in cui avrebbe alloggiato lui. — Vuoi darmi la giacca?

L'altro se la sfilò di dosso, passando la tracolla del violino da una mano all'altra, e Cédric la sistemò nel guardaroba all'ingresso, notando di sbieco come fosse vestito. La camicia sembrava di seta e non recava una sola piega, anche dopo il viaggio in aereo. Sopra portava un vero e proprio farsetto con i bottoni in madreperla e i pantaloni dovevano essere di quel tipo con la doppia allacciatura, che lui considerava alla stregua di trappole cinesi. Le scarpe, naturalmente, non erano un modello da tennis. Su di lui, tuttavia, quello stile ricercato appariva appropriato, come se facesse parte della sua essenza. Con i capelli scuri che incorniciavano il volto pallido, ancora più serici della blusa, i suoi colori gli piacevano, perché ricordavano quelli della tastiera di un pianoforte. Tutti, tranne gli occhi. Due autentici topazi azzurri.

Beh, in fondo l'abbigliamento di Cédric ostentava più o meno il medesimo grado di ricercatezza, col pezzo inferiore della tuta sorretto da un cordoncino elasticizzato, la felpa con la lampo, un paio di ciabattine azzurre e due mollette fra i capelli.

— È davvero bello, qui. Pieno di luce.

Vasily osservò per qualche istante l'arredamento semplice e accogliente, al di sotto del caos "umanistico" a cui Cédric non riusciva a rinunciare, tipico degli imbrattacarte. Libri e quaderni erano spaiati un po' ovunque, tra i divani color malachite, le pareti chiare e i tavoli laccati di bianco. Il parquet riportava graffi a più riprese, perlopiù dovuti agli spostamenti del pianoforte che, unico oggetto d'arredamento scuro in mezzo a tanto splendore, torreggiava maestoso accanto alla tenda della portafinestra.

Le corde d'oroWhere stories live. Discover now