First Mission

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«Stai trremando. Non esserre così ansioso. È solo uno strumiento, prroprio come un martiello o una forchetta. Dimmi, triemi mai quando usi una forchetta?»
Il biondino ha sbuffato piano, e sorriso.
«No, chiaro che no. Ma una pistola è un pochino diversa da una forchetta.»
«Lo è solo perché non ci sei abituato. Ed ora, voglio una pallotola nel cuorre del maledeto cerchio rosso.»
Quando Fëdor cercava di essere perentorio, gli usciva proprio bene. Così, il novellino non ha potuto che trarre un respiro profondissimo, usare il gesto che gli era stato insegnato per prendere l'arma dalla bandoliera ascellare in un batter di ciglia; e riservandosi un solo secondo d'orologio per prendere la mira, premere il grilletto.
«C'eri quasi, brravo!»
Abel ha conservato un'espressione corrucciata. Il proiettile era andato a conficcarsi ben tre centimetri sopra il punto che doveva colpire.
«Sono ancora teso, non mi sento a mio agio con quest'affare...»
Ha soppesato la semiautomatica con la mano, squadrandola con diffidenza.
«Hai tutto il pomerriggio per farci un po' d'abitudine. Vado a biere qualcosa, tu intanto continua... Forse la solitudine potrà esserti d'aiuto!»
Prima di sparare nuovamente verso il bersaglio di legno, l'apprendista ha annuito. In genere la solitudine era una soluzione, quindi poteva quasi già sentirsi più tranquillo. 
E nel giro di mezz'ora, ha piantato ventiquattro pallottole intorno al cerchiolino rosso - oltre a cinque al suo interno.

«I miei complimenti, amico!»
La voce del russo sembrava appartenere ad una persona completamente diversa rispetto a quella che gli aveva parlato fino a poco prima.
«Incredibile miglioramento, davverro! Sei sicuro di non avere barato?»
Con un mezzo sorriso, Abel ha scelto di non rispondere con le parole, limitandosi ad estrarre la pistola e a malapena mirare, prima di colpire il centro davanti ad un totalmente incredulo Fëdor.
«Et voilà.»
I due colleghi sono rimasti soli ancora per qualche minuto, soprattutto in attesa che Ben li raggiungesse come aveva annunciato quella mattina. Ha avuto "altro da fare", e così Fëdor l'ha sostituito per la prima "lezione" sulle armi da fuoco e sulla mira.
Appena il capo è arrivato, comunque, il francese ha dovuto dimostrare nuovamente le capacità acquisite - senza riuscire a colpire il cuore del bersaglio, mandando il colpo appena al di fuori della zona rossa, ma facendo comunque un'ottima impressione. Poi, a fianco dei due colleghi, ha dovuto raggiungere il resto della squadra, per le "importanti novità" che Sumner doveva comunicare.

«Finalmente abbiamo una commissione!»
La prima frase del discorso del Capo è stata accolta da un coro di contenuta esultanza.
«Ci attende un volo per la mitteleuropa.» Non era nulla di troppo importante, ma nemmeno di così insignificante. Non c'entrava alcun governo, chi li aveva contattati era stato un semplice condominio di civili: si trattava di ripetute sparizioni, e dato che si conosceva già - a loro dire - il colpevole, c'era bisogno di fermarlo. In genere quel che faceva il gruppo era un tipo di lavoro molto differente da questo, ma era tutt'altro che sbagliato non condurre Abel sui campi sin dall'inizio; catturare dei colpevoli in mezzo ad una città pareva una roba da due soldi, in confronto a prendere parte ad assalti armati nel bel mezzo del deserto, e il successo assicurato avrebbe donato sicurezza al novellino. 

Rimane il fatto, starai pensando, che su una missione del genere si potrebbe scrivere un libro intero. (Forse lo farò.) 
Ma come potrei prescindere dalla narrazione della prima missione da mercenario del nostro protagonista, che avrà ripercussioni quasi serie sul suo futuro?
Diciamo che metterò a frutto le mie capacità di sintesi, nelle quali sono giunta a credere in seguito alla conclusione di una drabble (!!!) pochi giorni fa: e lo farò iniziando con un teletrasporto in Friuli Venezia Giulia, in una non meglio precisata notte di metà luglio. 
I mercenari sono divisi a coppie, tranne per il trio Ben-Fëdor-Basso e hanno alloggio presso tre alberghi distinti: questa è la prassi, poiché non bisogna assolutamente dare l'idea di essere un gruppo, in modo da evitare qualsiasi sospetto.
Alle ore 03:45 precise, Sumner e i suoi dipendenti-colleghi si ritrovano nell'isolato precedente quello di residenza dell'obiettivo. Indossano tutti dei pantaloni in apparenza più che innocui, in realtà pari alle armature di un tempo, infilati entro gli scarponi ai quali Abel ha impiegato così tanto ad abituarsi; sotto il giubbotto antiproiettile hanno le medesime bandoliere con pistole semiautomatiche, e soltanto Ben ed Eero hanno in aggiunta dei corti ed affilatissimi coltelli. Sì, sono tutti in grado di battersi corpo a corpo - ma è meglio serbare qualche sorpresa, sempre. 
Dopo le ultime direttive, gli uomini si dividono per circondare l'obiettivo. Percorreranno soltanto vie secondarie, dato che non scarseggiano.
Peccato però che quest'accorgimento sia inutile: i nemici li stavano osservando sin dallo sbarco, e perciò non aspettavano altro che quest'attimo di debolezza - dato dalla solitudine di ciascun membro - per attaccarli in sovrannumero. 
Ogni mercenario si trova quindi a dover fronteggiare ben due italiani incappucciati, senza poter usare le pistole - per non attirare le ire del vicinato prima e della polizia locale poi-: i primi a vincere sono Fëdor e... Abel. 
Il primo mette K.O. i nemici a forza di pugni, calci, assi di legno in testa e prese spaventose; dopodiché li rinchiude, svenuti, in un cassonetto. Il secondo li stordisce in un modo molto simile, trattenendosi a stento dall'urlare com'era solito fare, per legarli dopo pochi secondi di scontro come salami e lasciarli a bordo strada, in mezzo a bidoni dello sporco completamente vuoti.
Entrambi, a tal punto, si dirigono ad aiutare i colleghi nelle vie più vicine. 
Eero e Ben, grazie all'arma segreta dei coltelli usata al momento opportuno, finiscono letteralmente i quattro tizi che li avevano sfidati; poi corrono all'obiettivo, entrandoci nel momento preciso in cui Jacques viene raggiunto da Abel, e Alvar dal russo. Quest'ultimo con un saltone atterra sopra un incappucciato stendendolo, ed evitando al collega una sprangata sulla nuca. Il francese, invece, si trova a dover agire con più discrezione, essendo il connazionale sul punto di soccombere ad entrambi gli energumeni che gli si sono scagliati addosso.
Arrivando dalle loro spalle, può afferrare le loro teste e farle cozzare l'una contro l'altra con violenza; e appena fatto ciò, carica il più leggero in spalla e lo scaglia in aria, facendolo atterrare sul duro suolo di testa mentre già si dedica all'altro con calci e manate in incredibile sequenza. 
Riuscendo a fargli perdere l'equilibrio, ad un certo punto, Abel ne approfitta per prendere un respiro; finché un pugno nel mezzo della schiena lo priva di tutto il fiato.
«Bâtard!»
Jacques, che se n'era stato immobile fino ad allora recuperando qualche forza, si scaglia contro l'italiano che ha fatto qualcosa di così sleale al suo amico; ma in tutta risposta, egli estrae una pistola e senza esitazione gliela punta tra le sopracciglia.

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