A bit more safe

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Sette?
Appena Jacques ha finito di pronunciare la frase, si è udito un vociare confuso oltre la porta d'ingresso al locale. Quando gli autori del rumore si sono trovati appresso ad essa, comunque, sono improvvisamente diventati silenziosi e hanno bussato con energia. Sumner si è recato ad aprire, lasciando entrare tre altri uomini dalle spalle possenti proprio come quelle di chi era già in quella stanza. Sgranando gli occhi, Abel ha fatto per mettersi a sedere, in modo da stringere loro la mano - senza riuscirci, e tornando ad appoggiare la schiena con un piccolo tonfo.
I loro nomi erano proprio strani; vi erano due fratelli, Alvar ed Eero, e poi un uomo con la pelle scura, Akwasi, che ha dichiarato da subito che il suo nome completo lo usava pochissimo, preferendogli il soprannome di "Basso" – antifrasi dovuta ai suoi duecentodieci centimetri d'altezza, ben dodici in più di Abel che al momento, da steso e comunque ingobbito dalla debolezza e il dolore, nessuno ancora aveva capito essere così alto.
Tutte le loro nazionalità - Inghilterra, Francia, Russia, Finlandia e Ghana - erano unite da un solo tratto comune: la pratica del Sambo, un'arte marziale russa, che faceva di quel Paese una specie di patria per i sei nomadi. Il Sambo era la disciplina su cui si basava il loro lavoro, e quindi era il fondamento del gruppo stesso - che fosse già la specialità del singolo membro prima di entrare, o che lo fosse diventato con un intenso allenamento.

Gli ultimi arrivati hanno subito esibito, comunque, il motivo per il quale si erano allontanati perdendosi il risveglio di Abel: procurare il pranzo, consistente in una serie di salumi e diversi dolci per fare sì che l'ospite - che nessuno aveva idea di cosa fosse abituato a mangiare - si trovasse a suo agio.
La realtà è che lui non attendeva altro che poter mettere qualcosa sotto i denti, essendo più di quattro settimane che non vedeva nulla di commestibile; ma avendo il presentimento che non avrebbe dovuto esagerare, si è molto contenuto.
Tra un boccone e l'altro, com'è normale che sia, gli sono state poste delle altre domande su di lui, sulla sua vita, alle quali... Non ha potuto rispondere.
«Ti piacciono gli alcoolici?»
«Non so cosa siano, mi dispiace»
«E i sottaceti?»
«Sottaceti?»
«Hai la patente di guida?»
«Non credo di averla mai fatta, io...»
«Ce l'hai una fidanzata?»
A questa domanda così inattesa, il giovane ha fatto una faccia strana.
«Spero di non averla mai avuta. E a dire il vero non ricordo che volto avesse l'ultima donna con la quale io abbia passato del tempo.» Ha atteso un pochino, per poi cercare di sviare la conversazione. «E tu?» Ha chiesto con leggerezza, rivolto al Basso che era colui che gli aveva posto la domanda.
«A mia volta non ho a che fare con una donna da un bel po'.»
Nessuno dei sette, in effetti, aveva fidanzata o moglie, né una casa. Come ha specificato Sumner, la bocca ancora piena, «Il nostro lavoro ci rende veri e propri nomadi. Essere mercenari significa essere questo e basta. Ad esempio, ora ci troviamo qui in Russia da qualche mese; ma ci sono periodi in cui ci spostiamo con la frequenza di due settimane.»
D'istinto, Abel ha pensato che con un tipo di vita del genere, per la Shadaloo sarebbe stato davvero difficile individuarlo; e si è sentito un po' più al sicuro.

Ha preso un bicchiere d'acqua, e rovesciando qualche goccia sulla maglia, si è finalmente reso conto... Di indossarne una.
S'è guardato un attimo; Sumner doveva essere colui che gli aveva dato quella t-shirt grigia e un paio di pantaloni molto morbidi, di qualcosa che pareva cotone. E che glieli aveva messi addosso mentre era incosciente.
I piedi erano ancora nudi, poteva vedere delle cicatrici su tutta la superficie; così per le braccia, che nonostante la magrezza ormai eccessiva non sembravano fatte soltanto di pelle e di ossa.
Non vedeva l'ora di capire quale disciplina fosse stata la sua, se mai ne aveva praticata una. E soprattutto era impaziente di iniziare a lavorare con quelle persone, che avevano fatto un'ottima impressione su di lui.

**

Un'esatta settimana dopo, si trovava nel prato usato dal gruppo come "palestra". Le sue guance avevano ripreso un po' di colore, ma la sua pelle non sarebbe mai più tornata così ambrata come lui stesso, ormai, ignorava di averla avuta; è chiaro, inoltre, che in una settimana non avrebbe mai potuto riprendere tutto quanto aveva perso nel corso di un mese intero di digiuno. Ma aveva davvero un aspetto completamente diverso rispetto a com'era arrivato.

«En garde!»

Abel adorava chiacchierare con due persone in particolare, tra le sei del gruppo: Jacques, col quale poteva dilettarsi a parlare una lingua che gli sovveniva in modo automatico, e Basso, che era tanto socievole e disinibito - praticamente il suo opposto - che si trovavano ad andare perfettamente d'accordo.
Tuttavia, la persona che aveva deciso di battersi con lui era Fëdor, quindi tutti gli altri al momento erano seduti a terra a godersi lo spettacolo.

«Bene, iniziamo» ha mormorato tra sé il biondo, sistemando i guanti che gli sono stati donati per metterlo alla pari dell'avversario. Insieme a questi peculiari accessori, che lasciavano le dita scoperte e proteggevano soltanto il dorso della mano con uno spesso strato di imbottitura, lunghi praticamente al gomito e fissati con delle strisce di feltro, Sumner e gli altri gli avevano dato una fascia da applicare alla fronte e delle scarpe così rinforzate che camminarci avrebbe costituito una buona percentuale dei suoi sforzi durante gli allenamenti.
Ha guardato Fëdor, abbigliato precisamente come lui, abbassare la schiena; l'ha imitato, e poi incerto sul da farsi è caduto per un pugno fulmineo. Quasi senza volerlo si è rialzato con un balzo, e ha afferrato le spalle dell'avversario, coperte da un Gi - chiamato Kurtka in quanto leggermente diverso da quello usato nel Judo - scarlatto.
L'ha guardato però gli occhi, e non ha saputo fare di meglio che lasciarlo andare.
Il russo s'è sistemato per poi avvicinarsi a grandi passi. Aveva intenzione di fare una mossa assimilabile ad uno sgambetto, e così ha fatto quando è stato abbastanza vicino: Abel è caduto a terra con un tonfo, e appena si è rialzato, il russo l'ha colpito con un destro, una delle sue mosse più forti. L'avversario non l'ha schivato, e dopo aver assorbito il doloroso urto non ha potuto che cercare di restituirlo. Fëdor si è trovato la sua mano sul naso, che ha iniziato a sanguinare; accecato dal dolore, ha ricambiato con una ginocchiata nel ventre. I colpi reciproci sono continuati qualche attimo, con una violenza sempre più spiccata: entrambi avevano una capacità quasi inumana di sopportare il dolore, quindi non c'è davvero stata esclusione di colpi. Tutto è finito quando, lanciandosi in avanti e rialzandosi dopo una capriola, Abel è riuscito ad evitare qualcosa che l'avrebbe altrimenti costretto al tappeto.
«Judo!»
I lottatori si sono fermati per guardare Jacques, l'autore del grido.
«Ha perfettamente ragione. Quello è judo» ha confermato Alvar, alzandosi in piedi: lui aveva praticato proprio quell'arte marziale prima di diventare un esperto di Sambo. 
In risposta, Abel ha sorriso flebilmente. Una fitta al capo aveva confermato l'esistenza di ricordi legati alla parola "judo" - non voleva però che nessuno lo prendesse per un malato o un debole, e quindi ha dovuto impegnarsi a non far trasparire la sua sofferenza. In più, quella scoperta non aveva comportato nulla oltre al dolore. Come per la parola "Francia", non si era affacciato alla sua coscienza nessun volto, paesaggio, luogo, nessuna voce e nessun profumo.
Era il buio più oscuro, e come sempre non possedeva alcun mezzo per fenderlo.

was it all a Dream?Where stories live. Discover now