3 - L'invito

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Eloise

Becky si accosta a me, mi chiede per la seconda volta se gradisco un mestolo di vellutata ai funghi, e io, per la seconda volta, le dico di no.

Meglio non mangiare.

Stamattina ho vomitato anche le anime delle mie vite precedenti e desidero che la cosa non si ripeta. Inoltre, dopo il presentimento di Macy circa il ballo natalizio, non sono più riuscita a trascorrere la giornata normalmente.

Accidenti!

Dovevo prepararmi un té all'ibisco per contenere la nausea e non l'ho fatto.
Dovevo studiare e non l'ho fatto.
Dovevo raggiungere quel rudere che un tempo era una fiorente distilleria, e non l'ho fatto.

In pratica, dovevo svolgere parte dei miei compiti giornalieri e, invece, ho solo pensato a Fabian e Alex tutto il tempo.

Cosa ci dirà mamma durante questa cena?

Ma, soprattutto, ci dirà realmente qualcosa?

Vorrei che Macy si sbagliasse, almeno per una volta.

Questi sono gli unici assilli che mulinano intorno alla mia ragione, e sono così incessanti che mi proibiscono anche solo di sorseggiare un misero goccio di acqua dal calice in cristallo.

Mamma è al capotavola, perfettamente incassata sotto la cappa fumaria del camino. L'architrave in pietra si erge dietro le spalline della sua giacca nera in taffetà, i piedritti che contengono il focolare corrono paralleli lungo le sue braccia. È troppo vicina. Un giorno si brucerà. Mi gioco un capello.

Strepitii di fiammelle ardenti si amalgamano allo scoppiettio dei tizzoni, sembrano produrre una musica che scandisce la mia tensione.

Forza, mammina. Hai l'espressione austera. Se hai qualcosa da dire, perché non ti decidi a parlare?

Macy è al tavolo con noi, ha appena pungolato il fianco di Emma dato che cena a gambe accavallate. Lei risponde monotono, mandandola a fanculo. Poi sbuffa, quasi se ne pente, raffina la postura e riprende a succhiare la vellutata dal suo cucchiaio.

È sempre così quando la maggiore collaboratrice di questa casa si intrattiene ai pasti. Rimprovera Emma d'anticipo prima che possa farlo nostra madre. E fa bene.
Altrimenti... sai che rottura!

Mamma inghiottisce una microscopica porzione del suo crackers di segale al salmone, dopodiché si pulisce gli angoli della bocca con brevi rintocchi del tovagliolo sulle labbra. Fa cenno a Becky di riempirle il piatto di vellutata e la nostra cameriera si avvicina con il pentolone. Ne versa un po', mamma scruta il suo movimento con spasmodica attenzione, poi vibra un braccio nell'aria per farle capire che può bastare così.

È talmente accorta e delicata nei gesti che quasi mi stupisco che sia fatta di carne. Assomiglia più alla ballerina di danza classica che ruota ogni sera nel mio carillon. Ogni cosa che fa sembra essere eseguita dopo attente prove ed esercitazioni. Qui, però, non si muove sulle note di Bizet, ma sulle etichette che da sempre ci sono affibbiate.

La contessa Abigail Strauss Brown è nobile fino al crepe più interne del midollo, una di quei titolati che ama la condizione senza che avverta la necessità di opporsi. Non l'ha mai sentita lamentarsi della sua vita altolocata. Giuro. D'altronde, cosa ci si può aspettare da lei? È stata educata dai miei nonni alla vecchia maniera, sotto l'incudine di un rigore stringente. Non ha sperimentato altro.

Persino una capra le scorgerebbe l'allure aristocratica.

La sua testa cotonata ruota in mia direzione, un sorriso le solca le labbra sottili, e io mi mordicchio la punta della lingua con i denti, facendomi piccola nella sedia. Quello della lingua è un vizio che ho sin da bambina, si scatena quando in me monta il nervosismo. Altri si mangiano le unghie, io faccio questo, a volte fino a farmi sanguinare la bocca. Non so perché.

Io sono regina  Where stories live. Discover now