Nell'aldilà

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Nell’aldilà

Mi ritrovai in un luogo lontano da tempo e da qualsiasi altra cosa. Inizialmente non riuscii a mettere a fuoco nulla per colpa della luce luminosa che mi trafiggeva gli occhi, così forte e diretta che dovetti coprirmi il volto con un braccio per un tempo indeterminato.

Quando finalmente la mia vista cominciò ad abituarsi a tutta quella luce riuscii a tenerli aperti, ma questo non cambiò molto le cose: intorno a me c’era una distesa di assoluto nulla. Era tutto bianco, il pavimento si confondeva col soffitto e non c’erano oggetti di alcun genere. Non un albero, o una panchina, o una macchina.

Feci un paio di passi, chiedendomi in che diavolo di posto mi trovassi.

Sentii un eco in lontananza che sembrava dire il mio nome, per cui mi arrestai quasi subito. Non riuscivo a capire da dove provenisse, anche perché intorno a me non c’era nessuno.

Fino a quando non sentii una voce che conoscevo fin troppo bene urlare: «Kim!»

I miei occhi si spalancarono, quasi alle lacrime. Sentii il mio cuore battere all’impazzata, mentre cominciai automaticamente a correre da nessuna parte.

«Megan!» urlai a squarciagola.

Le mie scarpe non producevano alcun rumore sul suolo e io mi sentivo leggera come una piuma, quasi avessi potuto volare. Continuai a girarmi e a correre a lungo, o almeno così mi sembrò, senza vedere nulla se non quel bianco monotono che cominciava a farmi venire il nervoso.

Mi fermai e gridai ancora il nome di mia sorella, sentendo la gola in fiamme per lo sforzo.

All’improvviso qualcuno mi venne a sbattere contro la schiena e delle braccia mi circondarono la vita. Rimasi immobile e senza fiato a osservare quelle manine paffute che stringevano a più non posso la mia maglietta.

«Kim, sei venuta a trovarmi» disse la voce pimpante e allegra di mia sorella.

Sentii una crepa aprirsi nel mio cuore e, quando mi voltai, non riuscii a trattenere le lacrime. Il volto di mia sorella era esattamente come lo ricordavo: i capelli lisci come la seta che le incorniciavano le guance rosse e paffute, gli occhioni più verdi dei miei e le labbra arcuate in un sorriso.

Le mie ginocchia cedettero e caddi a terra, ritrovandomi alla sua altezza. La strinsi forte tra le braccia, rischiando di scoppiare in lacrime. Anche Megan mi stringeva, tenendo la guancia appoggiata sulla mia spalla e dandomi un bacio sul collo.

In poco tempo il mio viso era completamente bagnato per colpa delle lacrime.

«Megan, perdonami,» le dissi allontanandola da me e tenendole il viso tra le mani. Continuava a sorridermi e non si preoccupò nemmeno che le bagnai le guance con le dita. «È colpa mia se tu sei qui, è solo colpa mia.»

«No Kim, non devi prenderti la colpa» mi rassicurò, asciugandomi le lacrime che ristagnavano sotto gli occhi con il pollice. «Mamma lo aveva detto che ti saresti sentita responsabile.»

Sbattei le palpebre un paio di volte, confusa. «Hai visto anche la mamma?» domandai.

«Sì, un po’ di tempo fa. È rimasta con me, ma non per molto.» Megan non mi diede il tempo di rispondere che mi afferrò entrambe le mani, saltellando proprio come quando era ancora viva ed era su di giri per qualche cosa. «Allora, hai il ragazzo adesso?»

Tirai su il naso e risi, alzandomi in piedi. Mi prese la mano e mi trascinò da qualche parte, anche se intorno a noi era ancora tutto bianco. «Sì, si chiama Gabriel» le risposi.

«E com’è?»

Abbassai gli occhi su di lei. «È un giocatore di rugby. Alto, gentile, coraggioso, con due occhi blu da favola.»

Daughter of EvilDove le storie prendono vita. Scoprilo ora