XXVIII - 21 Luglio

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Sbianco, sbianco così tanto che mia madre se ne accorge immediatamente; una morsa ferrea stringe il mio stomaco e mi dà la nausea mentre il mio cuore salta più di qualche battito.

"Tesoro, ti senti bene? Sei pallido."

Poggia una mano sulla mia fronte per controllare la temperatura corporea, e quando la ritrae incrocia il suo sguardo d'ambra col mio.

"Sarà la pressione bassa, il caldo..."

Dissimulo, impedendo alla mia voce di tremare prima di porre la domanda fondamentale.

"Quando arriva Levi?"

"A momenti dovrebbe essere qui. Mi ha detto-."

La suoneria del cellulare di mia madre interrompe bruscamente la nostra conversazione, e mi ritrovo ad imprecare mentalmente. Cosa, cosa ha detto Levi? Non ho neanche il tempo di aprire la bocca per tentare di parlare che mima un "devo andare, è urgente" con le labbra nella mia direzione, prima di uscire frettolosamente dalla porta di camera mia agitando la mano in cenno di saluto.

E a questo punto, cosa dovrei fare? Accendere il telefono dopo giorni e chiamare Levi unicamente per dirgli di non presentarsi? Fuggire davanti ai problemi per evitare di affrontarli? Ma con quale coraggio potrei guardarlo negli occhi dopo quello che è successo, o anche solo sentire la sua voce? Semplicemente, non posso. Non dopo aver rovinato tutto.

Mi passo le mani sul volto, esasperato e confuso, poi mi alzo dal letto freneticamente, portandomi le dita ad artigliare i capelli e vagando per la stanza. Opto per una doccia fredda per tentare di annegare nell'acqua le mie paranoie e indosso un paio di short di jeans e una semplice canottiera bianca. Sono troppo codardo per chiamarlo, per rifiutarlo di nuovo, per calpestarlo come ho già fatto. Arrendevole, è questa la parola che mi definisce. Codardo. Ma non posso continuare ad evitarlo per sempre, non quando mi manca già come l'aria e sento l'intero corpo bruciare in protesta alla sua breve assenza.

Non sono passati neanche venti minuti dalla conversazione avuta con mia madre quando il campanello suona, preannunciando l'arrivo di un ospite che non sono pronto a ricevere. Asciugo i palmi sudati sul tessuto dei pantaloni, prendo un respiro profondo e inizio a scendere gradino dopo gradino la scala in ferro battuto, muovendo passi incerti. Mai il tragitto verso l'ingresso di casa mia mi è sembrato più breve in tutta la mia vita.

Quando apro il portone e due iridi di puro diamante incatenano le mie, trattengo a stento un singhiozzo e sento la vista velarsi di lacrime che mi costringo a ricacciare indietro; il primo impulso è quello di attirarlo a me, di stringerlo e di non lasciarlo più andare, di affondare il viso nell'incavo del suo collo e sussurrargli piano quanto mi sia mancato ogni piccolo dettaglio di lui. I suoi baci, le sue braccia forti strette attorno ai fianchi, le sue mani che vagano per il mio corpo infondendo dento di me elettricità pura. Invece rimango a guardarlo, a studiarlo come se fosse un miraggio, un ologramma evanescente che potrebbe sparire da un momento all'altro. Sono stanchi quegli occhi impossibili, contornati da profonde occhiaie violacee che svettano sulla sua carnagione nivea, e le ciocche corvine sembrano meno in ordine del solito. E sono stato io a ridurlo così, e questo fa male più delle urla dei miei demoni, più delle lame di rasoio sui polsi.

Il peso di quella consapevolezza mi schiaccia e il suo sguardo mi inchioda sul mio posto, permettendomi solo spostarmi di poco per concedergli di entrare in casa. L'aria è densa, l'atmosfera tesa ed elettrica; boccheggio, incapace anche di rivolgergli un saluto. Rimaniamo a fissarci, a scrutarci l'un l'altro con sguardo attento per un lasso di tempo indefinito. I miei occhi vagano per la sua figura, dai pantaloni verde militare che indossa alla sottile camicia nera a maniche corte. Gli faccio intendere con un cenno del capo che ho intenzione di andare nella mia stanza, e con mia sorpresa decide di seguirmi.

BORDERLINE - Ereri/Riren -Where stories live. Discover now