XV - 29 Dicembre, Giorno 27

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Coming-out


Epica - Storm the Sorrow

EREN


Mi alzo svogliatamente dal letto, camuffando col dorso della mano un sonoro sbadiglio e stiracchiandomi fino a sentire le ossa della schiena scrocchiare. Mi dirigo stancamente verso il bagno, stropicciandomi gli occhi impastati dal sonno, pronto a prepararmi per la giornata di permesso che Erwin e Rico mi hanno concesso. Dicono che sto facendo progressi, nei nostri quasi quotidiani colloqui serali, e lodano i rapporti che sto stringendo con gli altri ragazzi, soprattutto con Mikasa; mi sono scoperto a trovarmi perfettamente a mio agio con la corvina, divenuta in poco tempo un'amica sincera e leale.


È innegabile, sto senza ombra di dubbio meglio rispetto a quando sono entrato in reparto, ma non vedo tutti i "fantastici progressi" che vengono osannati e decantati da chiunque. Sarò forse accecato dalla malattia, ma davvero non riesco a guardare oltre allo stato di felicità chimica in cui mi gettano le pillole colorate che butto giù ogni giorno; i miei sbalzi d'umore sono meno frequenti, ma non è merito mio. In fin dei conti, non sto davvero meglio, ho solo il sangue saturo ed avvelenato di psicofarmaci.


Abbandono il pigiama sulla piccola mensola del bagno, entrando nella doccia e beandomi della sensazione dell'acqua calda che scorre sul mio corpo e lo carezza con il suo tocco caldo, dalla consistenza impalpabile. L'odore dolciastro del bagnoschiuma alla vaniglia si libera nell'aria e impregna il vapore, e insapono il mio corpo percorrendone ogni sporgenza. Carezzo piano le cicatrici sulle braccia, tracciandone delicatamente i contorni sotto i polpastrelli e scoprendole sensibili sotto il mio tocco; sento chiaramente i miei demoni scalpitare, impazziti alla vista di quelle ferite chiuse. Distolgo lo sguardo dallo scempio di linee chiare e traslucide che mi solcano gli avambracci, annullando i miei pensieri nello scrosciare dell'acqua e nel suo flusso sulla mia pelle.


Esco dopo pochi minuti, e ancora grondante, mi avvolgo nel mio morbido accappatoio bianco, tamponandomi i capelli e le gocce d'acqua che mi scivolano giù per il collo e percorrono in sentieri intricati il mio petto. Indosso velocemente le mie fidate Vans, un paio di skinny jeans scuri e un pesante maglione beige oversize. Mi porto davanti allo specchio, guardando insicuro la mia immagine riflessa. Il tono della mia pelle è più acceso e dall'aspetto sano, i miei occhi visibilmente meno velati da emozioni negative, ma davvero non riesco a trovarmi neanche lontanamente nei canoni dell'accettabile, nonostante un tenue rossore si faccia spazio sui miei zigomi al ricordo delle parole di Levi. Senza indugiare oltre su quei pensieri, raccolgo i miei capelli alla base della nuca con l'elastico nero che, per abitudine, tengo sempre legato al polso. Volevo chiedere ai miei di portarmi a tagliarli oggi, ma qualcuno potrebbe avermi fatto cambiare idea.


Tiro fuori il telefono per controllare l'orario, scoprendo di avere ancora una buona mezz'ora di tempo prima che arrivino i miei genitori. Ne approfitto per mandare il classico messaggio del buongiorno ad Armin, mentre mi dirigo svogliatamente verso la cucina, intrufolandomi di
soppiatto per prendere uno yogurt ai mirtilli dal frigo e poi fare rotta verso la sala dei pasti, per concedermi una colazione veloce. Quasi non mi viene un colpo quando, seduto comodamente a gambe accavallate su una delle tante sedie, vedo Levi sorseggiare uno dei suoi immancabili the neri. Immediatamente il suo sguardo di ghiaccio incontra il mio, e ci vuole tutto il misero autocontrollo che ho in corpo per non arrossire come una ragazzina in piena crisi ormonale davanti al proprio idolo. Non mi aspettavo di trovarlo in reparto, o forse non volevo che fosse di turno per non doverlo affrontare dopo quel giorno.


Siamo rimasti su quella panchina, i brevi silenzi intervallati dalle sue parole rassicuranti e gentili, dalle mie emozioni che parevano riversarsi dalle mie labbra senza avere un consenso. Aveva poggiato la testa sulla mia, e mi ero completamente perso, sciolto sotto il suo tocco, rimasto inebriato e stordito dal suo odore intossicante di pulito e tabacco che mi inondava i polmoni ad ogni respiro; mai nessuno nella mia vita mi aveva fatto questo effetto. Siamo poi tornati in reparto, la mia mano stretta nella sua, sciogliendo le nostre dita intrecciate solo quando queste avevano catturato lo sguardo curioso, sorpreso e malizioso di Ymir e le attenzioni di Nanaba.

BORDERLINE - Ereri/Riren -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora