“Tesoro, ti dispiacerebbe andare a prendere il mio telefono? Devo averlo lasciato in giardino prima mentre davo una spuntata alle rose, dovrebbe essere sulla panchina.”

“Si mamma.”

Rispondo prontamente, alzandomi tanto di fretta dal divano da avere il capogiro e facendo rotta nel piccolo cortile, che sta iniziando a sbocciare dei colori di primavera a inebriare l’aria col profumo fresco e dolce di quei fiori dai petali dalla consistenza impalpabile. Mi chiedo però quando mia madre abbia avuto il tempo di venire fuori a fare giardinaggio, visto che ha passato l’intera mattinata ai fornelli. Ero così preso dai miei pensieri da non averla vista uscire?

Apro distrattamente la porta di casa e rivolgo uno sguardo distratto alla piccola panchina in ferro battuto, aggrottando le sopracciglia in confusione quando la trovo vuota. Non ho neanche il tempo di dare un’occhiata in giro che il suono di un clacson mi costringe a puntare gli occhi sulla strada.

Seduto all’interno di una Range Rover decappottabile e di un grigio scuro metallizzato, -nonché la macchina dei miei sogni- c’è mio padre che mi saluta dal finestrino semi abbassato, un ghigno trionfante e divertito sulle labbra.

“Non ci credo…”

Sussurro portandomi una mano alla bocca, notando la grossa coccarda verde sul tettuccio della macchina. Sento i miei occhi pizzicare e un moto di commozione scuotermi da testa a piedi mentre la risata cristallina di mia madre giunge alle mie orecchie, sovrapponendosi a quella dal tono più grave di mio padre. Mi porto le mani sugli occhi e affondo il volto fra le dita; la carezza delicata di mia madre raggiunge la mia schiena e io non esito un istante a gettarmi fra le sue braccia. La stringo a me, respirando il suo profumo di casa e di fiori, mi abbasso di poco per affondare la testa nell’incavo del suo collo e lasciare che intrecci le sue dita sottili fra i miei capelli perennemente in disordine. Quand’è che l’ho superata in altezza? Probabilmente la malattia mi offuscava tanto da farmi perdere anche questi piccoli dettagli di vita quotidiana.

Un singhiozzo sommesso seguito da un sospiro lascia le mie labbra, mentre sento la macchina rombare, segno che mio padre sta entrando dal grosso cancello in ferro. Non passa molto prima che anche le sue mani forti lascino delicate pacche e carezze sulla mia schiena, e più di qualche lacrima ha rigato le mie guance, lasciandosi alle spalle una lucida scia salata. Porto i pugni chiusi a stropicciarmi gli occhi mentre mi divincolo dalla stretta di mia madre, mormorando ringraziamenti sconnessi con voce tremante.

“G-Grazie, grazie! I-Io non me la merito, non sono nient’altro che un pessimo figlio… Però g-grazie davvero.”

“Te la meriti, invece. E non pensare quelle cose di te stesso, Eren. Siamo fieri di te e delle tue battaglie e non smetteremo mai di starti accanto e di sostenerti.”

Il tono di mio padre è deciso ma intriso di una dolcezza spiazzante al tempo stesso. Quelle parole fanno bene alla mia mente come il migliore degli unguenti curativi, leniscono e mettono a tacere tutti quei pensieri che urlano quanto io valga meno di zero. Forse hanno davvero ragione e non ho valore come essere umano, forse hanno ragione anche quando ridono a crepapelle del mio aspetto fisico. Forse davvero non valgo niente, ma per oggi non m’importa. Possono gridare fino a disperarsi e a sperare di dilaniarmi il cervello con le loro voci stridule e assordanti, ma non cederò.

Forse, me lo merito un attimo di felicità, così come mi merito l’orgoglio dei miei genitori.
E non so se questo sia perfettamente giusto o terribilmente sbagliato, so soltanto che nulla mi impedirà di godermi a pieno questa giornata.

BORDERLINE - Ereri/Riren -Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ