VII - 12 Dicembre, Giorno 10

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Mi ricorda me sotto molti aspetti, e soprattutto mi ricorda lui sotto molti aspetti.

Voglio conoscerlo, voglio che si fidi di me, voglio capirlo. Ma allo stesso tempo ho una paura indicibile e paralizzante. Paura di attaccarmi troppo, paura di rivivere momenti del mio passato che da anni sto cercando di cancellare e seppellire sotto un macigno. Quel moccioso dagli occhi verdi mi attira e respinge al tempo stesso come uno strano magnete impazzito.

Sospirando, decido di continuare con la mia mattinata di pulizie dirigendomi verso la camera di Historia, ma nel farlo i miei occhi vengono catturati dalla sua figura nella sala comune. È seduto in cerchio insieme agli altri ragazzi, i capelli color cioccolato leggermente lunghi ad incorniciargli il viso e quegli occhi impossibili. Il suo incarnato è pallido ma non c'è traccia delle solite occhiaie che gli conferiscono quell'aria perennemente stanca e malata. Non si è accorto che lo sto guardando, completamente assorbito nel suo discorso.

Parla con gli altri con fare timido e quasi impacciato, come se un profondo timore lo attanagliasse dall'interno, affondando il viso nella sua enorme felpa verde che fa risaltare ancora di più quegli smeraldi preziosi. Il suo tono di voce è talmente basso che non riesco a cogliere neanche una singola parola che lascia le sue labbra carnose e screpolate. Le gambe fasciate da stretti skinny jeans neri sono accavallate e ai piedi porta le sue fidate Vans. La sua espressione è più distesa e meno contratta di ieri, donandogli un'aria quasi serena e tranquilla.

Digrigno i denti al pensiero di quante cicatrici quest'attimo di felicità sfuggente ed effimera deve essergli costato, incolpandomi di averlo lasciato andare ieri sera. Avrei potuto - dovuto - impedire che si facesse del male. Quante volte avrà affondato le unghie negli avambracci e preso a morsi quelle carni cedevoli fino a sanguinare? Di nuovo, non sono stato in grado di cogliere i segnali.

E mentre poggio i miei occhi su di lui per l'ultima volta prima di tornare a pulire le stanze, non posso fare a meno di pensare che è bello davvero, anche col viso stanco e provato dalla sofferenza.

***

EREN

Per la prima volta da quando ho messo piede in questo posto, ho dormito per più di cinque ore. Serenità a tranquillità mi pervadono l'animo con il loro sfuggente quanto effimero calore. Cerco di imprimere nella mia mente e nel mio corpo questa sensazione di pace, ben conscio del fatto che durerà poco.

Animato da un ottimismo che non mi appartiene, dopo essermi vestito velocemente faccio rotta verso la sala comune sperando di trovare i ragazzi. Sono stanco di evitarli come la peste, e lo sono anche loro. Hanno detto di volermi conoscere e di volersi far conoscere da me, quindi ho accettato la proposta. Sono pronto a condividere la mia storia.

Quando però apro la porta e cinque paia di occhi si puntano su di me scrutandomi curiosi, quasi rimpiango la mia idea. La mia audacia pare scemare di botto, così come la mia sicurezza.

"Ma guarda chi si vede! Mr. mi-sono-murato-nella-mia-stanza! Qual buon vento ti porta qui fra noi comuni mortali?"

Esordisce Jean con tono canzonatorio, rivolgendomi uno sguardo interessato e indiscreto, un sopracciglio alzato in fare interrogativo mentre sorseggia una tisana dalla sua grossa tazza blu.

"Ho riflettuto su quello che avete detto l'altra volta ragazzi...È che sono stanco di evitarvi..."

Mi porto una mano a grattarmi la nuca in un gesto inconsapevole di evidente imbarazzo, prima di riprendere la parola.

"Vorrei conoscervi meglio, ecco tutto..."

Rispondo, prendendo timidamente posto sulla sedia libera accanto a Mikasa e Marco mentre Ymir e Jean mi guardano, accigliati. La castana mi punta un dito contro.

BORDERLINE - Ereri/Riren -Where stories live. Discover now