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~ 20171218 ~

Era molto semplice abituarsi alla presenza di una persona, considerarla parte costante della propria vita, tanto da darla per scontata

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Era molto semplice abituarsi alla presenza di una persona, considerarla parte costante della propria vita, tanto da darla per scontata. Spesso mi capitava di farlo, tuttora credo mi sia impossibile non pensarlo di alcune persone.
Spesso credevo fermamente che delle persone fossero al loro posto, solo perché ero abituata a vederle lì, sedute alla scrivania, appoggiate a un muro, seduta ad una panchina, il mio cervello rifletteva la loro immagine, così da colmarne l'insolita assenza.
Quella mattina nulla sembrava al suo posto, il cellulare non era in carica, le tende non erano chiuse, nemmeno il soffitto era lo stesso; diversa tonalità di bianco, diverso lampadario, voltai il viso verso la porta spalancata, tutto in casa taceva.
Recuperai il cellulare dal comodino erano a malapena le sette del mattino, avevo più di un'ora per prepararmi alla nuova giornata lavorativa, alzai il busto per guardarmi intorno, la stanza era perfettamente in ordine, i vestiti erano piegato sulla scrivania, la borsa appesa alla sedia e un bicchiere d'acqua era stato posto sul comodino accanto a un post it giallo.
"Piccola emergenza lavorativa, stasera Thailandese insieme?" Il tutto era accompagnato dalla firma di Minho e una faccia sorridente.
Piegai il foglietto e lo adagiai sul comodino, mi lasciai cadere sul materasso e affondai il viso nel cuscino sorridente, mi sentivo una cretina ad essere felice per un post it, il cuore nel petto sembrava in pace con il mondo, batteva abbastanza forte da poterlo sentire chiaramente, come se prima nulla vi vivesse e tutto tacesse.
Recuperai il cellulare tra le lenzuola e mi portai verso il bagno pronta ad iniziare la giornata che dava l'impressione di essere differente da tutte le altre, risposi a Minho confermando la cena e augurandogli una buona giornata, i piedi non toccavano il terreno, i passi non erano mai stati tanto leggeri e felici di essere consumati.
Mi fermai davanti allo specchio, nulla nel mio aspetto era in ordine, la sera prima non mi ero nemmeno struccata e il mio viso risultava invecchiato di dieci anni, cercai di non pensarci non era il giorno per farsi demoralizzare dal proprio aspetto.
Cercai di rendermi presentabile nel minor tempo possibile dando nuova vita al mio aspetto, non ero nota per osare con i colori, non avevo il tempo per gli abbinamenti, per valutare cosa stesse meglio con il mio incarnato, il nero era la mia risposta a tutto. Volevo osare quella mattina e al tempo stesso far felice Jonghyun usando uno dei colori che piaceva ad entrambi, il rosso.
La conversazione del giorno prima non era svanita dalla mia testa, nonostante avessi passato tutta la serata soffocando quel pensiero ogni parola detta dal ragazzo mi aveva allarmata e mi sentivo quasi in colpa a non averlo richiamato durante la serata. Stavo cercando un modo per allontanare ogni brutto pensiero e Minho ci era riuscito benissimo, riempiendo il tempo con le sue parole, risate e aneddoti assurdi.
Indossai il completo rosso sentendomi un faro, mentre mi osservavo allo specchio tutto sembrava brillare di luce propria, forse giacca e pantalone di quel colore non erano la soluzione adatta a me, ma non volevo ripensarci, avevo preso la mia decisione. Recuperai la borsa dall'armadio e controllai di avere tutto ciò che mi sarebbe servito per la giornata, tablet, agenda e vari documenti per le classiche riunioni del martedì, sembrava esserci tutto, niente mancava all'appello.
Indossai il cappotto scuro, la neve aveva smesso di cadere sulla città ma il freddo persisteva, decisi di aggiungere una vecchia sciarpa grigia, indossai gli stivaletti e di fretta raggiunsi la fermata. Mi ero persa nei miei pensieri rischiando di arrivare in ritardo a lavoro, presto ogni angoscia sarebbe tornata al suo posto e la giornata sarebbe continuata come era suo solito fare, con qualche preoccupazione in meno e dei sorrisi di troppo.
Risposi ad alcuni messaggio arretrato di Yoongi per poi perdermi tra i post di Instagram , inserii le cuffie nelle orecchie e feci partire la riproduzione casuale; "Haru Haru" mi tenne compagnia per buona parte del viaggio, tendevo sempre ad ascoltarla più di una volta di seguito, era quel tipo di canzone che non mi avrebbe mai stufato e a cui avrei permesso di accompagnarmi per sempre.
La città imbiancata era uno spettacolo magico, il traffico snervante sembrava solo un contorno trascurabile in quell'immagine tanto sublime e candida, nessuno sembrava disturbato dalla sua presenza e i ritmi sembravano essersi dilatati grazia alla neve.
Arrivai a destinazione puntuale, mi guardai intorno, nessuno dei miei colleghi si trovava nei paraggi, nemmeno Jonghyun con cui ero solita entrare in ufficio. Salutai con un inchino cordiale la guardia all'entrata, estrassi il badge dalla borsa e lo adagiai allo scanner.
La hall sembrava stranamente silenziosa, nessuno si aggirava spaesato o assonato, nessun ritardatario o sbadato che correva a recuperare qualche documento, tutto era stranamente calmo. Entrai nell'ascensore e mi appoggiai alla parete leggermente soprappensiero, si prospettava una giornata stupenda, oggi avrei lanciato il nuovo format per la rivista e avrei mangiato Thai con Minho, si poteva considerare la giornata perfetta grazie anche al mio umore stranamente collaborativo.
Guardai la mia immagine riflessa allo specchio, per un secondo immaginai di vedere al mio fianco Jonghyun che mi sorrideva e incitava ad alzare lo sguardo, ero sempre stata così timida nei suoi confronti che la confidenza acquisita negli ultimi mesi sembrava insolita. Troppe cose sembravano essere cambiate in poco tempo, non tutte avevano portato svolte positive.
L'ascensore si aprì e tutta la calma che mi aveva accompagnato nel mio arrivo alla sede svanì, l'intero ufficio era in subbuglio ogni dipendente era impegnato in telefonate e messaggi, come se una grande catastrofe avesse colpito il mondo del gossip.
Adagiai la borsa sulla scrivania e presi posto sulla sedia in attesa che il computer si accendesse, la porta dell'ufficio di Jonghyun era semiaperta, probabilmente stava controllando il suo articolo ancora una volta prima di sottopormelo.
«Cosa stai facendo?» chiese la mia collega appoggiandosi alla scrivania quasi senza fiato.
«Sto per rimettermi al lavoro, devo concludere il pezzo sulla nuova band del momento» era sempre stato mio compito occuparmi della sezione musicale della rivisita, amavo partecipare ai concerti ed essere a stretto contatto con gli artisti.
«Accantona quella roba, qui ci sono pesci ben più grossi, ci stanno lavorando i migliori e tu sei tra loro» Junglin portò i lunghi capelli scuri su un lato della spalla e con l'ausilio di un pollice inizio a digitare qualcosa sul suo telefono, mentre i restanti colleghi mormoravano parole che mi risultavano sconnesse.
«Credo di essere rimasta indietro con qualche notizia» la informai osservando lo schermo del suo cellulare, la ragazza mi porse una foto della cantante del momento avvicinandosi al mio volto con un sorrisetto che denominava qualche scandalo.
«Voci che provengono dal manager stesso di Kim Jenni insinuano che la principessa della YG sia in "dolce" attesa» fece le virgolette con le dita per sottolineare il fatto che la parola "dolce" fosse un modo carino per non esprimere il vero pensiero della cantante. Per una rivista di gossip era sicuramente uno scoop imperdibile, ma mi piaceva pensare che la nostra rivista fosse sopra questo genere di pettegolezzi, anche se una intervista esclusiva avrebbe sicuramente incrementato le nostre vendite.
«Jonghyun che ne pensa? Sapete che non gli piacciono questo genere di cose» la politica dell'uomo era quella di essere al di sopra di qualsiasi gossip spicciolo, battersi per l'arte e la musica e non dare agli artisti altri problemi che non fossero le critiche legate alla propria arte.
«Non lo sai?- la ragazza mi guardò stranita per poi indicare la porta dell'uomo con fare svogliato- non si è presentato a lavoro stamattina lo scansa fatiche » esclamò allontanandosi dalla mia scrivania e dirigendosi verso la sala comune probabilmente per spettegolare della povera Jenni.
«Lui non si assenta mai da lavoro» mormorai confusa. Spesso Jonghyun era venuto a lavoro malato e non nelle condizioni per poter indossare qualcosa di diverso da un pigiama; non aveva mai saltato un giorno in ufficio, presenziava ad ogni riunione e monitorava tutti gli articoli che venivano scritti durante la giornata.
Recuperai il cellulare dalla tasca del cappotto e mi catapultai nell'ufficio del ragazzo notando che la sua sedia era vuota, il cappotto non era al suo posto e il suo computer era spento. Ero convinta si trovasse al suo posto, sulla sua poltrona assorto nei pensieri e invece non c'era.
Pigiai sull'icona della rubrica e feci partire subito la chiamata per poterlo rintracciare.
Il telefono squillava, quel suono era l'unica cosa che riuscivo a sentire, un continuo e ritmico segno che qualcosa non andava, perché Jonghyun rispondeva sempre al telefono. Aprii il cassetto della scrivani e presi la sua agenda personale, sfogliai le pagine per poter controllare gli impegni della giornata e poter valutare se avesse altri impegni o se le mie preoccupazioni potessero prendere il sopravvento.
Il cuore martellava nel petto, il cervello pulsava nella testa e le mani tremavano, mentre con estremo stupore voltavo l'ultima pagina dell'agenda, trovando il suo mercoledì vuoto e senza impegni.
Provai una seconda volta a chiamarlo, una terza e persino una quarta, ma ogni tentativo era risultato inutile e le voci dei dipendenti stavano diventando sempre più rumorose e obsolete, non era dello scandalo che dovevano occuparsi in quel momento e forse sarebbe toccato a me ristabilire l'ordine.
Spalancai la porta dell'ufficio e mi fermai sulla soglia sperando che qualcuno mi notasse, ma io non ero Jonghyun, nessun vestito appariscente, nessuna espressione disarmante avrebbe attratto le persone, non ero una personalità travolgente, ero solo Inna. Una ragazza felicemente nell'angolo e che non aveva molta voglia di emergere.
«Ragazzi potrei avere la vostra attenzione» provai a dire, ma nessuno riuscii a sentirmi o forse nessuno aveva voglia di ascoltarmi, schiarii ancora una volta la voce e ritentai ad attrarre l'attenzione di tutti.
«Scusate» alzai ancora un po' la voce ma le uniche attenzioni che ricevetti furono quelle di Jiho che mi intimava di fare più piano mentre era al telefono. Avevo veramente poco tempo per qualsiasi cosa, dovevo assicurarmi che Jonghyun stesse bene.
«YAAA Stronzi» urlai attirando l'attenzione di tutto lo staff, le facce erano sbigottite dalla mia scurrilità, ma in quel momento sembrava l'unico modo per mettere fine a quel supplizio nel minor tempo possibile, non volevo rimanere in quell'ufficio un secondo di più.
«Bene ora che ho la vostra attenzione vorrei dirvi due cose - feci una breve pausa per dare modo a tutti di concludere le loro telefonate - la prima è che mi dispiace se vi ho chiamati stronzi, sono mortificata - chinai il busto in segno di scuse per poi tornare dritta- la seconda è che dovete dimenticarvi dello scandalo Jenni, la nostra rivista non si occupa di questo, noi non promuoviamo la violazione della privacy di un artista, analizziamo il suo lavoro e lo giudichiamo attraverso quello» cercai di darmi un tono, volevo sottolineare il nostro vero lavoro, anche se probabilmente nessuno di loro se n'era dimenticato, il mio compito era solo quello di ricordarlo; per delle riviste, era sempre allettante lo scoop facile e in assenza di Jonghyun era compito mio riportare il buonsenso in ufficio. Controllai il cellulare nervosa, l'uomo non mi aveva richiamata e la cosa alzava sempre di più il livello di ansia, speravo solo che gli si fosse rotto il telefono, che non l'avesse messo in carica o che per qualche strana ragione mi stesse ignorando.
«Credo non sia giusto dimenticarci di queste informazioni, ormai le abbiamo perché non usarle?» la voce dell'avidità si fece strada in quel silenzio imbarazzante, mi stavano osservando tutti quanti e probabilmente ai loro occhi risultavo come la segretaria carina che cercava di darsi un tono mentre il capo era assente.
«Perché non sono articoli che si aspettano i nostri lettori, ma soprattuto non sono cose realmente importanti per noi,- sentivo l'imbarazzo di essere osservata espandersi nel mio corpo, dandomi la forza di proseguire il mio discorso altamente improvvisato- mi assenterò per qualche minuto, il capo mi ha chiesto delle commissioni, quando torno voglio vedervi ai vostri posti e pronti per la riunione, non voglio vedere nemmeno mezzo articolo sulla presunta gravidanza di Kim Jenni. Sono stata chiara!?» indicai la sala con fare solenne, non ero Jonghyn, non potevo convincere le persone con il mio fare calmo e i modi persuasivi.
Lo staff sembrò comprendere la mia serietà e lentamente tutti ritornarono alle loro scrivanie per poter proseguire il vero lavoro.
Recuperai borsa e cappotto e senza aggiungere altro mi precipitai nell'ascensore, indirizzata verso la casa del mio capo, provai ancora una volta a chiamarlo, il telefono continuava a squillare, ma l'uomo sembrava non voler rispondere. Ero solita trarre conclusioni affrettate di natura catastrofica, spesso tendevo a vedere le cose solo dall'aspetto negativo e questa mia attitudine diventava pressante quando persone come Jonghyun non rispondevano al telefono.
Indossai il cappotto in fretta e le porte dell'ascensore si aprirono, l'atrio era deserto, solo l'usciere con aria annoiata osservava l'aerea in modo distratto.
Mentre mi dirigevo all'esterno dell'edificio, nulla sembrava più chiaro, fissavo intensamente lo schermo del cellulare, senza sapere cosa fare, le chiamate sembravano inutili, i messaggi rasentavano il ridicolo, ma non fare nulla mi faceva impazzire.
Presi il primo taxi fermo davanti all'ufficio e lo indirizzai verso l'appartamento, il viaggio fu molto lungo e snervante, la radio era spenta, il conducente stranamente silenzioso. Il silenzio mi diede modo di ricordare, che non molto tempo prima, Jonghyun aveva perso il telefono e per motivi di lavoro mi aveva lasciato il recapito telefonico della sorella.
Cercai velocemente il numero nella rubrica e quasi sollevata la chiamai, mancavano pochi minuti all'arrivo nel suo appartamento.
Cercai di calmare il respiro agitato, non volevo risultare troppo allarmata senza avere concrete prove di ciò che aveva trattenuto Jonghyun dal venire a lavoro, poggiai una mano sul petto, come se questo potesse aiutarmi dal calmarlo, la preoccupazione predominava ogni mio movimento senza scampo.
Il suono proveniente dal cellulare cessò e la voce delicata di una donna rispose.
«Salve è la signorina Kim?» chiesi velocemente, guardai fuori dal finestrino e riconobbi gli edifici che distavano pochi passi dall'appartamento di Jonghyun, estrassi i contanti dalla tasca del cappotto e li porsi al tassista mentre accostava.
«Si, sono io, con chi parlo?» uscii velocemente dal veicolo e mi guardai un secondo intorno, mi sentivo spaesata e la voce della ragazza non mi aiutava per niente, sembrava ovattata e quasi un sussurro.
«Sono Min Inna, lavoro con suo fratello, Jonghyun stamattina non si è presentato a lavoro, lei lo ha sentito di recente?» affrettai il passo verso la strada chiusa dove un'ambulanza sostava, le porte posteriori erano aperte e dei paramedici non c'era traccia probabilmente erano già all'opera.
«Mio fratello... » la donna fece una pausa, ma non ci fu bisogno di continuare la frase; dall'ingresso principale uscirono i paramedici con una barella, il corpo sopra di essa era coperta fino alla testa da un lenzuolo bianco e al loro seguito Kim Sodam, la sorella di Jonghyun con gli occhi rossi e il viso pallido.
Lasciai cadere il telefono a terra, la testa si svuotò e per un momento il cuore cessò di battere e nulla sembrò reale. Stavo soffocando, non riuscivo a respirare, ogni cosa diventava buia mentre la barella veniva caricata con cura e snervante tranquillità sull'ambulanza.
Il paramedico si allungò per chiudere lo sportello e quando alzò gli occhi notai subito che si trattava di Minho, con la mascherina al viso e gli occhi tristi. Feci un passo indietro e mi appoggiai al pilastro alle mie spalle, delle lacrime bagnarono il viso mentre ogni mia colpa martellava nella memoria, ogni messaggio, discussione, parola e sguardo.
Il telefono ai miei piedi squillò, il nome di Minho comparve sullo schermo che presentava una crepa, automaticamente guardai l'ambulanza andare via. Mi aveva notato anche se ero in un angolo, mentre speravo di diventare trasparente, in modo che nessuno potesse vedermi.
Mi abbassai lentamente non avevo le forze per muovermi liberamente, il corpo tremava, ogni arto sembrava volersi distaccare dal corpo, risposi alla telefonata e adagiai il telefono sull'orecchio senza dire nulla.
«Inna torna a casa» la sua voce fu chiara e diretta, potevo vedere il suo volto serio che pronunciava quelle parole. asciugai le lacrime sul volto e feci un respiro profondo prima di rispondergli.
«Jonghyun non è venuto a lavoro oggi» sussurrai involontariamente, la mia voce si rifiutava di uscire dalle labbra, ogni parola di quella frase era dolorosa e una lacrima in più sul volto.
«Lo so, per favore torna a casa, chiama Chaeyoung e andate a casa insieme» ripetè con la stessa calma, sapevo quanto si preoccupasse per me, ma non riuscivo a muovermi e nella mia mente l'unica cosa razionale da fare era tornare a lavoro, vivere la giornata come un qualsiasi martedì mentre Jonghyun non c'era, non accettavo altre soluzioni.
«Jonghyun non è a lavoro, significa che la responsabilità è mia, non posso tornare a casa» affermai a fatica, feci un respiro profondo e mi misi in piedi, attraversai la strada e bloccai il primo taxi libero in modo da poter tornare indietro. Avevo le mani congelate, il tempo freddo e il solo cappotto a ripararmi non aiutava a tenere caldo, diedi l'indirizzo al conducente e cercai di placare le mie emozioni.
«Devi tornare a casa, ti prego Inna» mi implorò il ragazzo per l'ennesima volta, ma non sarei tornata a casa, non ne avevo la minima intenzione, quella situazione era colpa mia e dovevo prendermene piene responsabilità nel modo più professione possibile.
«Ci vediamo stasera» chiusi la telefonata ed estrassi dalla giacca lo specchietto che portavo sempre con me, sistemai il trucco e cercai di convincermi che tutto sarebbe andato per il meglio che ogni mio pensiero e ricordo era stato distorto dalla preoccupazione e la fervida immaginazione.
Stavo contraddicendo i miei soliti pensieri catastrofici, in modo da potermi consolare, credere che ogni cosa potesse tornare al suo posto, essere recuperata e migliorata; non volevo ammettere a me stessa che era tutto finito...
Ogni cosa era cessata.
La vista degli uffici non mi diede più forza, ogni pezzo di me si stava sgretolando, lasciando solo il peggio, la mia vulnerabilità e la colpa di ciò che era accaduto. Ogni passo e momento in silenzio era solo l'affermazione che nulla stava andando bene ed era sempre più vicino il tempo della verità.
L'ascensore fu un momento di pausa, dove ogni pensiero era rinchiuso in quel piccolo spazio senza via d'uscita, uno spazio che era mio e di Jonghyun, ma che in quel momento non era di nessuno.
Guardai il mio riflesso allo specchio, non riconoscendo me stessa, vedevo al mio fianco l'uomo e il suo sorriso come se fossero realmente accanto a me, ma tutto svanì quando le porte dell'ascensore si aprirono, rivelando un ufficio silenzioso e in ordine.
Uscii dall'ascensore rendendo i miei passi il più leggeri possibili e mi diressi verso l'ufficio di Jonghyun, la porta era di nuovo semi chiusa e la sedia volta verso la librerai, mi sembrava quasi di intravedere i suoi capelli scuri appoggiati allo schienale e di sentire lo scricchiolio della sedia, mentre si dondolava soprappensiero.
«Qualcosa non va Inna?» la voce di una reporter mi fermò prima che potessi aprire del tutto la porta e constatare che Jonghyun non c'era; sorrisi alla ragazza più giovane di me, che mi stava porgendo dei fazzoletti, senza rendermene conto avevo ripreso a piangere e tutti mi stavano fissando.
«Dovrei fare un annuncio» non sapevo se era compito mio dare quel comunicato ai dipendenti, probabilmente non ne avevo l'autorità.
«Kim Jonghyun è venuto a mancare - le parole innescarono un brusio e le facce perplesse dei dipendenti - non si hanno ancora notizie certe, per oggi siete liberi dai vostri doveri» congedai i dipendenti che con calma ed estremo silenzio si congedarono dall'ufficio, salutai ogni dipendente con un inchino, cercando di mantenere il controllo, non potevo piangere, non era opportuno in una situazione del genere.
«Hai bisogno di qualcosa?» Una delle mie college si fermò al mio fianco con sguardo triste e apprensivo, come se avessi perso un parente, un marito o un figlio, in realtà non ero certa nemmeno di poter definire Jonghyun un amico, avevo ignorato ogni campanello d'allarme e se fossi stata più attenta tutto ciò non sarebbe successo.
«No, grazie sto bene» le sorrisi chinando leggermente il busto, la donna contraccambiò il gesto sorprendendomi, poggiò una mano sulla spalla in segno di conforto.
«Va bene se stai male, sappiamo tutti che per te il signor Kim era importante» lo disse con una freddezza teatrale, mentre credeva che quel semplice contatto fisico indesiderato, potesse risollevarmi il morale o farmi aprire con lei.
«Grazie veramente, ma so gestire le mie emozioni» tolsi gentilmente la mano dalla spalla e mi voltai verso l'ufficio di Jonghyun, aprii del tutto la porta, rivelando la stanza in ordine e vuota.
L'ufficio si svuotò, ero l'ultima rimasta, mi portai verso la scrivania, in modo da mettere al suo posto la poltrona, la mia debole mente sperava ancora di trovarlo sulla sedia a sonnecchiare dopo una dura giornata lavorativa, magari perso nei suoi ragionamenti o concentrato, mentre fissava la vetrata alle sue spalle; ma su quella poltrona non c'era.
La colpa per un momento lasciò spazio alla rabbia e con un calcio allontanai la poltrona che si scontrò con la libreria, la vita ignobile sembrava avermi concesso un attimo di tranquillità, di avermi dimenticata così da concedermi di vivere dignitosamente e invece Jonghyun non c'era più, tutto perché non ero accorsa in suo aiuto quando avevo intuito qualcosa. Mi consideravo più di una collega per lui, eppure non ero riuscita a porgli le domande giuste al momento opportuno, non mi ero interessata alla sua vita privata e l'avevo dato per scontato, ignorando i segnali che lo circondavano per comodità, perché nella mia testa Jonghyun era perfetto e pensieri così terribili non sembravano da lui.
Recuperai la sedia per riporla davanti alla scrivania e una busta bianca mi attrasse, riportava il mio nome e la calligrafia sembrava proprio quella dell'uomo, mi presi la libertà di occupare il suo posto, così da poter esaminare il contenuto.
Un foglio ripiegato era l'unico suo ospite e il contenuto della lettera risultava scritto a mano dai rilievi che potevo sfiorare con i polpastrelli. Avevo dolori ovunque, ogni movimento, silenzio o momento di assenza mi trafiggeva il corpo ricordandomi di non avere il privilegio della serenità, mi ero macchiata di una colpa grave, quella di aver ignorato un amico in difficoltà, lasciandolo scivolare nel destino più spietato che potesse attenderlo.
Esaminai per un momento il foglio, la scrittura era impeccabile, nessuna sbavatura ne segno di incertezza, tutte cose inutili da notare, ma la paura di leggere era molta, la speranza che fosse un documento per l'ufficiò svanì quando lessi il mio nome all'inizio della lettera e non potei fare a meno che leggere.

Elevator || JonghyunWhere stories live. Discover now