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~ Bungeoppang ~

Fissavo il soffitto senza sapere cosa stessi aspettando, cosa volessi fare, era un momento vuoto, senza decisioni ne aspettative, un momento in cui mi sembrava di buttare via la mia vita, quel momento a fine giornata in cui la negatività mi si acc...

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Fissavo il soffitto senza sapere cosa stessi aspettando, cosa volessi fare, era un momento vuoto, senza decisioni ne aspettative, un momento in cui mi sembrava di buttare via la mia vita, quel momento a fine giornata in cui la negatività mi si accatastava nella mente.
L'ufficio era vuoto, non era preventivata la mia presenza di sabato sera, ma avevo deciso di sparire per un po', allontanarmi dall'appartamento, da mio fratello anche se contrariamente a quello che pensavo si stava comportando in maniera eccelsa facendomi desiderare una sua permanenza prolungata.
Chiusi il computer e mi diressi a passo lento verso la sala ristoro per prepararmi un caffè che mi risvegliasse da quel momento di vuoto. Lentamente stavo tornando allo stato iniziale, dove la felicità non era permanente ma solo un raro momento tra eterni giorni di buio e inutilità.
Presi la tazza dal piano e mi portai nella stanza accanto ritrovandomi davanti Jonghyun vestito in modo informale; portava dei semplici jeans neri e una camicia bianca larga, leggere con i primi bottoni slacciati e le maniche alzate. Era concentrato sull'orologio che portava sul polso sinistro, lentamente cercai di tornare dentro la saletta da cui ero uscita, ma Jonghyun alzò gli occhi prima che potessi sparire.

«Dovresti essere a casa» disse confuso, il suo viso era estremamente stanco, le occhiaie si notavano anche a notevole distanza, nonostante avesse provato a nasconderle con del trucco.

«Anche tu» specificai indicando il calendario accanto a me che mostrava a grandi lettere la parola "sabato", più sicura di me ritornai sui miei passi e mi diressi verso la scrivania dove ero precedentemente seduta.
Jonghyun mi seguì con passo svelto e leggero.

«Questo è il mio palazzo» ci tenne a specificare, incrociò le braccia al petto e appoggiò il fianco alla scrivania, alzai gli occhi sul suo volto e notai che non portava gli occhiali, bensì le lenti a contatto azzurre.

«Questa è la mia vita» chiusi il discorso sbuffando, Minho quella mattina aveva fatto un discorso simili sul rimanere a casa, staccare dal lavoro facendomi innervosire.

«Qualcosa non va?» chiese con voce più morbida, mi dispiaceva essermi rivolta a lui in tono tanto sgarbato, non era colpa sua. La sua mano si poggiò con delicatezza sulla mia, avrei voluto che quel contatto durasse per sempre, fosse infinito e anestetizzante nella vita, ma una sensazione di disagio mi pervase.

«No, è solo un insieme di cose, misto allo stato d'animo sotto i piedi» mi limitai a dire alzandomi dalla sedia e mettendo fine a quel contatto, tutto con Jonghyun era strano, non capivo cosa provassi per lui e mi sembrava una grave mancanza di rispetto continuare quel gioco.

«Posso fare qualcosa?» si propose come sempre mostrandomi il suo sorriso bambinesco, mi fermai qualche secondo ad osservarlo. In otto anni mi aveva sempre aiutata, anche quando la confidenza tra noi era inesistente, mentre io non gli avevo mai dato una mano al di fuori dell'ambito lavorativo.

Elevator || JonghyunWhere stories live. Discover now