«Sarà più di un mese che non vado a passeggiare in un parco, tra il lavoro e il brutto tempo l'unica cosa vista di recente sono le mura del mio ufficio e quelle di casa»

«Allora parco sia! Decido io cosa ordinare per pranzo» si prenotò soddisfatto, estrasse il telefono dalla tasca e iniziò a controllare quali negozi fossero nelle vicinanze del parco da lui deciso per passare la giornata.

****

Speravo fosse rilassante per una volta stare seduti, all'ombra di un albero, con gli occhi chiusi e l'aria che rinfrescava la pelle accaldata e invece i pensieri mi tormentavano.
Sentivo costantemente il petto pressato, come se i problemi avessero preso forma reale e adesso stessero schiacciando il torace senza possibilità di fermare tale strazio. Era un dolore lancinante, che colpiva anche i polmoni impedendomi di respirare correttamente, mi piegai in avanti portandomi una mano al petto, provai a fare respiri profondi senza successo.
Minho accorse in mio aiuta stringendomi la mano in modo delicato e aiutandomi ad assumere una postura che mi permettesse di respirare, strinsi saldamente la mano del mio amico e serrai gli occhi cercando di regolare il movimento del torace.
Minho con la mano libera si allungò verso la mia borsa e recuperò l'inalatore che non mi abbandonava mai da tempo, tolse distrattamente il tappo e lo porto davanti alle mie labbra in modo che potessi utilizzarlo. Ero restia al suo uso, ma in quel momento nulla mi avrebbe guarita, sentivo la gola bruciare e gli occhi lacrimare per lo sforzo di riuscire a prendere dell'ossigeno senza successo.
Inalai il prodotto a fatica e senza mollare la presa sulla mano di Minho ripresi a respirare anche se in modo irregolare.

«Come va adesso?» chiese il ragazzo porgendomi con la mano libera la borraccia d'acqua posta di fronte a lui, la presi senza esitazioni e bevvi un lungo sorso prima di rispondergli.

«Meglio grazie, scusami» non sapevo bene cosa dirgli, scusarmi era diventata una prassi per qualsiasi cosa facessi, ormai il significato della parola si stava perdendo nella mia mente, facendo diventare il tutto solo un esclamazione, un obbligo verso le poche persone che mi circondavano.

«Scusami!? dovrei strigliarti è la terza volta in una settimana» rispose alterato il ragazzo, nonostante la sua indignazione mi riservò gesti delicati e accorti, portò dietro l'orecchio una ciocca sfuggitami dalla coda fatta mi precedenza e mi porse subito dopo un fazzoletto per potermi asciugare le labbra, il tutto mentre mi guardava con sguardo accusatorio.

«Passerà, è solo un brutto mese» lo rassicurai.

«Un mese che dura tre anni, Min Inna» si alzò dal prato lasciando andare di colpo la mia mano che ormai si era abituata a quel contatto; non era mai un buon segno quando mi chiamava con il mio nome per esteso, ciò significava una lunga discussione.

«Choi Minho» ricambiai mostrandomi altrettanto alterata, mi alzai da terra barcollando leggermente e nonostante il suo sguardo freddo si portò in avanti per evitare che cadessi a terra, riuscii a riprendermi e allontanare le sue braccia.
Lo trovavo snervante quando voleva farmi la predica come se fosse mio padre, spesso gli permettevo con troppa noncuranza di entrare nella mia sfera personale senza pensare alle conseguenze.

«Non mi sembra il caso di farne un affare di stat... Signor Kim è un piacere vederla» mi bloccai subito e la mia voce calò di qualche tono quando i miei occhi incontrarono quelli del mio capo a pochi passi da noi.

«Chiamami Jonghyun da quando tutta questa formalità!?» parlare con Jonghyun era un continuo imbarazzo, non sapevo mai come rivolgermi a lui e se era opportuno farlo in tutti i contesti allo stesso modo.

«Scusi» mormorai abbassando lo sguardo.
Minho si fece avanti, fece un inchino in segno di rispetto e allungò per primo la mano in segno di saluto.

«Choi Minho, un amico di Inna» anche il suo tono di voce era cambiato, dolce, gentile, allegro, tutto ciò che rappresentava Choi Minho, riusciva ad illuminare l'intero quartiere con la sua risata e il suo viso non sembrava conoscere nulla oltre l'allegria e talvolta la rabbia nei miei confronti sia per i miei atteggiamenti non curanti, sia perché lasciavamo sempre a lui i piatti da lavare.

«Piacere, vi lascio al vostro pranzo» Jonghyun strinse la sua mano volentieri, non era il tipo da rifiutare tale contatto, sorrise in modo amichevole e fece per avviarsi verso una meta sconosciuta.
Quasi con urgenza mi portai qualche passo avanti e poggiai una mano sulla sua spalla per bloccarlo.

«No, la prego si unisca a noi, abbiamo molto cibo, ci farebbe piacere la sua compagnia» provai a dissuaderlo dall'andarsene, quel giorno non portava le lenti colorate, potevo immergermi completamente nella sua quotidianità in quel momento: abbigliamento casual, capelli spettinati, occhiali che portava sempre sulla punta del naso, viso leggermente assonnato e gli occhi liberi dalle lenticchie che mostravano i suoi occhi scuri che in quel momento sembravano più tristi del solito.

«Magari la prossima volta a domani Inna» mi saluto con l'accenno di un sorriso e ritornò sui suoi passi.

«Quel tipo sembra strano» accennò Minho quando Jonghyun scomparve dalla nostra vista, mi voltai di scatto verso di lui ritrovandolo seduto all'ombra dell'albero.

«Parlando con te sembrano tutti strani» gli feci notare inginocchiandomi sulla coperta rossa in modo troppo brusco.

«Calma gli animi, intendevo in senso emotivo, sembrava stesse male» si affrettò ad aggiungere porgendomi un bicchiere di acqua, mi sedetti in modo più comodo e guardai verso il punto dove il mio capo era svanito. Anche io avevo notato la tristezza nei suoi occhi, ma forse poteva essere solo stanchezza, tutto grava sulle sue spalle e non aveva nessuno con cui condividere il fardello della ditta.

«Lui è il CEO dell'azienda in cui lavoro, sicuramente i suoi pensieri non sono liberi come i nostri» specificai guardando Minho; mi stava fissando con insistenza, con sguardo duro e accusatorio, come se avessi detto qualcosa di irrispettoso.

«Sicuramente potrebbero essere più simili ai tuoi» sospirai al suo ennesimo tentativo di intrufolarsi nella mia sfera personale; ero al limite, travolta dalla rabbia mi alzai in piedi per potermi dirigere verso casa. La mano di Minho mi bloccò prima che potessi fare qualsiasi passo, forse stavo sfuggendo dalla verità, dalla conferma che c'era qualcosa che non andava in me.

«Inna parlarne potrebbe farti bene, voglio solo aiutarti» mi supplicò il ragazzo, i suoi grandi occhi scuri mi bloccarono, non potevo più scappare, ma non avrei ceduto ai sui modi dolci, Minho non mi avrebbe fatta crollare, non mi sentivo in vena di esternare i miei sentimenti, soprattuto perché non sapevo bene nemmeno io cosa provassi in quel momento.

«Va bene così Minho, è solo stress» cercai di rassicurarlo dandogli delle pacche sulla testa, mentre la sua mano teneva saldo il mio polso in modo che non potessi scappare via.

«Sono qui Inna» mormorò come era suo solito fare dopo un litigio, non importava quanto grave fosse, ci teneva a farmi sapere che potevo contare su di lui, qualsiasi cosa succedesse tra noi.

«Lo so Minho» risposi sentendomi morire un po'.

Nonostante la sua presenza mi sentivo così sola, come se non avessi una casa, costretta a vagare tra persone vuote, in stanze vuote che non mi appartenevano, eppure lui era lì, pronto a perdonare ogni mio errore o mancanza, pieno di tutto, un tutto che non riuscivo a cogliere.
Non meritavo Minho come amico, era fin troppo per me e lui non mi meritava nella sua vita, troppo egocentrica per poterlo trattare come meritava di essere trattato.

Ma lui era lì e lì sarebbe rimasto per me.

Ma lui era lì e lì sarebbe rimasto per me

¡Ay! Esta imagen no sigue nuestras pautas de contenido. Para continuar la publicación, intente quitarla o subir otra.
Elevator || JonghyunDonde viven las historias. Descúbrelo ahora