cap.30

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27 gennaio, 16.01

Levi

Eren appoggiò la testa alla mia spalla, battendomi non troppo piano un pugno sul petto:- Non hai risposto alla mia domanda!

Dio, mi ero ripromesso di non cedere e che se fossi stato abbastanza duro sarei riuscito ad allontanarlo quel che bastava a salvarlo, senza che avesse rimorsi per me.

Ma era troppo difficile.

Sospirai, mentre Eren stringeva una parte della mia maglietta nel suo pugno:- Quanto conto ancora?!

Sentire di nuovo quelle parole, con quel tono spezzato, fu come sentire una lama fredda attraverso il petto.

Non riuscii più a resistere e serrai le braccia attorno alla sua schiena:- Tanto, Eren. Troppo. Talmente tanto che se tu morissi sarebbe un debito che non potrei pagare nemmeno con la mia stessa vita.

Lui si bloccò all'istante, sentendo quelle parole:- É per questo che oggi...

- Sì.

Sentii che la presa sulla mia maglietta si allentava fino a che la sua mano non si spostò attorno al mio collo:- Non farlo mai più, ti prego.

Non riuscii a rispondere e restai immobile stringendolo a me, fino a quando lui sussurrò ancora:- Mai più.

E poi avvertii il contatto delle sue labbra con il mio collo. Succhiò appena, per poi staccarsi producendo uno schiocco.

Il secondo successivo i suoi occhi erano incollati ai miei:- Promettilo.

Per un attimo, mentre lo sbattevo contro il muro, trascinandolo in un bacio che sapeva di disperazione e di scuse, lo maledissi.

Lo maledissi per quegli occhi che mi facevano perdere la capacità di riflettere lucidamente, e lo maledissi ancora perché era riuscito a farmi innamorare.

Le sue mani scorsero leggere attorno al mio collo e poi sulle spalle, giocando con gli orli delle maniche.

Ad interromperci, fu il rombo di un motore che risuonò in tutto il parcheggio.

Mi allontanai da Eren, voltando la testa in direzione dei furgoni, uno dei quali aveva i fanali accesi e la Quattrocchi, all'interno, che agitava la mano.

- Ottimo.- sussurrai, per poi fare cenno a Eren di andare.

Avevamo una priorità, ed era arrivare a Shiganshina.

Eren

Il furgone uscì dal magazzino scivolando silenzioso sull'asfalto, passando poco lontano dalle auto al nostro inseguimento, ora ferme, con i motori spenti.

Dopo di che Hanji guidò oltre il largo parcheggio per poi tornare sulla strada.

Incredibilmente sembrava che nessuno ci avesse notati, cosa che ci lasciò proseguire senza ostacoli sulla strada deserta.

Il silenzio che regnava nell'auto aveva un che di surreale e teso.

Dopo una manciata di minuti il mio sguardo era già perso fuori dal finestrino, seguendo distrattamente le goccie d'acqua che scorrevano sul vetro.

Con la mente che riproduceva in loop le labbra di Levi sulle mie e la sensazione della sua pelle sotto le mie dita.

E, cavolo, quanta voglia avrei avuto di restare lì per sempre, tra le sue braccia, senza avere spazio per pensare a tutto il resto.

A mio padre, al demone, a tutte le vite spezzate, al suono dei proiettili e al sangue.

Eppure in quel momento non avevo altra scelta che pensarci.

Stavamo andando a Shiganshina, la città dove ero cresciuto e dove ero anche diventato una specie di scatola per qualcosa di orribile.

E questa scatola stava diventando un po' troppo stretta per me e il demone insieme.

Nonostante le domande che vorticavano nella mia testa, però, l'obbiettivo al quale puntavo era molto semplice e conciso: arrivare a Shiganshina, liberarsi del demone, e tornare indietro con Levi e Hanji vivi.

Soltanto dopo, pensai, mi sarei fatto raccontare i dettagli su Kenny, solo dopo avrei dato una risposta alle mie domande.

Stavo ancora rimuginando sui fatti avvenuti e su ciò che stava per succedere, quando il motore si spense.

Sbattei le palpebre un paio di volte, mentre tornavo alla realtà.

Levi, che aveva appena aperto lo sportello del furgone, annunciò:- Siamo arrivati.

Buttai le gambe giù dal sedile e lanciai uno sguardo alla strada ordinata, alle case bianche allineate lungo i marciapiedi, attorno alla quali apparivano giardinetti curati.

E poi, giù, in fondo al viale, l'ultima casa con l'intonaco scrostato, le finestre sbarrate, l'erba secca e il tetto consumato.

E, nella mia immaginazione, tre bambini stesi sul prato, che guardavano il cielo, fantasticando sul mare.

Lentamente, sentii le palpebre abbassarsi.

Come se una stanchezza improvvisa si fosse impossessata del mio corpo, ed allora crollai indietro sul sedie, sentendo come ultima cosa Levi che mi chiamava preoccupato.

Psycho || Ereri ||Where stories live. Discover now