cap.29

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27 gennaio 15.38

Levi
Andando nella direzione in cui si era diretta Hanji, poco prima, ripercorsi tutti i ricordi che avevo di Kenny.

Non aveva mai tentato di uccidermi, no. Se l'avesse voluto sarei già morto.

Eppure non mi aveva dato una vita, mi aveva insegnato a sopravvivere.

E la sopravvivenza non è vita.

La prima cosa che imparai da lui, dopo che mi prese con sé dalla stanza di quel bordello, fu come impugnare corretamente un coltello.

E successivamente come usarlo.

Come usarlo per uccidere.

Mi diede del cibo, mi fece capire che non dovevo fidarmi di nessuno, che il mondo non era il posto giusto in cui provare emozioni.

Poi, appena fu certo che fossi abbastanza spietato, mi abbandonò.

Ma ora, ripensandoci, perché avrebbe dovuto salvarmi per poi lasciarmi ad un destino del genere?

E per quale motivo volermi cercare così tanti anni dopo?

Non era pentimento. Dubitavo che Kenny potesse anche solo volersi pentire.

Con questi pensieri che mi vorticavano nella testa, mi lasciai alle spalle una ventina di uomini atterrati, portando il peso di un taglio sulla scapola e lividi innumerevoli.

Ad un certo punto del combattimento era diventato impossibile fare resistenza senza uccidere.

Erano in sei, attorno a me, e altri quattro arrivavano dal fondo del corridoio, ormai già tenevo il coltello in mano.

Sarebbe bastato un movimento veloce del braccio per tagliare di netto la gola del nemico più vicino.

Ma poi, quei fottutissimi occhi mi erano comparsi in mente, pieni di vita, che brillavano come sempre, e subito dopo, nel momento in cui avevo abbassato la lama, si erano spenti.

Lasciandomi a fissarmi la mano, senza essere capace di uccidere.

Avevo già ucciso molte persone.

Uomini, donne.

Onesti o meno, giovani o vecchi.

Nessuna distinzione.

Una volta che mi veniva dato un ordine, se qualcuno osava intromettersi, doveva considerarsi morto.

Ma quel Moccioso aveva cambiato tutto.

Dalla cosa più piccola a quella più terribilmente grande.

Svoltai un angolo, trovandomi davanti un grande parcheggio con Eren e la Quattrocchi che sembravano aver appena concluso una conversazione.

Eren, ora in piedi, aveva di nuovo lo sguardo acceso di quella luce bellissima:- Moccioso, che è successo?

Lui sussultò, accorgendosi della mia presenza, mentre gli occhi si agganciavano ai miei, come per cercare qualcosa:- Ho ricordato una cosa. Mio padre faceva esperimenti veri e propri, nel tentativo di creare qualcosa. Ed evidentemente io sono stato la volta buona.

Annuii leggermente:- Ok, ho capito. Ma dobbiamo andarcene di qui. Quattrocchi, vedi se riesci a mette in moto un furgone.

La donna si avviò verso i veicoli, lasciandomi il tempo di avvicinarmi ad Eren:- Stai bene?

- Sì, spero.- ancora il suo sguardo che cercava qualcosa nel mio - E tu?

- Non sono morto.

Eren

Aveva un'espressione turbata, che dava l'impressione che la sua testa fosse piena di domande senza risposte.

Ma di certo non poteva essere meglio della mia.

Ancora una volta cercai nel suo sguardo un indizio, anche un solo segno debole, che comunicasse le sue emozioni nei miei confronti.

E mi sentii talmente stupido, in quel momento.

Eravamo in una situazione orribile, a rischiare la vita, feriti e con un grosso problema da risolvere.

Ed io pensavo alla relazione che avevo con il mio... Ragazzo? Si poteva definire così?

Era successo tutto in fretta, da quell'ultimo giorno all'ospedale psichiatrico.

Levi era stato importante per me fin dai primi giorni che ci eravamo conosciuti, e questo livello di importanza era cresciuto mentre il tempo passava.

Finché non se ne era andato.

Ed a quel punto era diventato talmente importante da riuscire distruggermi.

Avevo capito che anche per lui era  stato lo stesso, ma dopo quel bacio, era stato tutto talmente veloce, e talmente bello, che non mi ero mai fermato a pensarci.

- Levi...

E poi, quella mattina, era diventato improvvisamente brusco e rigido.

Lui mi osservò con quegli occhi affilati come lame di coltello, con un'espressione del tutto impenetrabile e anche leggermente spaventosa.

Presi un respiro profondo, appena prima di chiedere:- ... Perché questa mattina hai avuto quell'atteggiamento?

Un suo sopracciglio sottile si sollevò, mentre chiedeva a sua volta:- Quando ti ho detto di andartene e lasciarmi, se fosse stato necessario?

Annuii, osservando a voce bassa:- Anche se l'hai più ordinato.

Sapevo che mi aveva sentito, ma non lo diede a vedere:- Qualche problema, Moccioso? Erano solo parole. Ora abbiamo problemi più grossi.

Sentii un tuffo al cuore. Ancora quel tono distaccato e freddo, che sembrava aver dimenticato gli ultimi mesi.

Dimenticato i baci, le parole dolci e le promesse.

Come se non ci fosse mai stato nulla.

Incrociai le braccia, sentendo gli occhi inumidirsi:- Quanto conto per te, ora? Perché io non saprei più come vederla.

Abbassai lo sguardo e serrai le labbra per frenare un singhiozzo, senza riuscire però a fermare anche le lacrime, che presero a scorrermi silenziose lungo le guancie.

Per un attimo ci fu un' immobilità assoluta, poi, la sua voce, la ruppe:- Merda, Eren. Non credevo avresti pianto... Sei davvero un moccioso!

Psycho || Ereri ||Where stories live. Discover now