cap.2

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23 settembre, 21.12

Levi
Mi chiusi la porta della stanza alle spalle, lasciandomi sfuggire un sospiro.

Avevo una brutta sensazione riguardo quella notte. Una pessima sensazione. Sentivo il presagio di qualcosa di grosso pesarmi sullo stomaco.

Pensai che forse avrei dovuto dirlo ad Hanji, ma poi ricordai quello che aveva detto quella mattina, alla mia seduta:

- Mmmm... non sei l'unico che si diverte a cantare questo motivetto. Per caso conosci Eren Jeager, del reparto sotterraneo?

Avevo sgranato gli occhi, solo a pensare di conoscere la stessa canzoncina sadica di uno dei casi disperati avrei voluto andare il più lontano possibile:- Ma ti pare?! Sto benissimo anche senza conoscerlo.

E lei mi aveva detto di tenere a mente quello che facevo le notti di insonnia e poi di riferire tutto. Parola per parola.

Decisi di fidarmi della Quattrocchi che, pur essendo pazza nel limite della sua sanità mentale, era anche un genio, così non chiusi la porta a chiave e mi distesi a letto.

Abbassai le palpebre, nell'attesa di lasciare il mio autocontrollo.

Ed allora successe.

Eren
Mi guardai ancora una volta intorno, in attesa.

Stavo aspettando Lui.

Sapevo che sarebbe uscito ben presto, ed io non potevo farci nulla. Non ero l'eroe che avrebbe sconfitto il demone e salvato se stesso e gli altri.

Io ero un corpo malcapitato che il demone di turno aveva deciso di prendersi.

A meno che, appunto, non fossi stato io che mi ero infiltrato in un demone. Cosa improbabile ma non impossibile.

Ed allora lo sentii, un crampo allo stomaco, come se dovessi vomitare, e un nodo che saliva.

Mi si appannò la vista e presi a respirare affannosamente, nella mia testa rimbombò un unica parola:

Puf!

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Levi
Mi vidi alzarmi dal letto e, con fare assente, prendere un grande pennello per intingerlo in un vaso di vernice rossa.

Era stata Hanji a farli portare nella mia stanza, per poter vedere quello che scrivevo di notte.

Alzai la mano, facendo cadere un paio di goccie di vernice sul pavimento, per poi dipingere sul muro già pieno di scritte un unica parola: "puf!".

Restai a guardare impotente mentre uscivo dalla mia stanza e camminavo nel silenzio dei corridoi.

Scesi al piano terra.

Camminavo piano, senza muovere le braccia, con lo sguardo perso nel vuoto.

Imboccai la scala per i sotterranei.

E solo allora capii cosa stavo facendo, volevo andare da quel caso irrecuperabile... Eren. Eren Jeager.

Avrei voluto urlare a me stesso di fermarmi, di tornare indietro, di sparire da quei sotterranei e di non tornare mai più. Volevo prendermi per le spalle e urlarmi che incontrare quel tizo NON era una buona idea. Era una PESSIMA idea.

Ma non potevo.

Fui costretto a lasciarmi camminare lungo i corridoi umidi, senza trovare nemmeno una porta chiusa. Il che doveva essere opera della Quattrocchi.

La odiavo.

Mi stava consapevolmente lasciando incontrare un pazzo assassino, folle, sadico, posseduto... e avrei potuto continuare per un bel pezzo.

Poi arrivai davanti alla porta in fondo ad un corridoio.

E la spinsi.

Eren
Eren scosse le catene, urlando.

Sentiva che si stava avvicinando.

Non sapeva cosa, ma qualcosa stava arrivando e non era una cosa che si poteva terrorizzare come tutti.

Il ragazzo fece scattare gli occhi rossi per tutta la stanza, in cerca di qualsiasi cosa più utile della forza bruta, ma non trovò nulla.

Si avvicinava.

Per la prima volta Lui provò panico, il terrore di dover affrontare una cosa in grado di tenergli testa.

Ormai era lì.

Eren arretrò il più possibile, stando in allerta nell'attesa di vedere chi sarebbe entrato.

Fu allora che la porta si aprì.

Levi
La prima cosa che vidi furono due occhi rossi che bruciavano l'oscurità come carboni ardenti.

Ed io rimasi lì, fermo immobile, a guardarli.

Appena la mia vista si abituò al buio della cella, distinsi le catene pesanti fissate a terra da una parte e dall'altra stringevano il corpo magro ma stranamente allenato di quello che sembrava un diciottenne.

I capelli castani gli obreggiavano la fronte, spezzando di tanto in tanto la luce di quegli occhi rossi.

Il suo respiro affannoso si diffondeva nella stanza.

Feci un passo avanti.

Eren
Era un uomo.

Sembrava ordinario, con i capelli corvini rasati ai lati della testa e che gli ricadevano appena sopra gli occhi che luccicavano d'argento nell'ombra.

Non era propriamente alto, ma non si poteva dire che non fosse un bell'uomo.

Sembrava si potesse scacciare con le solite risate e le minacce, se non fosse che fece un passo avanti.

E un altro ancora, fino a trovarsi faccia a faccia con Eren.

Allungò una mano, come per toccarlo, ed allora Eren scattò.

Con una rapidità inumana addentò l'avanbraccio dell'uomo, il sapore del sangue gli inondò la bocca, ma invece di diventare più forte il demone venne risucchiato indietro.

Come uno strappo nella mente di Eren riuscì solo a sibilare:

"...Puf! Sono sporche di sangue."

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Psycho || Ereri ||Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt