Capitolo 9

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Un urlo inaspettato squarciò la quiete della struttura psichiatrica, facendo sobbalzare Jimin, il quale si trovava al sicuro nelle braccia di Taehyung. -Tae hai sentito?- Sussurrò il ragazzo, voltandosi verso il castano. Per tutta risposta l'altro annuì e strinse ancor più a sé il corvino. -Avranno appena trasferito qualcuno in questo reparto.- Disse Taehyung. Un altro grido si fece spazio nella loro piccola stanza e Jimin si rannicchiò in se stesso, portando le sue piccole mani a coprire le orecchie per evitare di udire oltre. Il ragazzo dai capelli castani si alzò e dalla finestrella della porta tentò di vedere qualcosa ma il buio regnava incontrastato. Le urla non cessavano ma si stavano pian piano affievolendo, lasciando infine il posto a dei singhiozzi. Taehyung si voltò nella direzione del corvino, il quale aveva nascosto la testa sotto un cuscino e il suo corpo tremava. Allarmato, il giovane si catapultò al suo fianco ma non ebbe il coraggio di toccarlo, timoroso di una qualche reazione negativa. -Jiminnie?- Sussurrò. Una timida manina spuntò da sotto le lenzuola e Taehyung non se lo fece ripetere due volte e l'afferrò, stringendola dolcemente. Con cautela si distese al suo fianco e il volto di Jimin uscì allo scoperto per poi rifugiarsi nuovamente nel petto dell'altro. Il suo corpo tremava ancora, così il castano lo cinse con le sue braccia, stringendolo forte a sé. -Andrà tutto bene, Jimin. Finché ci sarò io, nessuno ti farà del male.-









Un insistente bussare fece sospirare il dottore che diede il permesso di far entrare il ragazzo nel suo studio. Taehyung varcò la soglia con un'espressione seria in viso che il dottor Wang non aveva mai visto. Si sedette silenziosamente sulla poltrona dinanzi la scrivania dell'uomo e piantò i suoi occhi scuri in quelli dell'altro. -Taehyung. Cosa ti porta qui? Hai delle novità riguardo Jimin?- Chiese il medico con un sorriso cordiale. -Chi avete trasferito la notte scorsa?- Domandò il giovane, ignorando totalmente le parole dell'uomo. -Oh quel ragazzo. Ci è stato mandato dall'America e abbiamo dovuto metterlo nel vostro reparto.- Spiegò il dottore. -Grida come un ossesso.- Gli fece notare il castano. -Questo lo so ma non abbiamo spazio al momento.- Il giovane scosse la testa e sospirò. -Jimin era molto spaventato.- Sussurrò. -Troveremo al più presto una soluzione, te lo prometto.- Taehyung annuì senza dire nulla e il dottor Wang gli allungò una lettera. Il ragazzo sapeva bene di cosa si trattasse. La prese tra le mani ma non volle aprirla. -Hai due ore a disposizione.- Gli comunicò il medico. Taehyung non se la sentiva, non voleva lasciare Jimin da solo, ma era importante per lui incontrare sua sorella, così annuì e si diresse verso la porta e fu scortato fuori l'edificio da due guardie. Alzò gli occhi al cielo e lo trovò plumbeo, pronto a scatenare la pioggia. Sospirò nuovamente e prese un ombrello che si trovava all'ingresso e s'incamminò lentamente verso la prima fermata dei trasporti pubblici. Si guardò alle spalle e vide la struttura psichiatrica oramai lontana e pensò a Jimin. Sarebbe tornato presto da lui.








-Yoongi sbrigati o farai tardi!- La signora Park si affacciò per le scale, tentando di richiamare l'attenzione del suo figlioccio affinché si preparasse e non facesse tardi a lavoro come solitamente accadeva. Il ragazzo dai capelli color menta mugugnò parole incomprensibili e nascose il volto nel cuscino, desideroso di dormire ancora per cinque minuti, eppure il suo piano andò in fumo quando qualcuno gli tolse via le lenzuola dal corpo, facendolo rabbrividire dal freddo. -Forza dormiglione, svegliati! Non hai sentito tua madre?- Una melodiosa voce accarezzò i suoi timpani e Yoongi dischiuse un occhio per osservare il suo fidanzato che lo scrutava con le mani posate sui fianchi. -Jungkookie, è presto, lasciami dormire ancora un po'.- Disse prendendolo per il polso e facendolo cadere di fianco a lui, approfittandone poi per accoccolarsi al suo petto. Il castano sospirò alzando gli occhi al cielo e passò le dita tra i capelli arruffati del suo amato. -Sono le otto passate e l'ultima volta Namjoon aveva detto che se ti fossi presentato di nuovo in ritardo ti avrebbe cacciato dalla compagnia.- Disse. A quelle parole gli occhi del maggiore si spalancarono e come un uragano si catapultò fuori dal letto, dirigendosi frettolosamente verso il bagno per farsi una doccia lampo. Passati dieci minuti ricomparve nella stanza indossando solamente l'intimo e per poco Jungkook non cadde dal letto e le sue guance andarono a fuoco. In due anni di relazione non si era ancora abituato alla bellezza del corpo di Yoongi. Pallido come la neve ma liscio e morbido come la seta. Non era un ragazzo che amava praticare sport ma il suo fisico era snello e armonioso. -Forza Jungkook, muoviamoci o questa volta ci cacceranno davvero!- Il minore gli avrebbe voluto far notare che lui fosse sempre puntuale ma lasciò perdere e lo seguì giù per le scale, salutò frettolosamente la matrigna del suo ragazzo e corsero fuori per la strada tentando di prendere l'ultimo bus per arrivare in tempo a lavoro.








Jimin camminava pensieroso per i corridoi di quell'edificio che da un anno ormai era la sua casa. Quel giorno era solo, almeno per poco. Taehyung era stato convocato dal dottore per la visita settimanale a cui tutti i pazienti venivano sottoposti. Così il corvino si ritrovava a vagare come un fantasma, non sapendo cosa fare in quel posto. Inoltre la sua mente era occupata dalle urla che quella notte avevano squarciato il silenzio della cella che divideva con Taehyung. Non riusciva a smettere di pensarci. Aveva risvegliato in lui il terribile ricordo di quella notte oscura. Ricordava ancora quelle urla che infestavano la sua mente mentre il suo corpo sprofondava inesorabilmente nell'acqua.
Un grido improvviso lo fece sobbalzare. Era di nuovo quel paziente. Il corridoio era deserto, a quell'ora i pazienti erano in mensa per consumare il pranzo. Un'idea balenò nella sua mente ma la scacciò immediatamente, però quella curiosa parte di lui gli sussurrava di andare a dare un'occhiata. In fondo era rinchiuso in una cella, non poteva essere pericoloso. Con passi indecisi il ragazzo dai capelli corvini si diresse verso la sua ala del reparto e passò oltre la sua stanza. La cella del nuovo arrivato distava tre cabine dalla sua, per questo aveva udito le sue grida nitidamente. Si arrestò poco dopo dinanzi una porta bianca con una targa laccata in oro che recitava Lucky Smith. A quel nome le sopracciglia di Jimin si aggrottarono. Non era coreano. Questo voleva dire che proveniva da molto lontano. Con timore si mise in punta di piedi e si affacciò dalla piccola finestrella e per poco non cadde a terra dalla paura. Due grandi occhi azzurri lo scrutavano curiosi.

𝐿𝑜𝓋𝑒 𝒴𝑜𝓊𝓇𝓈𝑒𝓁𝒻 ☾𝒱𝓂𝒾𝓃Where stories live. Discover now