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Ero beatamente seduta sul divano di casa Gaskarth, ascoltando per non so quale ragione, i racconti di Raissa.

- Una volta, in discoteca, c'era questo tipo... -.

Mi persi nei miei pensieri, fissando le fiamme del caminetto.
Giovedí avrei preso a lavorare in una pasticceria.
Certo, sapevo fare le cose, ma l'ansia mi avrebbe fatto fare errori, come minimo.
Negli stage passati avevo combinato un sacco di casini, ma ero con i miei amici.
Adesso non avrei avuto nessuno.
Mi raggomitolai, chiudendo gli occhi.
Ricordai quella volta con Andrew, un mio ex compagno di classe, dove per ben due volte facemmo cadere i macarons...
Da morire dal ridere.
Il nostro stage fu quello piú esilarante di tutti.
Sorrisi, scuotendo la testa.

- Salve! - disse una voce femminile.

- Buona sera, signora Jaskian - salutò Alexander, facendola accomodare in casa: era la mamma di Raissa.

Il prof chiuse la porta, e la donna mimò alle due amiche che si stavano preparando un "ammazza che fregno".
Portatemi via da questo incubo, vi prego.

- Si sono comportate bene? - chiese la donna con i capelli biondi, sorridendogli dolcemente.
Risi nascondendomi nella felpa.

- Si può fare di meglio - disse il castano, scrollando le spalle.

Sarei morta dal ridere, se non avessi avuto auto controllo.

La donna fece una faccia strana, guardando le due ragazze.

- Oh, va bene. - scrolló le chiavi, procurando un rumore metallico. - Siete pronte, voi due? - chiese poi, guardando la figlia e la sua amica.
Le due annuirono.

- La prossima volta quando? - domandò Camille, intenta a sventolare i suoi capelli brutti come la morte davanti al prof.
Puntai gli occhi al cielo.
Non sarebbero mai cambiate.

Alexander le guardò leggermente infastidito.
- Non saprei. Ne parleremo lunedí a scuola -.

- Va benissimo Lex - sghignazzò la mora.

Ma da quando tutta questa confidenza?

Le tre salutarono il prof e uscirono.

Me ne stetti a guardare la scena ridendo leggermente, quando "Lex", sbatté la testa contro la porta.

- Ma chi me lo ha fatto fare?! - esclamò esasperato.

Risi sonoramente, facendo girare il prof e sorridere.
- Per fortuna tu non tocchi nulla. Odio quando mi toccano qualcosa di mio - disse, sdraiandosi sul divano, stanco morto.

"Fai la brava e non toccare nulla".
Ancora quelle parole rimbombavano in testa.
Quel ragazzo aveva fortuna o conosceva il prof.
Ma rimasi zitta, annuendo soltanto, anche se non mi avrebbe visto, dato che aveva gli occhi chiusi.

Poi azzardai a fare una domanda.
- Prof, lei suona la chitarra? -.

I suoi occhi si aprirono e mi fissò sorridente.
- Sí! -.

Sorrisi leggermente, tirandomi ancora di piú le gambe grosse al petto.

- Come lo sai, Jane? - chiese, sedendosi composto.

- Ha le dita callose - risposi, guardandomi le ginocchia coperte dai jeans neri.

- Sei un piccolo falco -.

Risi leggermente, grattandomi la fronte.
- Ma no, prof. É solo che la suono anch'io e sento la differenza con le dita morbide degli altri - dissi, alzando le spalle.

- Ti piace cantare? -.

Annuii.
- Piú di quanto sembri, prof. Credo che la musica sia l'unica libera espressione. Oltre al leggere, ascolto continuamente musica. Passo dal metal al pop. - sospirai, iniziando a disegnare cerchi immaginari sulle mie ginocchia. - Credo che in ogni testo di una canzone si nasconda un messaggio piú profondo del tesso stesto, - cominciai a balbettare, sbuffai. - testo stesso. Le persone che non ascoltano musica, secondo me sono prive di anima e di immaginazione. Il mondo é pieno di musica. Ogni cosa che facciamo é musica: quando noi camminiamo diamo un tempo. Quando noi parliamo emettiamo un suono. - sorrisi - Magari quando non sai cosa ti succede, le canzoni ti rendono consapevole di cosa hai dentro. Ti mettono allegria, tristezza, dolore... Ma non se ne vanno mai. E per me questo é l'importante -.

Math's Hater || Alex GaskarthWhere stories live. Discover now