Non  ci fu nemmeno bisogno di suonare il campanello perché, prima di arrivare alla porta, Jenny mi aspettava a braccia aperte. Mi diede un caloroso abbraccio e mi invitò ad entrare nella casa dove avevo trascorso quasi tutta le mie vacanze estive da una decina d'anni.

La verità è che tutto era esattamente come l'ultima volta che ero stata lì, a differenza del vuoto nelle pareti in cui ci solevano essere foto e ritratti di famiglia; mi chiesi se li avrei mai rivisti appesi come sempre. Di solito aggiungevano una manciata di fotografie ogni anno dopo la fine della scuola e io c'ero nella maggior parte di loro, perché, in quel momento, sentivo come se fossero la mia vera famiglia, mi sentivo come a casa.

Ma ora tutto sembrava molto più freddo, non solo per il fatto che mancasse l'energia poiché Em non c'era più, ma perché l'atmosfera sembrava essere falsa. Sembrava tutto molto forzato, tutti molto perfetti, cosa che i Waters non erano in alcun modo. Jenny e Tom sorridevano e si interessavano circa i miei studi, quindi credo che cercare di far finta che la figlia non fosse morta, fosse il loro modo di affrontare tutto quanto. Comunque, credo che pensassero che fosse meglio essere imbattibili davanti gli altri e sperare di superarlo, loro e i  loro altri due figli; era la loro via di fuga.

Eddie corse giù per le scale quando senti la madre urlare che la cena ci attendeva e quando mi vide mi si gettò fra le braccia.

«Olivia! Sei venuta!», gridò.

«Ne dubitavi, Speedy? Non potevo mancare», dissi e lui sorrise nel vedere che lo avevo chiamato con il soprannome che io ed Em gli avevamo dato qualche anno prima; lo aveva amato dal primo momento perché sosteneva che sarebbe riuscito a vincere la maratona più lunga e impressionante del mondo. Vidi come il sorriso di Jen scompariva per un secondo in modo automatico e come abbassò la testa per cercare di nasconderlo. Merda. Avevo dimenticato per un momento le circostanze in cui eravamo, ma, vedendo il piccolo sorridere, mi si era sciolto il cuore. Eddie era, come gli altri due, mio fratellino, mi prendevo cura di lui da quando avevo quattordici anni; sarebbe stato molto difficile non amarlo così tanto. E, dopo tutto, ogni volta che ci eravamo visti dal giorno del funerale, era riuscito ad alzarmi l'animo.

Si fece un silenzio imbarazzante, ma, per fortuna, sentii il rumore di passi scendere le scale, lo fermarono. Immersi nella situazione, nessuno dei quattro si era reso conto che il suono ovattato della chitarra proveniente dalla stanza di Ben, si era fermato.

Ed eccolo lì, sorridendoci con uno sguardo un po' smarrito, vestito come la mattina, ma con i capelli ancora più arruffati, che, stranamente, lo rendevano interessante.

«Che cos'è tutto questo silenzio, gente?», chiese, guardandomi, «Si cena?»

Credo che gli sguardi che ci scambiammo io, Jenny e Tom furono di sollievo, perché lui aveva impedito, inconsapevolmente, che fossimo ancora più scomodi, e ci aveva dato una scusa per muoverci.

«Ma certo!», esclamò Speedy contento, «Che profumino!»

Ce ne stemmo tutti lì a guardarlo e sorridemmo mentre correva verso il suo posto con una velocità quasi inumana, convincendomi che, anche se aveva solo sei anni, la sua previsione sarebbe stata adempiuta un giorno non molto lontano.

I suoi genitori entrarono nella sala da pranzo dietro di lui e io, pronta a seguirli, sentii le mani di Ben sul mio braccio.

«Ehi, tu, ciao», disse con il suo sorriso.

«Buona sera, Signor Waters, tutto bene?», gli chiesi.

«Compiaciuto di essere onorato dalla vostra presenza, capitano Kitty. Com'è stata la sua giornata?», disse sorridendo.

Lo fissai, ma cedetti alla sua battuta perché, in fondo, sapevo che non lo faceva a modo di scherno. Era sempre stato così, ed ero felice che qualcosa, anche se era solo lui, non fosse cambiato. Era rimasto lo stesso di prima, o almeno così sembrava.

WATERS - l'ultima goccia di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora