Capitolo 38

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Dylan.

L'ho portata nella stanza di Bea. L'ho voluto fare, mi sembrava la cosa giusta.

È sorpresa, lo sono anche io, di me stesso. Non avevo mai portato una sola ragazza qui dentro. Solo Leila e Leo sono entrati , una volta sola, con me, prima che venisse chiusa.

Ogni tanto, quando la mancanza di Bea si fa sentire, ho ancora il desiderio di entrare nella stanza ma non lo faccio. Non mi sembra giusto profanare la sua stanza.

Non è morta. Non ancora.

Lei si sveglierà, si sposerà, avrà dei figli, vivrà ancora. Lo so.

-è stato molto brutto vederla a così pochi metri di distanza da me, per terra- le dico. Le parole escono fuori da sole. Lei non risponde e la mia voce continua a parlare- ero sconvolto, distrutto, dolorante. Non capivo nulla, era sera e tutto sembrava andare bene. È volata via e con lei anche il mio corpo. L'impatto è stato frontale e lui neanche si è fermato dopo aver sbandato. Ho fatto un volo di quasi cinque metri, lei poco in più, ricordo come se fosse successo ieri il dolore dell'impatto contro l'asfalto- osservo la mia cicatrice.

-Dylan...-

-era talmente doloroso, tutto- dico- ho visto mia sorella per l'ultima volta sveglia, io. Non riesco ancora a capacitarmi di questo. Devo vivere con la costante colpa di averla vista io, per ultimo. Ha allungato la mano nella mia direzione, mi ha chiamato con un filo di voce, ed io, sempre con un filo di voce l'ho chiamata- continuo e nei miei occhi rivivo la scena.

È sempre così, il mio passato, il mio dolore, è in grado di rovinare un momento bello. La sto rattristando, ne sono sicuro. Questo dolore, queste ferite, talmente profonde, talmente forti. Potremmo cercare di mandarle via in ogni modo ma non ci riusciremo, il dolore è parte di noi. Possiamo solo convivere con esso e cercare di andare avanti per quanto sia difficile. Sento la sua mano stringere la mia, le sue dita intrecciarsi alle mie e sembra che tutto sia più semplice adesso. Mi sento meno solo con il mio dolore.

-Dyaln basta, usciamo- mi tira verso la porta e io la seguo.

-Ho rovinato tutto..scusa- dico mentre lei chiude la porta della stanza.

-non hai rovinato nulla- si volta verso di me- è un dolore- mi guarda ancora ed è come se io rinascessi. I suoi occhi sono come la più grande cura per me, la più potente medicina, il più potente antibiotico. Ecco cosa è per me.

- conosco il dolore- mi continua a dire- e so che quando riaffiora fra i ricordi è orribile- chiude a chiave la porta e mi passa accanto per poi entrare nella stanza dei miei genitori ed uscire pochi minuti dopo. Lei mi sorprende. Lei soffre, molto, ma non lo vuole dare a vedere, si tiene tutto dentro. Tutto. Non piange, non si dispera, non esprime i suoi sentimenti.

Lei è come...chiusa. Chiusa nella sua corazza che sembra impenetrabile. Lei ha tantissime sfumature, tantissimi colori che la distinguono, tantissime cose che la rendono così bella e unica.

-andiamo- le dico volendo rimediare. Entriamo nella mia stanza e ci sediamo sul letto -scusa per prima- le chiedo scusa di nuovo. Ho un peso dentro di me che nessuno sembra poter capire. Mi sento colpevole, mi sento colpevole dell'incidente, per mia sorella e quando tutto questo riaffiora alla mente non riesco a scacciarlo via.

Ma adesso sembra che il mio dolore si sia affievolito. Lei, mi ha guardato. Victoria mi sta guarendo, piano piano. Non mi era mai successo, non mi era mai successo di provare qualcosa di così tanto forte nei confronti di una ragazza. Mai.

Sono sempre stato lo stronzo, il bastardo soprattutto dopo l'incidente. C'è stato un periodo nel quale io ero completamente fuori di testa. Non ragionavo più. Passavo da una stanza all'altra e vedevo mia sorella. La vedevo ovunque.

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