Capitolo 2

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Victoria.

Ci siamo quasi- mi informa mio padre al volante . Sono passati quasi due giorni da quando siamo partiti e dire che il viaggio sia stato noioso è dire nulla: soprattutto se non ci si ferma ad ammirare nulla, ma solo per il pranzo e la cena. Sono sveglia da circa mezz'ora, cioè da quando siamo entrati dentro la città e osservo il paesaggio fuori dal finestrino. Manhattan deve essere una città meravigliosa, ci sono tantissimi palazzi e case bellissime in quartieri curatissimi dai giardini rifiniti nei minimi dettagli. Vedo una bambina dai capelli neri fin sopra le spalle giocare con il suo cane e, non appena mi vede, mi saluta come se mi conoscesse. Non posso fare altro che sorridere al suo gesto e ricambiare con un saluto dolce accompagnato da un sorriso spontaneo che non cresceva da tempo sulle mie labbra. Amo i bambini e amo anche il loro modo di vivere la loro infanzia, vedono tutto attraverso i loro occhi in maniera dolce e semplice. Sono gli unici a trovare, spesso e volentieri, del buono in tutte le cose cattive del mondo. Vorrei tanto poter tornare bambina, poter essere di nuovo felice e soprattutto rivivere la mia infanzia in modo felice. I miei occhi sono stati chiusi dai miei nove anni in poi e, ora che ne ho quasi 18, mi rendo conto di quante cose avrei potuto fare se tutto il resto non fosse accaduto. Avrei potuto farmi delle amicizie, avrei potuto continuare a scorrazzare per la casa ridendo, avrei potuto giocare in giardino con mia madre, sentirla cantare o ascoltare qualche altra poesia dal suo libro. Giuro, in quel momento ho sentito nascere dentro di me una freddezza enorme che porto con me tutt'oggi. Come ho detto prima, ho allontanato tutti da me e in un certo senso anche mio padre ,nonostante sia l'uomo più importante della mia vita, ma non voglio che gli altri mi abbandonino e non voglio dar dispiaceri a nessuno. Ho sempre avuto la sensazione che mia madre se ne fosse andata per colpa mia, nonostante tutti negassero il mio pensiero. Ho sempre pensato di essere io il problema, di essere io la causa delle varie cose brutte che succedevano attorno a me, mi sento sempre di troppo, mi sento sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.

-scendi dai, siamo arrivati dormigliona - la macchina si è fermata di fronte ad una casa splendida. È enorme e noto con grande piacere anche che è molto vicina a quella della bimba dai lunghi capelli neri, ancora intenta a giocare.

Ma ritornando alla casa... come ho detto è enorme, con i muri bianchi e il tetto spiovente blu scuro, intorno ad essa c'è un bellissimo giardino perfettamente curato e proprio sul lato di una parete cresce un alto e bellissimo albero dai possenti rami. È circondata un bellissimo portico in legno e dalle numerose finestre spuntano delle tende bianche e azzurre.

-Entra su..- mio padre mi porge le chiavi e senza pensarci due volte mi fiondo dentro casa. L'interno è ancora meglio dell'esterno: un grande ingresso con molti quadri appesi mi accoglie e, scendendo un solo scalino, mi ritrovo in un enorme salone fantastico e sistemato nei minimi dettagli, il divano ad L rosso in tinta con il tappeto e i centri che adornano i tavolini disposti per la casa, molti fiori e anche portafotografie vuoti che aspettano di essere riempiti. Il camino poi, è la parte che preferisco, è grande e confortevole, davanti ad esso infatti c'è una poltrona nera che non aspetta altro che essere provata. La cucina poi! È meravigliosa, beige e con una grande isola nel mezzo collegata alla sala da pranzo da una porta laterale. Potrebbe mangiarci un esercito intero lì dentro, spero solo che quando mangeremo io non dovrò sedermi a capo tavola da un lato, mentre mio padre dall'altro. Sarebbe troppo inquietante ed imbarazzante. Ritorno in salone e salgo le scale che si trovano a destra, un grande corridoio mi accoglie e le mura bianche sono illuminate dalle numerose finestre presenti, noto anche che tutte le porte sono chiuse e che sopra di esse si trova un foglio bianco con il nome scritto sopra. "Victoria" la seconda porta a destra.

-okay..- sussurro e apro la porta, quello che trovo davanti a me è molto più di quello che mi aspettavo quando sono partita. Resto letteralmente a bocca aperta. È una stanza grande e ben arredata, luminosa e spaziosa. Ho un enorme letto matrimoniale con moltissimi cuscini sopra, due comodini, una scrivania nel lato destro ed un grande armadio tutto per me nel lato sinistro. I muri sono bianchi,quelli laterali, azzurro la parete dietro al letto e lilla quella davanti a me, deve averli scelti mio padre. Noto anche la grande finestra con uno spazio appositamente creato per potersi sedere e sotto di essa un piccolo armadietto dove poter riporre tutti i libri. Adoro tutto questo. L'ho già detto?

-ti piace?- mio padre è appoggiato allo stipite della pota e con le braccia conserte e aspetta una risposta.

-si John ,molto- dico velocemente, non voglio sembrare troppo entusiasta, ma sorrido lievemente.

-sono felice per questo- dice ricambiando il sorriso –ma chiamami papà come tutte le figlie normali- alza gli occhi al cielo.

Non è mai stato di molte parole, si limita solo ai fatti e dal giorno in cui mi sono creata la corazza io e lui ci siamo allontanati tanto, forse lui senza volerlo, per il forte dolore, o per la grande somiglianza con mia madre ma piano, piano noi due ci siamo chiusi e ci limitiamo solo ad una convivenza fatta di gesti d'affetto.

-ti lascio sistemare le tue cose- mi dice andandosene senza darmi il tempo di rispondere.

-si..-sussurro.

Tendo ad essere molto distaccata dalle persone. Non mi fido di nessuno a primo colpo e cerco sempre di mantenere le distanze dagli sconosciuti. Anche con mio padre , comunque, cerco di evitare il contatto eccessivo. Odio essere al centro dell'attenzione e tendo ad arrossire facilmente per la mia timidezza, ma riesco comunque a rispondere alle provocazioni, anche se rossa come un pomodoro.
Riempio i primi due cassetti con i pacchi di caramelle e di cioccolatini comprati di nascosto alle varie e poche fermate del viaggio durato molto tempo e che ho subito nascosto nelle borse con i vestiti e lascio gli ultimi due cassetti liberi per l'intimo e i pigiami. Passiamo all'armadio ora: jeans, maglietta, jeans, felpa, jeans, magione , legghins e altre magliette larghe e carine secondo il mio gusto.

Ho qualche gonna e solo un paio di scarpe con il tacco regalatemi da mio padre che però non ho usato mai e che non userò mai. Odio vestirmi elegante e dare nell'occhio. Mi bastano uno dei mie tanti paia di jeans e una comoda felpa per essere al mio agio. Continuo a sistemare tutte le mie cose per poi arrivare al momento tanto atteso: sistemare le mie attrezzature da disegno e i quadri che ho creato. Innanzitutto appendo al muro i quadri e, con mia grande sorpresa, noto che i colori risaltano sui colori chiari delle pareti in maniera giusta ed equilibrata senza creare troppo disordine o una sovrapposizione di colori che non centrano nulla. Sistemo il mio cavalletto vicino alla mia scrivania e i pennelli,i colori e quant'altro nei cassetti incorporati al tavolo di studio.

-Finito- mi butto sul letto facendo cadere quasi tutti i cuscini e il mio zainetto. Mi sporgo per prenderlo e subito ricordo cosa c'è al suo interno: il libro delle poesie. Lo esco e lo rigiro per un po' nelle mie mani. Come posso essere legata a questo ammasso di paginette scarabocchiate nonostante tutto il tempo e il dolore passato?
"E noi li abbiamo lasciati quei luoghi gentili
Con passo pesante, verso il nuovo calvario,
Di qui osserviamo, come chi allo specchio
Veda il proprio volto,
L'umanità suicida.
Capiamo quali spettri orribili
La mano rossa dell'uomo
Sappia fare sorgere."

Oscar Wilde.

Una delle ultime pagine scritte recita questa poesia. Mia madre doveva essere nel pieno della sua depressione, nel pieno della sua tristezza e lo capisco da queste parole.

Osservo fuori dalla finestra il sole che splende: spero solo che la vita qui a Manhattan non si trasformi in un incubo.

Solo Tu #watts2020Where stories live. Discover now