Capitolo 16

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Victoria.

Sconvolta, sono solo ed esclusivamente sconvolta. Il mio cuore martella nel petto e penso proprio che sta per esplodere. Cosa stava per succedere su quel balcone? Cosa stava per fare? La sua mano sulla mia guancia ha provocato in me forti e potenti brividi e, sono certa, dovevo sembrare una vera e propria stupida. Non capisco cosa mi succede.

Forse è il momento di accettare i tuoi sentimenti.

Non può essere vero.

Ma invece lo è. Non c'è nulla di male.

No, non è vero. Io sto bene così. Basta. Ho bisogno di una doccia fredda. Non so che cosa mi sia passato per la testa. Ho toccato la sua cicatrice, se l'è procurata in un incidente, un incidente. Quando? Come?
Molte domande girano nella mia testa.
Era con qualcuno? Era lui alla guida? C'era qualcun altro? Ho una voglia matta di sapere, ho bisogno di sapere. Il suo viso era talmente vicino al mio, così bello, così definito, così poco distante. Sentivo il suo respiro sulle mie guance rosse. Sentivo la sua presenza vicino a me, vicino al mio viso.
Penso ai suoi occhi scuri, a quelle perle nere in grado di paralizzarmi e avvampo riempiendomi di brividi, penso alla sua mascella leggermente contratta piegata di lato che lascia intravedere il collo.
Avvampo ancora di più e non riesco a far scomparire dal mio volto questo stupido sorriso che è nato.
Basta, basta, non devo più pensarci, non devo pensarci.
Mi alzo da terra e passando dall'ingresso mi osservo allo specchio: sono sempre e comunque un disastro, capelli spettinati, truccata malissimo e con il viso rosso.

Osservo le foto che ci sono appese al muro, opera di mio padre, sicuro. Ci sono alcune foto di quando ero piccola e una dove sono con il culetto di fuori. Che figura ci farei se venisse qualcuno? La toglierò poi. Altre foto mie e poi una di mia madre, con il corpo di profilo e il viso voltato verso la macchina fotografica, sorride, e le brillano gli occhi. Quando vedo questa foto non riesco a capire come abbia fatto ad abbandonarci, non me ne capacito. In salotto ,poi, mio padre ha voluto appenderne una di "famiglia". Ci siamo solo io lei e lui. Solo noi tre, la famiglia felice di un tempo. Gli occhi si riempiono di lacrime ma le rimando indietro, non voglio piangere. Salgo le scale e mi chiudo in bagno, apro l'acqua e dopo essermi spogliata entro nella doccia. Non piangerò per lei, l'ho promesso, non solo a lei, ma anche a me stessa.

Dylan.

Sono tornato da poco, inutile dirvi che sono sempre più a pezzi. Solo perché io scherzi o rida o faccia il cretino, non significa che io stia bene e l'unica cosa che vorrei è proprio questa: stare bene. Da mesi ormai, non riesco a darmi pace, dovevo esserci io su quel letto, dovevo essere io al posto di mia sorella, avrei dovuto proteggerla, avrei dovuto essere più prudente.

Tu non hai fatto nulla che non va.

E invece si, potevo stare più attento.

No, non potevi. Non è stata colpa tua, ma del conducente di quella maledetta auto Dylan, è stata colpa sua e tu non hai nessuna colpa.

Mi siedo sul divano ,stanco anche di proseguire un discorso con la mia coscienza. Prendo il telecomando ma noto che sul tavolino di fronte a me c'è un telefono sconosciuto. Schiaccio il pulsante centrale e sullo schermo appare la foto di Victoria che scattata in lontananza, sembra guardare qualcosa.

Si è dimenticata il cellulare a casa mia. Doveva avere molti pensieri nella testa per dimenticarselo. Dovrei riportarglielo?

No, ma che dici? Dovresti tenerlo in una teca di cristallo come una reliquia sacra. Ma secondo te?

Mia cara coscienza, il tuo senso dell'umorismo è veramente pessimo. Okay, lo riporto alla sua proprietaria. Afferro l'iphone bianco che ha lasciato sul tavolino ed esco di casa. In casa sembra non esserci nessuno. Possibile che sia uscita? Sono quasi le dieci di sera, mi sembra di essere un ladro.

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