NIGHT OF MADNESS

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Da quando la vecchia me era morta, lasciando il posto ad una nuova, migliorata e di gran lunga più divertente Harley Quinn, erano piuttosto frequenti le notti in cui sognavo il momento in cui tutto era cambiato. Ma ogni volta era diverso. Ero cambiata quando per la prima volta avevo assecondato Mr. J ad Arkham? Ero cambiata quando lo avevo aiutato a evadere? Ero cambiata quando avevo ucciso quell’uomo? Ero cambiata quando ero finita nell’acido? Non sapevo darmi una risposta. Ma che mi importava? Prima non ero veramente me stessa. Mai.
Lanciai un’occhiata verso la porta della camera da letto, in cerca di Mr. J. “Puddin”, come avevo iniziato a chiamarlo da qualche tempo. Lui non sembrava apprezzare particolarmente la cosa all’inizio, lanciandomi occhiate omicide ogni volta che quella parolina sgusciava fuori dalle mie labbra rosse, ma ultimamente mi lasciava quasi fare. Il mio tesoro.
“Puddin? Mi annoio! Vieni dalla tua Harley…” Scalciai la morbida coperta dorata di seta che ricopriva il letto, capricciosa e vogliosa di averlo con me tra quelle lenzuola, ma lui era impegnato con Jonny, nell’altra stanza, a parlare di chissà quali affari. L’ attico di Mr. J era qualcosa di straordinario, eccentrico ed esagerato nell’arredamento quanto lussuoso. Situato al centro di Gotham, sembrava che nessuno sapesse che lui sporadicamente abitava li…o forse tutti facevano finta di non saperlo. Persino la polizia. Sapere quanto fosse temuto e rispettato il mio amore mi faceva andare fuori di testa, più del solito, almeno. Mi sfuggì un risolino e mi lisciai i capelli. Rosa e azzurri sulle punte. Metà e metà.
 A Mr. J piacevano, diceva che mi facevano sembrare una bambina da mettere in riga. Quindi piacevano anche a me.
Battei i pugni sul materasso e mi misi seduta –Puddin!?-
Nessuna risposta, solo il mormorio delle loro voci che continuava imperterrito. Ogni tanto, una risata. Penso che Jonny fosse il braccio destro di Mr. J…in senso figurato ovviamente, perché lui un braccio destro attaccato alla spalla ce l’aveva già. Sghignazzai e mi alzai in piedi, dirigendomi verso l’enorme finestra che sostituiva la parete di fianco al letto e da cui si poteva vedere tutta Gotham.
Un’intera città ai nostri piedi. Qualcuno ci aveva definiti “Il Re e la Regina di Gotham”, su qualche giornale. Non potevo dargli torto. Da quando mi aveva presa con se, il mio tesoro mi aveva portato con lui dappertutto! Mi aveva esibito come un trofeo. Voleva che fossi sempre perfetta e pronta per soddisfare ogni suo desiderio, in qualsiasi ambito. E a me andava bene, adoravo la nostra vita, fatta di un bacio e uno schiaffo subito dopo. Pallottole e sangue…Quando poche notti prima mi aveva lasciato carta bianca con un tizio che aveva tentato di fregarlo si era quasi messo a piangere dall’emozione nel vedermi conficcare il mio tacco 15 nella giugulare di quell’idiota. Dopo lo avevo guardato con aria interrogativa e lui aveva annuito con un sorriso metallico e diabolico, così sexy! Era così fiero della sua Harley! Era tutto ciò che volevo, per quel momento.
-Non chiamarmi Puddin davanti a Frost, o a chiunque altro!- Sibilò, alle mie spalle. Non lo avevo sentito arrivare.
-Uhm- Mi voltai verso di lui e misi il broncio -Ma a me piace chiamarti Puddin…-
-Non giocare con il fuoco, Harley…non chiamarmi in quel modo davanti ad altri, o ti strappo quella lingua…- Mi passò il pollice sulle labbra, senza delicatezza, sbaffandomi il rossetto, ma era così che gli piaceva. Sapevo bene come sarebbe andata a finire. E non vedevo l’ora.
-Quale, questa?- Gli presi la mano e gli leccai e succhiai le dita. Mi piaceva vederlo cedere poco a poco, anche se sembrava continuamente sul punto di picchiarmi.
Indossava solo i pantaloni neri eleganti di un completo; uno dei tanti. Era assurdo come riuscisse a mettersi un vestito formale e subito dopo dei pantaloncini da basket viola e a richiedere lo stesso rispetto con entrambi indistintamente. Lo adoravo.
Mentre continuavo a lavorarmi la sua mano i miei occhi si posarono per un momento sui tatuaggi sul suo petto. Il mio preferito era quello che raffigurava un teschio con un copricapo da giullare, lo rappresentava completamente.
Intanto lui aveva iniziato a respirare affannosamente, senza smettere di fissarmi come se stesse per buttarmi giù da quella finestra, gli occhi lucidi e spiritati che sembravano promettermi le sofferenze dell’inferno, ma io sapevo benissimo che invece di lì a poco avrei avuto il paradiso.
All’improvviso ritirò la mano, strappandomi una risatina. Tornai seria quando la infilò tra i miei capelli e mi tirò la testa all’indietro, sbattendomela addosso al vetro –Come ti piacerebbe che ti uccidessi, Harley?- Sussurrò, piegandosi su di me.
Sorrisi e fui scossa da un brivido, la vibrazione della sua voce profonda così vicina al mio orecchio –Lentamente, Mr. J. Vorrei che tu ti godessi ogni istante…-
-Esatto. E’ così che andrà, quando mi andrà di divertirmi un po'…quando mi sarò annoiato di te…- Sibilò, mordendomi forte il lobo dell’orecchio –Adesso vai verso il letto. LENTAMENTE- Mi lasciò i capelli e mi accompagnò con la mano finchè non fui troppo lontana da lui, a metà strada. Gli davo le spalle, così sorrisi trionfante e avanzai con lentezza snervante finchè non fui abbastanza vicina da potermi piegare in avanti e toccare il materasso con le mani, fasciata in un miniabito nero. Lo sentii ringhiare qualche passo dietro di me. Poi il silenzio; seguito dalle sue mani che mi spingevano sul letto e mi rovesciavano sulla schiena, in modo che potessi vederlo sopra di me.
Mi accarezzò la guancia con un sorriso macabro, misurato, studiato. Questo mi preoccupò un po' –Puddin…-
-Zitta- Con la punta delle dita percorse la distanza tra il collo e il seno. Sarei stata già pronta, ma sapevo che mi avrebbe torturata ancora a lungo e avrebbe voluto sentirmi supplicare prima di concedermi ciò che desideravo. Con una lentezza esasperante, iniziò a massaggiarmi il seno destro, avvicinando la bocca al mio orecchio sinistro –Forse la tua amica Joan aveva ragione, forse ti sei fatta veramente il vecchio Jerry…l’hai fatto, Harley? Ti sei fatta fare da lui le stesse cose che ti lasci fare da me? -
Lo spinsi via e mi tirai su –NO!- Lo fissai con gli occhi sbarrati, ma non potei non rimanere piacevolmente sorpresa quando nei suoi occhi incavati scorsi semplicemente  un lampo di gelosia. Ma che gli saltava in mente?
-No…- Addolcii il tono della mia voce, al settimo cielo –Sono sempre stata tua, Puddin…anche prima di conoscerti, lo sai…-
Non mi lasciò finire la frase e mi spinse nuovamente sul letto, strappandomi di dosso il mini abito e la biancheria. “Peccato, mi piaceva”. Ammirò per un momento i tatuaggi con cui mi ero riempita il corpo, tutti dedicati a lui, poi mi imprigionò con il suo peso e si slacciò i pantaloni.
-Sono tua Mr. J, solo tua. Ti amo…- A quelle parole mi strinse una mano sul collo e mi guardò come se volesse strozzarmi. Invece poi si avvicinò e mi baciò, spingendomi la lingua tra le labbra. Allargai le gambe mentre con le mani gli facevo scorrere i pantaloni sulle cosce. Lui finì di toglierseli con un repentino movimento delle gambe, seguiti dagli slip.
Dopo avermi rivolto uno sguardo esplicito si fiondò tra le mie cosce, inchiodandomi le mani al letto con le sue. Iniziai a mugolare di piacere, il tutto reso ancora più eccitante dall’impossibilità di muovere le braccia. Ben presto i mugolii si fecero più forti, ma evidentemente non urlavo abbastanza per i suoi gusti, perché in un attimo sostituì la sua lingua con il suo sesso, riempiendomi completamente, strappandomi un lamento estatico.
Mi sollevò come se non avessi peso e mi fece sedere sopra di lui, mentre continuava a incalzarmi con colpi sempre più forti, sempre più violenti. Appoggiai le ginocchia sul materasso per permettergli di andare ancora più a fondo. Lui mi prese per i capelli e mi tirò indietro il collo, accanendosi su di me, mordendo e lasciandomi segni rossi. Voleva marchiarmi. Quella consapevolezza mi portò a sorridere beatamente. I suoi respiri si fecero sempre più forti, sempre più animaleschi, eccitandomi all’inverosimile finchè non fui io a tirargli i capelli, sconquassata dall’orgasmo. Lui per una volta mi lasciò fare e chiuse gli occhi, svuotandosi dentro di me con un grugnito. Rise e dopo un istante mi spinse via.
-Tu sei pazza…- Continuò a ridacchiare, la voce così bassa che riuscivo a malapena a sentirla.
Alzai gli occhi al cielo, consapevole del fatto che non potesse vedermi e lo abbracciai da dietro –Sono pazza di te, Mr. J…-
Lui annuì assente, era già lontano da li, da quella camera da letto, perso in chissà quali pensieri. Era in grado di piegare la mia volontà con un semplice sguardo e un secondo dopo guardarmi e non vedermi nemmeno.
Mi si scrollò di dosso e si alzò, iniziando a rivestirsi –Dove vai?- Chiesi, imbronciata.
-Mettiti qualcosa addosso…- Disse guardando la città dalla finestra –Andiamo al Club…ho voglia di uscire…-
“Si!” Pensai scattando in piedi. Mi piaceva il Night Club di Mr. J. Non era lontano da li, era sempre pieno di gente interessante e la maggior parte delle volte finivamo sempre con l’uccidere qualcuno. Era la serata perfetta!
 
 
-Jonny Frost…- Lo apostrofai, intento a parlare con altri due scagnozzi del mio Puddin, appena fuori dalla porta.
-Harley- Congedò i due e mi salutò con un cenno del capo –Dov’è…? -
-Oh, si sta vestendo. Ci siamo divertiti un po' prima…spero tu non abbia sentito! Quanto ti paga per stargli sempre dietro? Per stare a sentire anche mentre mi sbatte? – Miagolai puntandogli un dito sul petto. Lui si ritrasse e fece finta di niente. Mi divertivo a torturarlo in quel modo, consapevole del fatto che fosse terrorizzato dall’eventualità che Mr. J mi potesse trovare troppo vicino a lui e gli facesse esplodere la testa.
 
 
JONNY FROST (POV)

LIVE FOR HIMWhere stories live. Discover now