THERAPY BEGINS

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Proprietà della Dottoressa Harleen Quinzel
Paziente n° 7744
Nome: Sconosciuto Età: Sconosciuta
"Joker"

Lessi il mio nome stampato sulla cartellina appoggiata sulla scrivania per la terza volta nel giro di tre secondi, incredula.
-Si sieda, Harleen- Jeremiah Arkham mi fece segno di accomodarmi sulla poltrona sistemata davanti a lui e si massaggiò le tempie. Obbedii in silenzio.
-Ha detto che non ero pronta per lui- Mormorai, cercando di non far trasparire tutta la mia eccitazione. Se fossi stata da sola nella stanza, probabilmente mi sarei messa a saltare dalla gioia.
-Ho pensato che le servisse veramente quell'occasione di cui parlava lei. Ha fatto un ottimo lavoro con Cross. Ma non le avrei mai dato Joker, se non fossi stato...costretto- Alzò lo sguardo per sondare la mia reazione a quelle parole.
-Costretto? Il paziente l'ha costretto? - Ero incredula. Joker aveva ricattato il vecchio in qualche modo?
-Normalmente non sono solito cedere alle richieste di ogni squilibrato che si trova qui dentro, se è questo che si sta chiedendo. Ma date le circostanze, credo sia meglio assecondare il clown. A quanto pare lei gli è simpatica, in qualche modo-
-Probabilmente pensa che sia la più debole qui, ecco perché vuole me- Pensai ad alta voce.
-Forse. O forse no- Si massaggiò di nuovo la fronte e si mosse sulla sedia, probabilmente a disagio -Ma è possibile che sia leggermente più collaborativo, se accontentiamo questa sua richiesta. Inoltre quanto è successo l'ultima volta con Bolton dimostra quanto l'esperienza nel campo sia inutile con lui...anzi la supponenza lo irrita. Una presenza come lei potrebbe essere la soluzione...questa è la sua occasione Quinzel, per dimostrare a me quanto vale e dimostrare a lui che si sbaglia a ritenerla la più debole, se è questo che pensa-
-Farò del mio meglio Dottore- Promisi, allungando la mano verso il dossier ancora abbandonato sul tavolo. Ero al settimo cielo!
-Bene. Il livello di sicurezza sarà triplicato rispetto al solito, sia durante il trasporto del soggetto fino al suo ufficio che durante il colloquio stesso. Non si è mai troppo prudenti. Si studi bene questo fascicolo stanotte, perchè lo vedrà domani stesso. Buona fortuna Harleen-.


Strabuzzai gli occhi, piegata sul piccolo tavolo bianco al centro della cucina del mio appartamento. Il meglio che avessi potuto permettermi fino a quel momento, un affitto non troppo alto e una zona non troppo schifosa in quella città in cui tutto, o quasi, era marcio.
Pluriomicidio, rapina a mano armata, aggressione, sequestro di persona...
....megalomane...misogino....
Mi addormentai tra i fogli di quel dossier, e quella notte sognai un uomo che mi sorrideva tra i cadaveri dei miei colleghi.


-Primo colloquio con il paziente 7744, identificato come "Joker". Sono la Dottoressa Harleen Quinzel e questo nastro è di mia proprietà- Spostai il registratore a lato della scrivania e giunsi le mani davanti a me -Allora. Come si sente oggi?-
-Sono un po' stanco- Joker si guardò intorno, stretto nella camicia di forza bianca. Era strano, aveva tanto insistito perché fossi io ad averlo in cura ma da quando era stato sbattuto dentro da Morales e altri due energumeni non mi aveva mai guardata.
-Non ha riposato bene?-
-La mia vicina di cella ha parlato con le piante tutta la notte- Rispose incolore. Completamente apatico.
-Ha spesso difficoltà a dormire?- Sembrava una domanda banale, quasi inutile e discorsiva, ma non lo era affatto. Il rapporto che una persona ha con il sonno può di gran lunga definire il suo stato mentale e fisico. Non che ci fossero dubbi sul fatto che quell'uomo fosse completamente fuori di testa, comunque.
-Si- Secco, quasi meccanico.
Poi, improvvisamente sembrò sbloccarsi e puntò gli occhi su di me -Harleen Quinzel...gli amici ti chiamano Harley? - La sua voce era suadente e subdola, sembrava accarezzare ogni singola parola. Il fascino doveva essere una delle sue armi più potenti, questo non c'era scritto su quel maledetto dossier.
-Non ho molti amici, in realtà-
Lui sorrise, mostrandomi di nuovo quei denti argentei che tanto mi avevano turbato la prima volta che lo avevo visto -Beh, Harley...ne hai uno adesso-
-Preferirei che mi chiamasse dottoressa, se non le dispiace-
Lui scoppiò in una risata convulsa, e la porta d'ingresso allo studio si spalancò immediatamente.
-Va tutto bene, Morales- Mormorai, scossa da quell'improvviso sconvolgimento di cose -Grazie-
Lui annuì e fulminò il mio interlocutore con lo sguardo, prima di richiudere la porta e lasciarci di nuovo soli.
-Lei gli piace, lo sa vero Doc?- Il suo modo di parlare era strano, quasi ipnotico. Calcava la lettera C all'inverosimile e poi rimaneva con la bocca leggermente aperta, fissandomi come se mi stesse implorando con lo sguardo di fare qualcosa. Mi confondeva, e in altre circostanze avrei distolto lo sguardo per l'imbarazzo, ma era importante mantenere il contatto visivo con i pazienti. Era così facile essere considerati deboli o inadeguati.
-Lei dice?-
-Oh si. La guarda come se volesse infilarsi dentro le sue noiose mutandine bianche di cotone-
Lo guardai storto, e cambiai decisamente la direzione del discorso -Prima ha detto che ha spesso difficoltà a dormire...le capita da molto?-
Lui si strinse nelle spalle -Da sempre. Non mi piace dormire. Tutto tempo sprecato- Si sporse in avanti sulla sedia finché quasi non toccò la scrivania con il mento, e solo allora notai il tatuaggio che aveva sulla fronte e l'altro sullo zigomo, ma decisi di rimandare ad un secondo momento un'eventuale domanda che li riguardasse -Mi dica, Dottoressa Quinzel...Si sente mai sola, nel suo squallido appartamento? -
Decisi che forse era meglio lasciarlo andare a parare dove voleva lui, visto che qualunque discorso provassi a fargli intraprendere, lui lo riportava sempre dove gli era più congeniale. "Va bene, parliamo di me allora".
-Perché dovrei? Ho un lavoro che mi piace e la mia vita sta andando esattamente nella direzione che avevo programmato- "Più o meno..."
-No no no no no. Non fare la finta scema Harley...ti ho chiesto se ti senti sola-
Non avevo praticamente mai avuto una madre, mio padre era morto da qualche anno e non avevo fratelli o sorelle. Si, ero sola.
-No- Mentii, ma era difficile con lui che mi guardava in quel modo.
-Ah!- Mi schioccò un'occhiata di rimprovero -BUGIARDA...-
Protrasse quella parola per diversi secondi, finché il suono della lettera A non divenne un fastidioso acuto, come se in mano avesse avuto una forchetta e l'avesse fatta stridere su un piatto.
-Senta- Mi raddrizzai sulla sedia, cosa che fece anche lui, reclinando leggermente la testa all'indietro assumendo un'espressione di finto stupore -Non siamo qui per parlare di me. Se oggi non vuole essere collaborativo, allora forse è meglio che la rispedisca in cella-
-Scommetto che se chiedessi al vecchio Lyle, che ho avuto il piacere di conoscere tempo fa, ti direbbe che il suo caro amico J è stato incredibilmente collaborativo oggi. A proposito, il dito è ricresciuto? - Ghignò, agitandosi dentro la camicia di forza.
-Stia fermo, le farà solo più male se continua a strattonarla così-
-Sei carina a preoccuparti per me, ma posso uscire da questa cosa quando mi pare-
-Ah, allora perché non l'ha già fatto? - Lo provocai, alzando un sopracciglio.
-Non voglio che tu ti metta a urlare e che quei gorilla lì fuori mi riempiano di botte! Certo, se mi promettessi di startene buona, potrei mostrarti qualche trucchetto...- Si alzò lentamente in piedi. Dov'erano finite le manette che gli avevano assicurato alle caviglie??
Con il cuore che batteva all'impazzata, mi ritrovai a guardarlo mentre girava intorno alla scrivania e si avvicinava sempre di più a me.
Trattenni il fiato, paralizzata dal terrore, quando lo vidi semplicemente allargare le braccia, sfilarsi la camicia di forza e in un istante portarsi il dito indice sulle labbra -Ssssssh-
Mi fece cenno di alzarmi, e io obbedii senza farmi pregare. Non era il tipo a cui piacesse chiedere le cose due volte.
-Tu mi piaci, Harley...non hai neanche pensato di mettere il tuo ditino sul bottone d'emergenza sotto la scrivania, giusto? -
Come faceva a saperlo?
-Me ne sono dimenticata- Mormorai sincera, mentre lui giocherellava con le mie ciocche bionde. Aveva un buon profumo, e questo mi stordì completamente.
-Quindi posso fidarmi di te, Harley? Posso? Tu puoi fidarti di me...vedi?-
-Non vuoi farmi del male?- Gli chiesi, completamente soggiogata dalla sua voce, dal suo sguardo, dal modo in cui muoveva la bocca.
-Come ti salta in mente? Io sono tuo amico...io e te siamo uguali! L'ho capito subito, appena ti ho vista, mezza nascosta dietro il grande capo, quando siete venuti a sbirciare noi mostriciattoli sotto vetro ieri-
Risi involontariamente e me ne pentii subito, che diavolo stavo facendo? Mi stavo lasciando toccare, le sue dita che si muovevano tra i miei capelli e un attimo dopo mi sfioravano le tempie, come vermi che strisciano su una mela prima di infilarcisi dentro e infettarla per sempre.
-Non pensarci, Harley. Chi decide cosa è giusto o sbagliato? So perfettamente come ti senti. Ti senti sola, persa, stretta dentro una vita che sai non essere la tua...nella quale non puoi esprimerti...circondata da persone mediocri...non ti piace nemmeno lavorare qui, e spesso ti identifichi di più con quelli dall'altra parte del vetro, che con i tuoi cosiddetti colleghi. Riconosco quella scintilla, in fondo in fondo ai tuoi occhietti azzurri...-
La verità di quelle parole mi colpì come uno schiaffo, uno schiaffo dolorosissimo. Perché nessuno prima di lui se ne era mai accorto fino a quel momento??
-Pensaci stanotte, quando sarai sola nel tuo letto...- Tolse le mani dai miei capelli e si allontanò, lasciandomi completamente stordita e confusa. Lo guardai raccogliere la camicia di forza e infilarci le braccia -Ora vieni qui e allacciami questa cosa, sarà il nostro piccolo segreto-


Gettai la borsa sull'anonimo divano beige che padroneggiava al centro del salotto e respirai profondamente. Cosa era successo quel pomeriggio?
Lui mi aveva manipolato, e io glielo avevo lasciato fare come una stupida. Ero rimasta impalata ad ascoltare le sue parole terribilmente vere, che ancora mi ronzavano dentro le orecchie nell'assordante silenzio di casa mia.
Mi ero fidata di lui, realizzai scuotendo la testa e recuperando il registratore da dentro la borsa. Estrassi il nastro e lo guardai con repulsione. Non volevo ascoltarlo. Non volevo, anche se era la prassi, riascoltare i colloqui con i pazienti per delinearne il profilo mentale e decidere un'eventuale cura farmacologica.
Ma niente di quello che era accaduto poche ore prima nel mio studio era la prassi. Niente.
Frugai nuovamente nella borsa e ne estrassi l'accendino. Senza pensarci due volte lasciai cadere a terra il nastro e gli diedi fuoco.

LIVE FOR HIMWhere stories live. Discover now