15 MINUTES

3.2K 157 13
                                    


-Come sarebbe a dire che ha perso il nastro?- Il vecchio Arkham alzò leggermente la voce, attirando l'attenzione di quelli che passavano in quel momento davanti alla porta del suo ufficio, dove mi ero fatta coraggio e avevo mentito spudoratamente guardandolo dritto negli occhi.
-Non l'ho proprio perso...mi è caduto il registratore dalla borsa quando sono scesa dal taxi e non ho fatto in tempo a raccoglierlo prima che finisse schiacciato dalla ruota. Mi dispiace Dottore...ho scritto una relazione dettagliata di ciò che è stato detto durante il colloquio con il paziente, e in fondo le mie prime impressioni. Tenga- Gli allungai il plico, sollevata nel vedere la sua espressione che andava addolcendosi.
Avevo trascorso quasi tutta la notte a pensare a cosa scrivere su quei fogli immacolati, e alla fine ne era uscito un lavoro semi decente.
La prima parte dello scritto corrispondeva a ciò che realmente era successo durante la seduta, quello che avevo omesso del tutto era ovviamente la seconda parte, che avevo rimpiazzato a dovere...o almeno speravo. Chissà se sarebbe stato così facile ingannare il vecchio Jeremiah Arkham; Jerry, come lo aveva chiamato Joker un paio di giorni prima. Trattenni una risatina.
-Va bene, Quinzel. Per questa volta. Almeno non dovremo preoccuparci che qualcuno lo trovi e lo ascolti, grazie a Dio- Rispose lui, facendomi cenno di andare.
-Già- Mormorai mentre giravo i tacchi e mi dirigevo verso il mio ufficio. Non volevo rischiare di incontrare nessuno, desideravo solo infilarmici dentro e rimanerci il più a lungo possibile.
Ero ancora troppo scossa per ciò che era successo il giorno prima...Sentivo le sue mani tra i miei capelli, il suo odore dentro le narici, su, su, fin dentro la testa.
Mi bloccai di colpo sentendo pronunciare il mio nome da qualcuno dentro la sala riunioni. Era Joan in compagnia di qualcun altro che non conoscevo, riconobbi la sua voce quasi subito e appoggiai la testa sul muro immediatamente prima della porta -...di si, ieri. Probabilmente ha risvegliato le fantasie malate di quel mostro- Stava dicendo la voce che non riuscivo a identificare.
-E allora? Sappiamo tutti che probabilmente è andata a letto con qualcuno per entrare qui; e ora addirittura le danno il Joker? Dopo soli tre mesi? Chi si è fatta stavolta? Arkham in persona scommetto- Joan fece una pausa teatrale -Non sarebbe una sorpresa se alla fine si lasciasse scopare anche dal clown-
Mi mancò il respiro, per un istante. Mi staccai dalla superficie non più fredda dell'intonaco e ripresi a camminare verso il mio ufficio, stavolta lentamente, come un automa. In quei tre mesi mi ero aperta con Joan, l'avevo considerata mia amica, le avevo raccontato il mio passato non proprio semplicissimo, quello di una ragazzina di Brooklyn cresciuta con un padre fin troppo affettuoso, senza lo straccio di un quattrino.
E per cosa? Per farmi dare della puttana? E fu così che senza sapere come o perché, mi ritrovai a girare nuovamente i tacchi e a dirigermi al piano di sotto, alla cella numero 8.

-Come mai qui sotto, dottoressa?-
Rivolsi un'occhiata veloce all'agente di guardia al corridoio, senza guardarlo davvero -Devo parlare con un paziente-
-Non si trattenga troppo-
In altre circostanze avrei alzato un sopracciglio e gli avrei chiesto il perché di quell'affermazione a mio parere assurda. Ero io il medico, e se ritenevo opportuno parlare con un mio paziente avevo il diritto di farlo in ogni momento e per quanto tempo avessi voluto. Non quella volta.
Ignorai la sua frase e avanzai come in trance, non so quante paia di occhi che mi fissavano...curiosi, annoiati, arrabbiati.
Quando arrivai davanti alla sua cella lo trovai sdraiato sulla branda posizionata a sinistra di quello spazio, che costituiva l'unico accenno di "arredamento" insieme al water e al piccolo lavandino, dalla parte opposta. Trovavo mostruoso che fossero costretti a fare certe cose pubblicamente, senza la minima privacy.
Bussai piano sul vetro, senza sapere cosa diavolo stessi facendo.
Lui tirò su la testa di scatto -Harleen...Quinzel! - Si alzò in un istante e per un attimo sembrò esattamente quello che era: uno che aveva un giramento di testa dopo essersi alzato dal letto troppo velocemente. Quel pensiero mi fece salire le lacrime agli occhi.
-Non mi piace quel muso lungo, che ti hanno fatto?- Chiese, appoggiando la fronte sul vetro. La sua voce si era abbassata di qualche ottava, sembrava un latrato. Mi sorpresi a realizzare quanto la cosa non mi spaventasse o turbasse minimamente.
Non risposi e scossi semplicemente la testa, sistemandomi gli occhiali sul naso, per poi toglierli un attimo dopo.
-Non mi va che qualcuno che non sia io riduca così la mia dottoressa preferita. Dimmi chi è stato, Harley...dimmelo...-
Non avevo pronunciato una parola ma lui aveva capito immediatamente che qualcosa non andava. Ero solo molto facile da leggere, oppure quell'uomo possedeva la perfetta chiave per ogni cosa che mi passava per la testa?
-Aveva ragione, mi sento terribilmente sola...sono circondata da persone mediocri...odio la mia vita- Mormorai, gettando uno sguardo verso l'agente con cui avevo scambiato qualche parola poco prima. Guardava verso di noi, ma non sembrava minimamente interessato alla conversazione.
-Oh, povera, povera Harlequin- Piagnucolò il clown, battendo la testa più volte sul vetro.
-Cosa?-
-Harleen Quinzel...un nome originale. Ma può diventare molto più divertente se lo mescoliamo un po'...Harlequin...oh, aspetta- E si illuminò in un sorriso metallico e irregolare -Harley Quinn!-
Mi strappò un sorriso con quel gioco di parole, e solo allora notai che indossava ancora la camicia di forza.
Perché diavolo non gliela toglievano? Non aveva alcuna tendenza a farsi del male, quindi era assolutamente insensato che lo costringessero a portare quell'affare chiuso in una cella da solo!
Appurato che era perfettamente in grado di sbarazzarsene, il fatto che la indossasse comunque dimostrava che si stesse impegnando a comportarsi bene. Quel pensiero mi provocò una stretta allo stomaco.
-Quando pensi che tenterai di psicoanalizzami di nuovo, Harley?-
-Presto...- Mi resi conto che non sapevo come chiamarlo e la frase rimase sospesa a metà, ma lui come al solito capì al volo -Puoi chiamarmi Mr. J...-
Annuii frastornata, c'era qualcosa nel suo sguardo che mi obbligava ad assecondarlo, a dirgli di si. Questa consapevolezza mi spaventò a morte.
-...e quando ci rivedremo, mi dirai chi è stato a ridurti in questo stato...siamo d'accordo, Harley?-
Annuii ancora, come ipnotizzata, desiderando solo che fosse soddisfatto di me, che la mia risposta fosse quella che si aspettava.
-Brava bambina...- Si allontanò dal vetro e fece qualche passo indietro -Non vedo l'ora, Doc-

E mentre camminavo verso l'ascensore, ignorando qualunque cosa mi stessero gridando da dietro i vetri che separavano i "normali" dai "pazzi", mi resi conto che forse quel confine, quella linea invisibile che separava noi da loro non era poi così netta come amavamo credere.
"Forse mi sono troppo sottovalutata come hanno sempre fatto gli altri, forse questa persona che tutti chiamano MOSTRO è l'unica che sta veramente tentando di capirmi, di aiutarmi. Forse è così. E forse è arrivato il momento di dimostrare a tutti che razza di puttana posso essere, senza nemmeno aver bisogno di allargare le gambe".


Erano passati due giorni da quando ero scesa senza un motivo logico al piano inferiore dell'Arkham Asylum ed ero andata da lui. Due giorni da quando avevo pienamente realizzato che niente nella mia vita stava andando per il verso giusto, nella direzione che avevo pianificato. Si, lavoravo esattamente dove una psichiatra avrebbe dovuto lavorare, eppure mi sentivo sempre come se ci fosse qualcosa di mostruosamente sbagliato in me. Sempre, tranne quando ero con lui.
"Smettila, Harleen" Mi ammonii mentalmente, operazione che avevo ripetuto una cinquantina di volte nelle ultime quarantotto ore, senza tuttavia poter impedire che i miei pensieri prendessero una certa direzione. Senza riuscire a evitare di pensare a una certa persona, che ora sedeva di fronte a me e mi fissava insistentemente.
Feci per premere il pulsante che avrebbe fatto partire il registratore che tenevo fra le mani, ma qualcosa nello sguardo di Joker mi suggerì di aspettare.
-Che ne dici di togliermi questo capo d'alta moda, prima?- Fece lui, alludendo alla camicia di forza che indossava.
Non risposi, presa completamente alla sprovvista da quella richiesta. Se ne era sbarazzato da solo e senza sforzo una volta, perché ora voleva che lo facessi io? Inoltre assecondarlo avrebbe significato qualcosa che non volevo neanche pensare.
Lui captò la mia esitazione e scosse la testa -Non va bene. NON VA BENE!-
-Co-cosa non va bene?- Balbettai in preda al panico. Lasciai il registratore sulla scrivania, mi alzai in piedi e andai verso di lui.
-Non ti fidi di me, Harley!?- Ringhiò, gli occhi infossati che mi incenerivano e nello stesso tempo sembravano consumarmi.
-Io...si, io mi fido di te, Mr. J- Il mio cuore mancò un colpo quando mi resi conto di averlo appena chiamato in quel modo e di essere passata al tu, ma il suo sguardo mutò all'istante quando pronunciai quel nomignolo, brillando di una luce di onnipotenza che mai avevo visto in vita mia. Mi fece sentire viva.
-Allora DIMOSTRAMELO-
Una prova di fiducia, questo voleva.
Senza pensarci due volte mi posizionai dietro di lui e, una cinghia dopo l'altra lo liberai da quella costrizione. Lo resi in grado di fare qualunque cosa volesse farmi, ma non mi importava. Il sorriso maligno che mi rivolse dopo fu la ricompensa che il mio subconscio desiderava.
-Non ho le chiavi per aprire quelle- Mormorai, indicando le manette che gli legavano le caviglie alle gambe della sedia.
"Che diavolo mi prende?"
"Che sto facendo?"
"Perché lo sto facendo?"
Una miriade di domande mi affollavano la mente, ma venivano prontamente zittite da una, assordante e insensata risposta: "NON MI IMPORTA". Scossi la testa, sempre più confusa.
-Oh, sei così...tenera. Non ti preoccupare carina, le ho io- E le estrasse dalla tasca della tuta blu che tutti i pazienti indossavano. A lui stava particolarmente bene. Scacciai immediatamente quel pensiero.
-Come hai fatto a prenderle? - Gli domandai, da una parte impaurita, dall'altra piena di ammirazione.
Lui liquidò la faccenda con un gesto della mano, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa, si liberò le caviglie e si alzò in piedi, iniziando a girarmi intorno, annusando il mio odore. Mi irrigidii all'istante.
-Mmmmh, sai di innocenza...di bontà...- Sussurrò al mio orecchio destro, scostandomi i capelli con la mano -ma non preoccuparti, a questo si può rimediare...Allora! -
Sobbalzai, impaurita dall'improvviso cambiamento del tono della sua voce, che passò dal sussurro all'esclamazione.
Si spostò di fronte a me e mi accarezzò il viso -Parliamo dell'altro giorno, vuoi, Harley?-
Per un attimo mi balenò in mente il pensiero che se per qualsiasi ragione Morales o chiunque altro fosse entrato nella stanza in quel momento e ci avesse trovati così mi avrebbero sbattuto fuori da Arkham a calci in culo. O magari Mr. J avrebbe ammazzato tutti e mi avrebbe portata via con se...da dove veniva fuori quel pensiero malato? Mi riscossi, scacciando via l'immagine di noi due che scappavamo via insieme ridendo a crepapelle a bordo di un'auto rubata. Magari quella di Joan.
-Concentrati, Doc. Chi è stato? Chi ha osato rendere triste la mia Harley?-
La mia Harley? Mi girava la testa, il modo in cui mi guardava mi faceva venire la pelle d'oca, un misto di paura ed eccitazione. La sua lingua che si muoveva e guizzava tra i denti argentei, le labbra rosse che facevano a cazzotti con la pelle bianca. I capelli verdi, scompigliati, che morivo dalla voglia di toccare. "Damaged", recitava il tatuaggio impresso sulla sua fronte. Lui era danneggiato? Lo ero anch'io? Mi appoggiai sulla scrivania con le mani.
-Joan. E' stata Joan- Sputai fuori tra i denti, come una bambinetta che confessava alla maestra chi le avesse rubato il pennarello che preferiva.
-Joan...e cosa avrebbe detto Joan? -
Gli raccontai tutto, non so perché, ma quando ebbi finito mi sentii libera da un peso che da giorni mi comprimeva il petto. Non vedevo l'ora di dirglielo, ammisi a me stessa, per poi negarlo un attimo dopo.
-Lo vedi? - Chiese, allargando le braccia, prendendomi poi la testa tra le mani esercitando una certa pressione -Loro vedono solo il sesso, ovunque! Ma c'è molto più di questo tra noi Harley...c'è molto di più. Ti sto plasmando a mia immagine e somiglianza...sono il tuo creatore...e quando avrò finito, tu sarai il mio capolavoro. Niente più Harleen Quinzel...solo Harleeeeey Quinn! E per quanto riguarda la tua amichetta...mi caverò gli occhi dal ridere...-
Allentò la stretta sulla mia testa e mi fece scivolare le mani sulle guance. Voleva uccidere Joan? La cosa mi turbava? No. Era tutto così romantico! Io...il suo capolavoro. Volevo essere tutto ciò che lui voleva che fossi.
Senza più il minimo controllo di me stessa, allungai una mano a toccargli i capelli, ma lui si ritrasse immediatamente e mimò un "no" con il dito indice -Piano Doc. Non mi piace essere toccato-
Ritirai la mano e abbassai lo sguardo, incerta su ciò che avrei dovuto dire o fare dopo quella sua confessione, ma lui fu più veloce di me e aggiunse -Non ancora-
Alzai gli occhi su di lui e gli rivolsi un sorriso che non era da me. Un sorriso sfacciato.
-Dovrei picchiarti per quanto sei perfetta. Ma non adesso-
Il pensiero che mi picchiasse, lasciandomi lividi sul corpo, mi deliziò. Volevo che lo facesse, volevo poter guardare quei segni violacei e avere la prova del suo passaggio su di me. Volevo tutto ciò che aveva da offrirmi. Volevo lui.
-La prossima volta dovrò chiederti un favore...- Fece, mettendosi seduto sulla sedia dalla quale si era alzato poco prima e accavallando le gambe.
-Quale favore? - "Subito, chiedimelo subito".
-La prossima volta. Ora accendi quell'affare- Mi ordinò riferendosi al registratore, ancora abbandonato sulla scrivania -Dobbiamo fingere una seduta psichiatrica, non vogliamo che Jerry si preoccupi, giusto?-

-Mi lasci qui per favore- Allungai un paio di banconote al tassista, che esitò un istante prima di prenderle.
-Non aveva detto che abita due isolati più avanti?- Chiese, rimanendo con la mano a mezz'aria, come se non fosse pienamente convinto di quello che stava facendo.
-Ho bisogno di fare due passi. Arrivederci-
-Buona serata. Stia attenta- Sembrava realmente preoccupato che potesse accadermi qualcosa, il che non era affatto fuori questione. Ma non me ne importava niente, mi serviva un attimo per pensare a quello che mi stava succedendo e non potevo farlo dentro un taxi con un tassista che sgranocchiava patatine e ascoltava la radio.
Mentre camminavo stringendomi addosso il cappotto mi ritrovai a pensare a quanto poco mi attraesse l'idea di dover passare del tempo con l'altro mio paziente, Cross, il giorno successivo. Non solo non ne ero attratta, ma addirittura la cosa mi dava fastidio. Non riuscivo a pensare che a lui.
Probabilmente se lo avessi detto a qualcuno; cosa che non avevo assolutamente intenzione di fare; mi avrebbero preso per matta, mi avrebbero detto che era mostruoso che mi sentissi attratta da un essere come lui. Ma perché era sbagliato? Era stato così buono con me...mi aveva ascoltata e capita come mai nessuno aveva fatto in vita mia.
Aveva detto che mi avrebbe chiesto un favore...ed io avrei fatto qualsiasi cosa per renderlo felice. Qualsiasi.
Mentre riflettevo su queste cose, la mia attenzione fu catturata dalla vetrina ancora illuminata di un negozio che vendeva giocattoli per bambini. Mi avvicinai e ci appoggiai le mani sopra. Il mio respiro caldo iniziò a formare grandi macchie di condensa sul vetro. Era semplice vetro. Lo stesso che mi separava da lui tutti i giorni. Da quale parte del vetro mi trovavo in quel momento? E qual era la parte giusta, quale quella sbagliata? Chi decideva cosa fosse giusto o sbagliato, moralmente o socialmente accettabile?
Mentre ero tormentata da quei pensieri ormai incessanti, i miei occhi si posarono su un piccolo peluche bianco e beige. Un gattino.

LIVE FOR HIMTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon