XXV

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E alla fine è arrivato marzo sospinto dal vento. Per tanto tempo, nella mia vita, ho aspettato questo mese. La primavera, il cielo limpido e l'aria ancora fredda carica di promesse. Non ancora la molle, rilassata atmosfera estiva. Non più il freddo glaciale dell'inverno spesso spiato dietro i vetri appannati della mia stanza. La stagione di mezzo. Quella positiva. L'autunno arriva con la sua promessa di buio e noia. La primavera spazza via tutto e crea la speranza di quello che arriverà. Questi sono i miei pensieri mentre fisso un po' inebetita la mia psicoterapeuta. Lei mi guarda perplessa ma comprensiva, come al solito. Non posso biasimarla se mi considera una paziente noiosa o poco collaborativa. Vorrei accontentarla ma non ne ho la forza. Vorrei accontentare un sacco di persone e per finire, perché no, anche me stessa.

"Come sta andando con tuo padre?" mi chiede girando la penna tra le mani.

Mi basta quel gesto per distrarmi e farmi dimenticare la risposta. Nelle ultime settimane dormo sempre meno e questo mi lascia una spossatezza e un senso di inadeguatezza che si riflette anche sulle mie capacità cognitive. A scuola, per la prima volta, faccio fatica a concentrarmi e spesso non capisco le cose che studio. Mi mancano le parole. Gli insegnanti hanno capito che qualcosa è cambiato in me e cercano di avere pazienza ma non serve a molto. Anche Luca fatica a capirmi e ci stiamo progressivamente allontanando. Forse il grande amore è già finito. Faccio questa considerazione mentre la dottoressa, visibilmente preoccupata, si sporge verso di me.

"Anna, stai bene? Hai sentito cosa ti ho chiesto?"

"Può ripetere la domanda?" mi sfugge un mezzo sorrisetto. Sento persino io di non essere nel pieno delle mie facoltà mentali.

"Ti ho chiesto come va la convivenza con tuo padre" mi ripete con calma, scandendo bene le parole.

"Non saprei dare una risposta" le dico con sincerità.

"Cosa vuoi dire?" mi guarda corrucciando la fronte.

"Vuol dire che non lo so. Potrei dire bene o male. Sarebbe uguale. Non so giudicare in questo momento. Non c'è nulla di significativo da segnalare" metto una mano tra i capelli e mi attorciglio un riccio tra le mani.

"Sei dimagrita ancora?"

"Lei pensa dottoressa?" sono stupita. Mi fisso le mani e le gambe ossute. Il maglione mi è sempre stato largo però, penso in silenzio. Vedo il mio viso riflesso su un'anta della libreria dello studio e noto, per la prima volta, che i miei zigomi sono molto pronunciati.

"Vorrei parlare con tuo padre" mi dice seria.

"Lo chiami lei" rispondo senza esitare.

"Lo farò. È un problema questo per te?"

"No. direi di no" ed è vero. Non mi importa quasi più di niente. Sto scivolando nell'assoluta indifferenza dalla quale ero riemersa mesi fa. Pensavo di stare male quando stavo con i miei nonni e lui non c'era.

"Il vero inferno è adesso" spiego più a me stessa che alla dottoressa.

"Cosa intendi Anna. Sembra che tu stia perdendo il controllo di tutto. Ne sei consapevole? Hai avuto un crollo che non mi sembrava possibile dopo i progressi che avevi fatto."

La guardo con occhi spenti e velati.

"Ha ragione. Devo fare qualcosa. Ma ne vale davvero la pena?"

"Devi uscire da questo torpore intanto. Prendi qualcosa per dormire?"

"Mio padre mi dà un tranquillante che mi fa stare meglio. Dice che serve anche per stabilizzare l'umore."

La dottoressa ora sembra agitata e nervosa.

"E come si chiama questo tranquillante?" le trema leggermente la voce ma non capisco cosa la agita tanto. Ho quasi la vista annebbiata.

"Non devi prendere niente che non ti venga prescritto da un medico. Mi hai capito Anna?" ha alzato la voce, come se avesse paura che non riesca a sentirla.

"D'accordo. Farò così allora." Faccio per alzarmi ma lei mi trattiene.

"Aspetta Anna. Torna tra due giorni. Va bene? Ti ricorderai? Non prendere più niente e torna da me tra due giorni."

"Va bene dottoressa." La saluto senza troppa convinzione.

Esco come in trance dallo studio. Fuori dal portone mi aspetta mio padre appoggiato al cofano dell'auto.

"La mia psicologa vorrebbe parlarti. Ti chiamerà" gli dico girando intorno all'auto per salire.

"Penso che sia meglio che interrompi le sedute. Non ti sta servendo a niente. Non penso sia molto brava."

"Come vuoi. Sei tu che paghi" ma mi sento mancare l'aria e mi sento agitata.

"Forse dovresti andare via per un po'. Potremmo fare una vacanza" mi dice a sorpresa.

Mi volto lentamente a guardarlo e penso subito che la sua non è una proposta generosa e disinteressata. Per un attimo ricambia il mio sguardo, giusto il tempo per farmi capire che non è sincero.


L'autunno è una stagione crudeleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora