CAP. XVII

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"Chi è Luca?" mi domanda Vera appena rispondo alla sua chiamata. Sono nel corridoio della scuola e aspetto che la macchinetta del caffè mi sputi fuori un cappuccino che si possa considerare vagamente decente.

"Perché questa domanda? E' un mio compagno di classe e un amico" non capisco da dove salti fuori adesso il nome di Luca.

"E hai anche una storia con lui?" insiste.

"Senti Vera dimmi solo a cosa devo tutta questa curiosità"

"Ho fatto una predica a Paolo prima di scoprire il motivo per cui ti ha mollato lì"

"Bene e cosa c'entra Luca in tutto questo?"

"Paolo sostiene che, dopo averlo baciato in modo travolgente, hai cominciato a fare il nome di questo Luca ignorando completamente lui e le cose che ti diceva. Diciamo che ... non l'ha presa tanto bene" aspetta in silenzio.

"Sinceramente non mi ricordo assolutamente di questo piccolo dettaglio" rispondo divertita.

"Comunque Luca è solo un amico. Provo solo dell'affetto per lui" preciso più a me stessa che a lei.

"Beh lui c'è rimasto malissimo. Sai il suo ego di maschio ne ha risentito parecchio. Ero pronta a linciarlo ma forse non aveva tutti i torti" ora ridacchia anche lei.

"Quindi?" le chiedo

"Cosa dovrei fare? Devo chiamarlo per scusarmi?" la cosa non mi sconvolge più di tanto.

"Se ti va. Forse però è meglio che chiarisci con lui la natura dei vostri rapporti. Penso sia veramente strainnamorato di te e che abbia frainteso tutta la situazione"

"Davvero? E ti ha confidato lui questo terribile segreto?" non so perchè non riesce a impietosirmi.

"Ora sei cattiva però. È un ragazzo carino. Non si merita di essere trattato male"

"Quindi il fatto che mi abbia abbandonato ubriaca nel bel mezzo della festa per i miei diciotto anni è una cosa di poco conto, secondo te?" gioco a fare la vittima anche se la cosa non ha avuto un gran rilevanza per me.

"Va bene, va bene. Vedi tu quello che vuoi fare. Volevo solo darti una spiegazione sul suo comportamento" mi saluta frettolosamente lasciandomi a meditare sul da farsi.

Mentre litigo con l'infernale macchina del caffè vedo arrivare il prof. Fucini.

"Le offro un caffè prof.?"

"Grazie Anna ma ne ho già presi tre stamattina. Sono già abbastanza nervoso oggi" la sua bocca si allarga in un sorriso disarmante, ha due occhi espressivi e profondi che diventano due fessure quando ride, il che lo rende ancora più irresistibile.

"Come sono gli esercizi che ti ho dato da fare settimana scorsa?"

Lo guardo per un momento mentre soffio sul mio cappuccino bollente e amaro.

"Impossibili. Grazie però, non mi divertirei se fossero troppo facili" cerco di sfoderare con lui tutte le mie doti seduttive ma francamente penso che dovrei prendere qualche lezione su quest'argomento.

"Avrei da farti una proposta se sei interessata" e questa è musica per le mie orecchie, qualunque sia la sua proposta ho già accettato.

"Che cosa?"

"Questo weekend sarò relatore ad un convegno sull'insegnamento e l'apprendimento della matematica. Ti piacerebbe accompagnarmi?" non credo alle mie orecchie. Sono così eccitata all'idea che fatico a rimanere impassibile e a non abbracciarlo.

Da lontano vedo avvicinarsi un gruppo di ragazzi. C'è anche Luca che quando mi vede rallenta e sembra volere tornare indietro. Una ragazza lo tira per un braccio. Sembrano intimi. Lei lo guarda con aria sognante. È spigliata e molto bella. Dopo qualche resistenza me lo ritrovo a due passi da me che sceglie quale bevanda prendere. Ci guarda con un sorrisetto ironico e allusivo che solo io posso decifrare. Il prof. lo saluta come sempre, senza intuire che qualcosa tra noi non va.

"Come va Luca la tua preparazione? Stai studiando?" gli chiede.

"Non so se verrò prof., forse non avrò tempo. Quest'anno abbiamo la maturità. I miei non sono d'accordo che partecipi" fissa Federico senza degnarmi di uno sguardo.

"Sarebbe un peccato. Ho appena chiesto ad Anna se viene a farmi da assistente ad un convegno di matematica. A te non lo chiedo nemmeno allora".

Se potesse fulminarci lo farebbe seduta stante. Stringe le labbra e sembra quasi a corto di parole.

"Bello. La Bartoli sarà contenta. Non pensa ad altro che alla matematica" dice sarcastico voltandosi verso di me. All'improvviso mi sembra sia diventato triste e vulnerabile o forse sono io a proiettare su di lui quello che provo io.

"Esatto. L'hai detto. A volte penso sia l'unica cosa per cui valga davvero la pena perdere tempo" ribatto scocciata. Avrei voluto essergli amica e condividere con lui tanti aspetti della mia vita ma ora capisco che non è possibile avere un dialogo. Tutti vogliono da me quello che non posso dare. Paolo, Luca, la mia dottoressa, i miei nonni.

"Accetto senz'altro" dico al prof.

"Non aspetti di sapere cosa dicono i tuoi nonni?"

"Non ci saranno problemi e comunque ormai sono maggiorenne. Posso fare quello che voglio" guardo Luca con aria di sfida. Spero gli sia chiaro cosa intendo dire.

"Non ti illudere. Non ti si aprono le porte del Paradiso quando diventi maggiorenne" mi dice infastidito.

"Forza voi due. Pensavo andaste d'accordo ultimamente. Siete veramente come cane e gatto" il prof. cerca di abbassare i toni.

Gli altri ragazzi ci guardano stupiti. Forse avvertono anche loro questa carica di energia esplosiva che si scatena ogni volta che siamo vicini.

Nuvole nere attraversano i suoi e i miei occhi.

"Buon divertimento allora" e si allontana con gli altri.

Torno a guardare il prof., Federico, che invece ha negli occhi il riflesso del sole.

"Preferisco comunque chiamare i tuoi nonni per sapere se sono d'accordo Anna. Non è mancanza di fiducia ma sono sempre il tuo insegnante. Non vorrei si creassero dei problemi" è così dannatamente cortese e razionale e corretto. Se solo fossi più grande. Se solo avessi un padre come lui mi ritrovo a pensare per un breve attimo. Lo guardo inebetita. Quest'uomo ha il potere di confondermi le idee. Annienta la mia capacità di giudizio.

"Come vuole lei ma i miei nonni sanno quanto sia importante per me la matematica" ci lasciamo sulla porta della mia classe.

Questa notizia ha dato alla mia giornata una svolta inaspettata. Negli ultimi giorni la sensazione che le cose mi stessero sfuggendo di mano è stata così forte da immobilizzarmi. Entro in classe con passo sicuro, come non mi è mai capitato da quando sono in questa scuola, in questa classe.

I miei compagni mi guardano, qualcuno bisbiglia, Luca sfoglia un libro distrattamente con aria imbronciata. Sento che i miei occhi emanano una luce nuova, come se dalla mia anima arrivasse un sorriso. Non mi importa che la gente intorno a me non capisca. Non ho bisogno della loro approvazione.

Mi sento più forte e sicura in questo momento e anche se non dovesse durare mi rimarrà la certezza che da qualche parte esista una soluzione e che c'è sempre una via d'uscita. Si tratta solo di imboccare quella giusta.

L'autunno è una stagione crudeleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora