CAP. XXII

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Mentre sono appoggiata al cancello della scuola con la mano di Luca che tiene una delle mie, lo vedo arrivare dall'altro lato della strada. Sembra più alto di quanto lo ricordi e visto che non ci vediamo da mesi, credo di essere giustificata se lo trovo diverso. Forse non è cambiato lui ma sento di esserlo io. È vestito in modo sportivo e ha i capelli rasati. Ha una piccola cicatrice sotto l'occhio destro e la faccia cupa. Non so se mi abbia ancora visto. Questo mi dà un leggero vantaggio su di lui. Devo solo capire che comportamento tenere e se sia il caso di presentargli Luca.

Gli vado incontro decisa, fissandolo negli occhi.

I nostri sguardi si incrociano e penso, per un attimo, che abbiamo la stessa espressione di ghiaccio e che credo di assomigliargli troppo.

Rallenta il passo e si ferma davanti a me. So che non è espansivo come lo era la mamma, quindi mi stupisce il fatto che allunghi le braccia avvolgendomi in un lungo abbraccio.

"Ciao papà" riesco a dirgli con un filo di voce.

"Ciao Anna. Come sei cresciuta ... Sei diventata più alta? Hai messo su un po' di peso?" mi sorride con dolcezza e questo mi spiazza perché volevo mantenere un atteggiamento distaccato e duro con lui.

"Non credo ... no, penso di no" mi sento in imbarazzo e come al solito la sua presenza mi pietrifica. Mi sembra anche di essere diventata balbuziente.

Con la coda dell'occhio vedo Luca che si allontana facendomi un breve cenno con la mano. Vorrei trattenerlo e chiedergli di rimanere con me, ad aiutarmi ad affrontare questa cosa che mi sembra troppo difficile da sopportare da sola ma non ce la faccio a parlare e mio padre mi sta fissando curioso. Probabilmente vorrebbe sapere chi è e magari anche conoscerlo ma mi sento completamente bloccata. Mi trascina per la mano e mi accompagna verso la sua auto.

Mi volto a cercare Luca ma è troppo tardi perché lo vedo incamminarsi con altri nostri compagni verso la fermata dell'autobus.

Sto solo sperando che il mio coraggio non mi abbandoni del tutto e che non arrivino delle visioni proprio mentre sono con lui.

"Andiamo a mangiare qualcosa Anna, ti va? Così parliamo un po' noi due da soli" mi dice con aria rassicurante.

"Certo. Va bene, come vuoi" lo guardo cercando di decifrare i suoi atteggiamenti. Spero solo che oggi mi dia delle riposte sincere. Non voglio altro.

Riusciamo a trovare un angolo appartato in un locale caldo e affollato di impiegati in pausa pranzo.

"Come va la scuola? Anche se tua nonna mi tiene informato sui tuoi successi in matematica ovviamente"

"Bene. Ho buoni voti in tutte le materie e sì, la matematica continua ad essere la mia materia preferita"

"Hai pensato a cosa fare dopo vero?" me lo chiede come a dare per scontato che devo avere sicuramente le idee chiare.

"Matematica. Sono sicura" gli rispondo di getto e vedo dalla sua espressione che non approva.

"Stai scherzando, spero"

"Cosa vuoi dire?" era una delle poche certezze che sentivo di avere e ora sta distruggendo anche quelle.

"Voglio dire che una facoltà come quella non ti porta altro che all'insegnamento. Devi fare ingegneria". Non riesco a capire se il suo sia un ordine o un suggerimento.

Lo guardo per un breve istante perplessa perché davvero non riesco a capire come una persona che si è sempre disinteressata a me fino a questo momento possa pensare di avere voce in capitolo su una decisione così importante per la mia vita.

"Vorrei fare ricerca in questo campo e perché no anche insegnare. Non mi sembra una cosa così negativa. Non credo di essere portata per aspetti più pratici. Non ho la testa da ingegnere" spero di essere stata convincente ma mi accorgo dal suo viso che non approva.

"Non sono d'accordo Anna. Dovremo analizzare bene questa cosa. Non penso sia la decisione giusta per te. Non voglio che butti via la tua vita. Devi far fruttare il talento che hai, non mortificarlo" scrolla la testa mentre toglie delle briciole dal tavolo.

"Non credo ci sia molto da discutere, sinceramente. Io credo di avere già deciso. Il prof. di matematica mi appoggia e pensa sia una buona scelta" non pensavo che questa conversazione si sarebbe concentrata su questo argomento ma direi che a questo punto sta diventando la cosa della quale mi devo preoccupare di più.

"Verrò io a parlare con questo insegnante che mi sembra non abbia un buon influsso su di te a quanto vedo. Sono stato troppo tempo lontano, lo so, ma sono io tuo padre e certe decisioni le prenderai con me, non con il professore di matematica. Sono io che pagherò la tua università e non voglio che tu faccia scelte di cui poi ti pentirai" sento dei brividi percorrermi il corpo e il mio respiro si fa pesante.

Come al solito ho sottovalutato il fatto che è un militare e che si sa, la miglior difesa è sempre l'attacco.

Avrei dovuto fargli io un milione di domande e chiedere risposte, arrabbiarmi magari, accusarlo, metterlo davanti ai suoi errori e invece eccomi qua a cercare di difendere disperatamente quella manciata di normalità e sicurezze che sono riuscita a costruirmi in questo ultimo anno.

Lo guardo con gli occhi velati dalle lacrime ma mi sto sforzando di trattenerle. Farò di tutto per resistere ai suoi attacchi e non voglio mostrare le mie debolezze. Sento che è un errore che pagherei caro.

Mi fissa severo, con una smorfia che non gli ho mai visto.

Dopo mesi di interrogativi e incertezze, dubbi e timori, devo piegarmi all'evidenza dei fatti. Ho davanti un uomo che non conosco e che forse non ho mai conosciuto perché non ha mai voluto farsi conoscere da noi, dalla sua famiglia.

La testa mi gira. Le mani mi sudano e non riesco a respirare bene. Mi alzo per andare in bagno e cercare un modo per allontanarmi. Mi segue con lo sguardo senza dire nulla. Penso che stia solo pensando alla prossima mossa mentre io so che devo recuperare la lucidità e riprendere il controllo della situazione il più in fretta possibile.

Non era così che mi ero immaginata questo incontro e non ero pronta ad affrontare questa problematica. Vorrei uscire da lì e correre il più lontano possibile ma so che non è scappando che ne verrò a capo. Mi prendo il tempo per riflettere e respirare lentamente. Lo specchio del bagno mi rimanda l'immagine sbiadita della solita Anna in difficoltà. Ho gli occhi enormi e spaventati, sono più pallida del solito e mi tremano leggermente le mani.

E allora, penso, forse è venuto il momento di far uscire la mia rabbia senza preoccuparmi di ferire nessuno. Vederlo quindi al mio rientro, mentre parla e scherza al telefono, come se il fatto di avermi appena vista andare via sconvolta dalle sue parole non avesse per lui il benchè minimo significato, mi conforta, perchè penso che questo renderà meno duro il fatto di vederlo in difficoltà quando affronteremo l'argomento che sta cercando così abilmente di evitare.

L'autunno è una stagione crudeleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora