26 - I am here

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《Justin》sbottai aprendo la porta dell'ufficio di Scooer. Mi guardai attorno per un momento. Bieber non era lì. Non rivolsi una parola a Braun, che mi guardava con occhi sbarrati, semplicemente mi chiusi la porta alle spalle, e mi diressi verso l'ascensore.
Dove poteva essere andato? Era incredibile quanto riuscisse a mandarmi fuori di testa quel ragazzo. La sua macchina era lì, parcheggiata esattamente come un'ora prima, quindi intuii che non potesse essere andato tanto lontano.

Scrutai attentamente ogni parte del parcheggio, non sapendo nemmeno cosa esattamente stessi cercando. Improvvisamente mi ritrovai a sperare che avesse lasciato, per qualche miracolo, le chiavi nella macchina prima di entrare nell'ufficio di Braun. Mi avvicinai al finestrino e ci poggiai le mani sopra, accostando il volto al vetro. Niente. Solo una nuvoletta sul vetro, dovuta al mio respiro. Sbuffai e mi arresi al fatto che avrei dovuto cercarlo a piedi.
Diamine, Yasmine.
Se non avessi avuto il vizio di parlare sempre più del dovuto, non sarebbe successo. Ma cavolo, un viaggio con lui era troppo, persino per la parte di me che cercava di affrontare ciò che provavo.

Non mi accorsi nemmeno di aver iniziato a correre, finché non sentii così tanto il fiato mozzato da dovermi fermare in mezzo alla strada. Poggiai le mani sulle gambe divaricate, alla ricerca disperata di aria. Sbarrai gli occhi.

Quando partimmo i miei capelli ricci vennero scompigliati maggiormente a causa del vento. Chiusi gli occhi, concentrandomi solo sulla sensazione che l'aria mi procurava, e il mio umore migliorò. Mi sentivo libera, con quella brezza addosso. Sembrava quasi stessi volando.

La macchina si fermò dopo alcuni minuti, e pensai che si fosse rotta di nuovo a causa del corto tragitto. Quando aprii gli occhi scoprii che eravamo in una pianura sperduta. Poche piante ci circondavano, se non per alcuni vecchi alberi, e la maggior parte dell'erba che copriva la terra era secca. Nonostante questo, quel posto era silenzioso, isolato, perfetto per me. Non mi trasmetteva sensazioni negative, non sembrava cupo, ne tanto meno lugubre. Mi sembrava sereno, proprio come il cielo celeste e limpido sopra le nostre teste.

Justin scese dall'auto senza proferire parola, poi aprì il mio sportello allungando una mano verso di me. La afferrai saldamente, prima di scendere ancora con lo sguardo basso. Sentivo le lacrime secche sulle guance, e i miei occhi bruciavano, probabilmente gonfi.

Vieni quifeci come mi aveva appena detto, afferrando anche l'altra sua mano. Camminammo per un po' così, lui all'indietro e io con gli occhi incatenati nei suoi.

Era lì, ne ero sicura. Mi feci forza cercando di ricordare la strada, iniziando a correre per arrivare il più in fretta possibile. Volevo davvero chiarire con lui, e non perché era una questione di vita o di morte, ma perché lui ne aveva bisogno. Aveva bisogno di dimostrazioni. Doveva capire che tenevo a lui come a nessun altro, che la nostra era una sottile linea, un piccolo filo, che se veniva superato, scatenava milioni e milioni di conseguenze non programmate. Di emozioni non programmate. E lui non ne aveva bisogno, non adesso almeno.
Percorsi la maggior parte della strada correndo, pensando a cosa avrei detto quando sarei arrivata. Pensai a come fargli capire come mi sentivo, a come capire lui. Probabilmente avrei iniziato a balbettare in maniera frustrante, prima di scoppiare, e finire per vomitare tutto quello che tenevo chiuso nella testa. Mi imposi di memorizzare il discorso che continuavo a ripetermi da più di venticinque minuti, costringendomi a dirlo a voce alta mentre correvo.

Ma quando arrivai, le parole mancarono alla bocca. La pianura era del tutto vuota, e sentii improvvisamente uno strano vuoto nel petto. Avevo fallito. Sospirai alla visione, e passai una mano tra le ciocche di capelli ricci che mi cadevano sul viso, afferrando poi il telefono. Digitai immediatamente il suo numero, e mi mancò il fiato quando portai il cellulare alle orecchie.
Avevo imparato il suo numero a memoria.
Sbarrai gli occhi quando in lontananza sentii lo squillo di un telefono, e un piccolo barlume di sollievo mi invase.

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