19 - Tutto finisce

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Erano passati due giorni dall'ultima volta che avevo visto Justin, e non ero uscita di casa in alcun modo. Inizialmente non avevo risposto alle sue chiamate, due o tre, poi avevo deciso di mandargli un messaggio:
"Ho bisogno di metabolizzare tutto quello che sta succedendo".

Subito dopo mi ero sentita in colpa. Lui mi aveva aiutata, aveva portato un barlume di luce nella mia vita, e non meritava di essere respinto in quel modo, senza alcuna spiegazione.
Avevo alzato il telefono e lo avevo chiamato, aveva risposto al terzo squillo:

《Ho solo bisogno di un po' di tempo da sola. Sono successe troppe cose insieme》ero rimasta in silenzio per alcuni istanti, sentendolo sospirare.
《Devo capire cosa fare con mia madre, e poi non sono abituata a tutto ciò. Tutto qui》
Lui aveva risposto di chiamarmi quando sarei stata pronta, e avevo chiuso la telefonata con un sorriso accennato, annuendo lentamente per la sua comprensione.

Mia madre non si era fatta più viva, se non per un ingresso a suo modo.Era entrata in casa alle tre di notte, il giorno seguente al mio ultimo pomeriggio passato insieme a Justin. Aveva una bottiglia di birra in mano, i capelli dritti e il rossetto rosa sbavato, che la faceva sembrare una bambola assassina. La sua gonna nera arrivava a metà coscia, lasciandole scoperte tutte le gambe, e i suoi tacchi la facevano camminare lentamente con la delicatezza di un elefante, ticchettando pesantemente sul pavimento e barcollando verso la camera degli ospiti. Aveva preso il suo rossetto rosso fuoco, una borsa firmata Tiffany e la sua piastra nera. Non aveva perso tempo in convenevoli, si era semplicemente sbattuta la porta dietro, senza nemmeno preoccuparsi di prendere le valigie.

Ero stata assalita dalla rabbia, ed ero uscita dopo averla sentita salire in macchina con qualcuno che continuava a ridere senza fermarsi, probabilmente più ubriaco di lei. Aveva deciso di farsi ammazzare?
Mi ero chiusa la porta alle spalle e mi ero diretta ai secchi della spazzatura, alle tre e venti del mattino, e avevo buttato via tutte le sue cose.

Dopo quella scappatina ai secchioni, per eliminare ogni sua traccia, non ero più uscita di casa. Avevo passato due giorni chiusa nella mia stanza, senza fare più di due passi fuori. Non avevo toccato cibo, se non una mela ormai nera a causa dei pochi morsi che le avevo dato, e non mi ero fatta nemmeno una doccia.

Avevo cercato di capire quello che mi stesse succedendo, senza riuscire a capirlo veramente. Il mio cervello non faceva altro che creare problemi, o situazioni poco gradite. Avevo pensato alla situazione creatasi con Justin, con un leggero sorriso, poi a mia madre, e il mio sorriso era svanito di colpo. Avevo pensato a me, stranamente nel modo giusto, alla mia felicità.
L'unica persona in grado di regalarmene un po' era stata respinta proprio dalle mie paranoie.
Avevo dedotto che non stavo molto bene. Ero confusa, frastornata. Il mio umore era letteralmente a terra e la mia mente troppo piena, più del solito.

Ed ora ero seduta sul letto, con le ginocchia al petto, circondate dalle braccia. Ero in quella posizione da ore, e nessun pensiero sensato era passato per la mia mente. Ogni tanto il mio telefono squillava, ma non mi preoccupavo di controllare chi fosse, ed ogni tanto vedevo gente conosciuta passare sotto casa mia, grazie alla grande vetrata. Loro non facevano caso a me. Provai persino ad immaginare la loro vita, quella reale, non quella che erano soliti mostrare. Probabilmente anche loro avevano dei problemi dietro quella facciata, come tutti del resto. Forse qualcuno era stato appena lasciato, o magari aveva ricevuto una bella notizia.
Non chiudevo occhio da due giorni, non mi decidevo a muovermi dal letto. Ero bloccata, completamente, e non riuscivo ancora a spiegare il motivo di tutto ciò.

Molto probabilmente non sarei andata nemmeno al mio incontro di lavoro il giorno seguente se non fosse stato per Claire. La vidi in strada, voltarsi verso la vetrata della mia stanza, e due minuti dopo bussò alla porta di casa. Inizialmente era stata delicata, poi aveva iniziato a darmi alla testa, ma non avevo alcuna intenzione di aprirle. Quindi si attaccò al campanello, torturandomi con quel suono stridulo per circa tre minuti di fila.
Non accennai alcun movimento, ma fu lei ad entrare.
Aveva la copia delle chiavi per qualsiasi evenienza, e a quanto pare non esitò ad usarle.

Who We Are - J. B. || #Wattys2018Where stories live. Discover now