18.

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Lì per lì rimasi un po' imbambolata, quella domanda da parte sua mi aveva spiazzata.
Mi piaceva il suo viso, i suoi capelli e i suoi occhi azzurri, e ormai mi ero abituata anche al suono della sua voce, sempre calma, e al suo sguardo a volte così penetrante, dopo tutto quel tempo passato in ascensore avevo fatto l'abitudine anche al suo comportamento freddo, che, ne ero piuttosto certa, era più un'arma di difesa che di attacco.
Avevo paura di dirgli quello che pensavo, ma lui l'aveva fatto, e ora toccava a me.
Fissai i miei occhi sui suoi e cercai di eliminare ogni traccia di esitazione.
«Mi piace il tuo sorriso».
Mi sarei aspettata di vederlo abbassare la testa imbarazzato e invece no, resse il mio sguardo per qualche istante prima di chiedermi, stupidamente: «Il mio sorriso?»
No, idiota, quello di Babbo Natale!
Annuii anche se era chiaro che non avesse bisogno di tale conferma.
«E, di grazia, quand'è che mi avresti visto sorridere?».
E siccome la coerenza non è acqua, chinò il capo leggermente verso il basso nel vano tentativo di nascondere proprio un sorriso.
Ora, per esempio, carino.
Avrei voluto che sorridesse sempre.
Quando sorrideva i suoi tratti duri si addolcivano e persino il suo sguardo di ghiaccio sembrava sciogliersi un po'.

StrangersWhere stories live. Discover now