Mia sorella e il suo ragazzo erano andati a scuola, e ancora non avevo capito come funzionasse negli istituti inglesi, ma non mi interessava nemmeno così tanto.
Quel giorno, Sascha mi aveva dato il permesso di usare il suo motorino. Non sapevo come sapesse del mio amore verso quei motori, e non capivo nemmeno perché mi avesse dato il permesso di una cosa che non gli avevo chiesto. Forse Nicole gliene aveva parlato, oppure era soltanto un modo per cercare di fare amicizia, ma non avevo intenzione di legarmi a mio cognato, non era tra le cose principali da fare.
Poteva anche non durare, poteva essere solo una immaginazione, nessuno garantiva che loro sarebbero stati insieme per sempre, era troppo presto per dirlo.
La mia fortuna era che Sascha sapeva l'italiano, dato che anche lui era cresciuto in Italia, anche se non capivo il motivo di quel nome così inglese. Sembrava che avesse buone intenzioni con mia sorella ed era un sollievo, forse si riusciva a non pensare a conseguenze negative.
Uscii dall'enorme casa, per poi chiuderla a chiave.
Nicole mi aveva dato una chiave di scorta, dato che ne aveva così tante che le avrebbe potute dare a tutti.
Osservai il motorino di Sascha. Era uno scarabeo nero, anche se impazzivo più per le vespe.
Solo Nicole sapeva che mi piacevano, nessun'altro ne era a conoscenza, nemmeno Salvatore. Ogni volta che nominavo quel nome, mi veniva sempre alla mente quell'immagine ed erano sempre più presenti i sensi di colpa. Non mi sarei mai dimenticata di quello che era accaduto, non ci sarei riuscita, ero troppo debole per farlo.
Pensa al motorino.
Mi ripeteva il mio subconscio, ma era così difficile sembrare che tutto potesse andare per il verso giusto.
Nulla più poteva essere giusto, perché tutto era perduto, distrutto, dimenticato. Forse sarei andata avanti, la mia vita sarebbe continuata a scorrere, ma nulla mi avrebbe fatto dimenticare quella scena.
Però il mio subconscio aveva, allo stesso tempo, ragione.
Lo so.
Un giro in motorino mi avrebbe un po' distratta, non del tutto, ma forse ci sarebbe riuscito.
Infilai il casco, per poi salire in sella. Era da tanto tempo che non guidavo una cosa del genere. Ero riuscita a prendere il patentino, ma ovviamente non mi vollero acquistare il mezzo per la mia felicità.
Non avevo abbastanza soldi per potermi acquistare quel veicolo. Quei pochi che avevo non sapevo come li possedevo, magari li avevo trovati per terra, oppure rubati a quei due esseri, non lo ricordavo.
Accessi il motore, per poi allontanarmi da quell'abitazione, girando per le strade di Oxford.
Mi balenò nella mente l'idea di non indossare il casco, con i capelli al vento e l'aria del vento che mi accarezzava il viso. Ma l'ultima cosa che volevo era provocarmi un incidente, specialmente con un mezzo che non ero abituata ad usare.
Gli edifici, le strade, i parchi. Era tutto così dannatamente bello e non sapevo che visitando una città straniera sarei riuscita a rilassarmi. Dovevo solo ringraziare mia sorella per avermi dato quel prestito, sia per il biglietto che per il passaporto. A quest'ultimo non ci avevo pensato, volevo solo allontanarmi da Firenze.
Forse quella lontananza mi avrebbe fatto bene anche se, dentro di me, sentivo qualcosa che mancava. Qualcosa non andava, qualcosa non si trovava più al suo posto. Dovevo smetterla, altrimenti non mi sarei riuscire a godere quei pochi attimi sereni.
Parcheggiai il mezzo nei pressi di un parco. Il sole sembrava quasi estivo, ma fortunatamente c'era il vento autunnale anche in quella città.
Mi tolsi il casco e lo portai con me dentro il posto, dato che non volevo che lo rubassero anche se, frequentando luoghi più comuni, difficilmente qualcuno commetteva una rapina.
Toccai quel prato così fresco, su cui mi sdraiai. Posizionai il casco di fianco a me, per poi rivolgere il mio sguardo verso il cielo.
Le nuvole grigie non mancavano, sembravano forti, potenti, devastanti, ma in realtà erano innocue, deboli. Tutto quello che mi circondava, in un qualche modo, rappresentava tutto quello che ero e che non potevo cambiare. Persino il leggero venticello poteva rispecchiarmi, o almeno, rispecchiava una cosa che sarei voluta essere.
Libera. Libera da ogni pensiero, libera da tutto quello che ero costretta a subìre, libera dal passato, libera da ogni senso di colpa, libera da tutto. Era un pensiero, una cosa immaginaria, un sogno lontano: non si realizzavano i sogni importanti, figurati gli altri.
Sospirai, per poi poggiare le mani dietro la nuca, mettendomi in una posizione più comoda.
Spostai il mio sguardo dal cielo alla terraferma, per notare se ci fosse qualcuno li. Non erano molti, principalmente perché c'erano molti ragazzi nella città e la maggior parte andavano all'università, però un numero piuttosto alto di adulti si trovava lì: alcuni soli, altri con la propria famiglia, altri solo con i figli o con il proprio cane.
Mi soffermai su una famiglia. Un uomo ed una donna erano seduti su una panchina: l'uomo teneva in braccio la figlia piccola, che probabilmente non arrivava ai due anni e, in piedi davanti alla donna, c'era un bambino molto più grande che faceva i capricci per chissà quale motivo, tipico dei bambini intorno agli otto anni.
Forse, io e Stefano saremmo riusciti a creare una famiglia: la nostra prima volta, il matrimonio, dei figli. Probabilmente mi aveva mentito su quello che provava, dato che non mi fidavo più di lui. La scelta l'aveva presa incondizionatamente dal mio parere, ed ero ancora arrabbiata per quello.
Qualcosa mi mandò in tilt il cervello. Speravo solo di aver visto male, ci speravo davvero. Mi misi seduta, con le ginocchia al petto.
Un ragazzo si trovava nel parco e la cosa era piuttosto strana. Era solo, seduto su una panchina.
Perché non lo avevo notato subito?
Non ero molto lontana da lui, ma aveva la testa voltata dalla parte opposta alla mia e non avevo certezze, ma mi sembrava così tanto lui.
Forse era frutto della mia immaginazione, perché insomma, Stefano ad Oxford?
Non sapeva che mi trovavo lì ed era positivo.
Ma, quando si voltò dalla mia parte, i dubbi svanirono e cominciò l'ansia.
Quegli occhi riuscivano a catturarmi, anche se erano distanti dai miei. Non poteva essere davvero lui, la persona che desideravo, ma da cui volevo stare lontana.
Mi aveva riconosciuto, infatti si alzò dalla panchina, proprio nel momento in cui mi alzai dal prato per andare all'uscita del parco, il più in fretta possibile.
Me lo ritrovavo ovunque.
Dai, in fondo non ti dispiace.
Camminavo rapidamente, non girandomi verso di lui. Indossai rapidamente il casco, per poi accendere il mezzo e andarmene da lì. Riuscii a notare dallo specchietto che il moro si era fermato a metà strada, come se fosse paralizzato.
Era lui, ne ero sicura. Era a Oxford e non per una gita, ma per vedermi, a meno che non avesse parenti in quella città.
Tutto quel coraggio che avevo me lo portava sempre via, soltanto incontrando quei dannati occhi verdi. L'unica cosa che ero riuscita a fare era scappare, correre lontana da lui, e potevo vedere da come era rimasto che veramente ci teneva.
Forse avevo commesso un errore ad abbandonarlo li dentro, però era giusto così, anche se non era per mia volontà.
Non era il momento di vederlo, dovevo cercare di dimenticarlo ma, per quanti sforzi facessi, non ci riuscivo. Avrei dovuto parlarci, chiarire, e magari ci avremmo messo una pietra sopra, ma non era così semplice.
Nonostante tutto, avevo perso la sua fiducia da quando aveva scelto Giuseppe. Avrebbe rinunciato a me per salvarmi e, se veramente mi amasse, sarebbe rimasto con me e saremmo morti insieme, se era quello il nostro destino.
Invece aveva cambiato le regole, e anche io ci stavo, ma non ero lui.

My All. ||Stefano Lepri||Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt