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La stanza bianca in cui John riposa mi ricorda la mia vecchia camera, quando avevo 12 anni. Mi piaceva il bianco, ricordo che con il vuoto intorno riuscivo a concentrarmi e immaginavo come riempirlo, di che colore dovesse essere la mia vita. Chissà dov'era l'anima di questo ragazzo. Chissà cosa pensava, se soffriva o se era felice. Se c'era luce nei suoi occhi o solo buio. Mi avvicino piano al suo letto e mi siedo sulla sedia scomoda che si trova al suo fianco. Con le dita percorro il lenzuolo che lo ricopre, prima di afferrargli la mano. Accarezzo piano le sue dita, la sua mano é grande, forte, liscia, immagino come sarebbe stata quella di Abel. Una lacrima scorre sul mio viso, subito Alex si avvicina per asciugarla. Mi sento inadatta qui, seduta accanto ad un ragazzo innamorato di me, finito qui a causa mia mentre guardo il suo migliore amico con cui amo passare il tempo.
Perché devo essere così? Perché non può essere tutto più semplice?

Un medico viene a far visita a John, scrive delle cose su una cartella messa ai piedi del suo letto, alla fine del controllo ci invita ad uscire. Alex si allontana per parlare con lui.
Mi affaccio alla porta per dare un'ultima occhiata a John, mi viene da piangere. Mi mordo le labbra per soffocare le grida che cercano di uscire. Vorrei davvero non aver fatto quel gesto, vorrei essere al suo posto.
Mentre penso a tutto quello che non posso fare, sento un leggero soffio caldo sul collo. Mi giro di scatto e due occhi verdi mi inchiodano alla porta.

"Ciao Aries, tutto bene?" Visto così, difronte a me, Gabriel é un gigante. Le sue spalle sono larghe e forti, appoggia una mano al lato della mia testa e mi guarda con insistenza. Mi viene in mente subito la stanza nella sua casa. Tutte quelle foto, tutta la mia vita chiusa nelle sue mani.

"Meglio di te, sicuramente." É l'unica risposta che posso dargli. Cerco di scansarmi, ma lui fa un passo avanti, bloccandomi il passaggio. Tutto ad un tratto ho paura, anche qui, in mezzo a tante persone, ai medici e alla sorveglianza, sento che é pericoloso. Cerco Alex con lo sguardo, ma non lo trovo.

"Spostati, non costringermi a spingerti via, sei un malato, non vorrei commettere un altro reato" faccio spallucce e reggo il suo sguardo, nella speranza che la mia minaccia funzioni.

"Non ho intenzione di trattenerti, va pure. Volevo solo avvisarti che tra una settimana uscirò. Quindi se vorrai farmi visita dovrai venire a casa mia." Mi sorride e piano si scansa lasciandomi libera.

"Certo, buona guarigione." Senza lasciar trapelare tutta l'ansia che si é impadronita di me, mi allontano a passi sicuri. Cerco Alex in corridoio, ma ci sono solo medici e persone che fanno avanti e indietro disperate. Decido di uscire e aspettarlo fuori, non mi sono mai piaciuti gli ospedali, mi ricordano Abel, e mi fanno venir voglia di sparire. Una volta fuori accendo una sigaretta e mi appoggio sulla fiancata della macchina di Alex. Prendo il cellulare e chiamo Harley. Risponde al secondo squillo.

"Ehi, come va?"

"Harley possiamo vederci oggi?"

"Va bene, passa da me alle 18"

"A più tardi."

"Solita mal.." chiudo la chiamata senza lasciarla parlare. Sono passati dieci minuti e Alex non si fa vivo. Fin quando non lo vedo correre sorridendo. Mi raggiunge con il fiatone e mi abbraccia di punto in bianco.

"John" ride, sorride, sospira. Cosa succede?

"Cosa?" Sorrido con lui, é così contagioso.

"John si é svegliato, ha mosso la mano così" apre la mano lentamente e alza l'indice mimando il gesto dell'amico.

"Davvero? É fantastico Alex."

"Si lo é! Il dottore ha detto che gli faranno alcune visite per capire il suo stato di salute, per sapere se la sua memoria é a posto, insomma tutte quelle cose lì. Dobbiamo tornare oggi. Ma prima vieni con me, andiamo a casa, hai bisogno di una doccia." Gli do un colpetto sulla spalla, ma come si permette?

"Screansato, quello che ha bisogno di una doccia sei tu. E alla svelta." Alzo gli occhi al cielo e sbuffo.

"Non prenderla male, intendevo per rilassarti, scema. A proposito, ho visto Gabriel." La sua espressione cambia radicalmente, contrae la mascella e serra i pugni stringendo il volante.

"Già, mi ha detto che tra una settimana uscirà." Si gira di scatto e mi guarda in cagnesco. La sua rabbia brucia sulla mia pelle, la tensione é palpabile. Improvvisamente sto soffocando nel piccolo abitacolo di questa stupida auto.

"Tu cosa? Ci hai parlato?!" Il suo tono si alza di qualche ottava.

"Me lo sono ritrovato alle spalle, ti cercavo, ma tu non c'eri. É tutto ok." Cerco di sopraffarlo ma ha un velo nero calato davanti agli occhi.

"No, Aries. Non é tutto ok. Tu stasera resti a casa con me, ci resterai a vita se é necessario. Non voglio se né ma. Fine della storia. Cazzo." Da un pugno al volante e mette in moto sfrecciando via verso casa sua. Mi giro a guardare fuori e sorrido per la sua premura. Mi mordo le labbra e mi sento avvampare. Cosa mi sta facendo?

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Nella foto Gabriel.

HIDDEN Where stories live. Discover now