Capitolo 4

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- Emy? Mi stai ascoltando?

La voce di mio fratello mi distolse dai miei innumerevoli ed incasinati pensieri.

- Eh? Cosa?

Nate scosse la testa, con aria stizzita. Eravamo davanti al garage di casa nostra, occupati a passarci la palla da basket. Io, però, ero parecchio distratta.

- Ti stavo dicendo che oggi sembri davvero pensierosa. Qualcosa non va?

Io scossi la testa, con aria convinta - È tutto assolutamente ok!

Bugia spudorata. Il fatto era questo: non volevo rivelare il segreto di Ben, anche se era questa la cosa che mi dava da pensare. Speravo solo di non far intuire nulla a mio fratello, e questo era un gigantesco problema, perché lui si rendeva conto di ogni cosa che mi riguardava.

Mi conosceva fin troppo bene.

Ma prima di parlare di tutto ciò che stava succedendo a Ben con qualcuno dovevo pensare, e parlare con il biondino di ciò che dovevamo fare.

- Tu mi nascondi qualcosa, Emily Evans - disse lui, guardandomi con aria sospettosa.

Io, in tutta risposta, cercai di fare una risata il più naturale possibile - Come no! - e gli passai la palla.

Lo sentii sbuffare - Un giorno o l'altro dovrai spiegarti, cara mia - e detto questo lanciò la palla parecchio in alto.

Io la presi al volo, dando poi uno sguardo al mio orologio - Come vuoi. Tu non dovresti studiare per gli esami adesso?

Lui mi sorrise, con aria furba - Ssh, mamma non saprà mai che adesso io non sto studiando se tu non dirai niente.

Io corsi verso di lui, spingendolo scherzosamente - Fannullone, non hai ancora studiato! Vai in camera tua e buttati sui libri fino a quando non saprai dirmi ogni singola teoria psicoanalitica di Freud a memoria!

Lui rise - Sì, mammina! - ed andò verso casa - Io vado a studiare, ma sappi che ti tengo d'occhio!

Entrò rapidamente in casa, cercando di fare meno rumore possibile visto che nostra madre era in casa e non sapeva che lui fosse fuori.

Non appena fu entrato tirai un sospiro di sollievo. Per fortuna non aveva voluto indagare in modo eccessivo. Ma probabilmente sospettava davvero di me, quindi c'era da preoccuparsi.

La priorità, in quel momento, non era quella. Dovevo trovare un modo per aiutare Ben. Forse dovevo solo farlo sentire meglio, e mostrargli un poco di affetto.

Decisi di chiamarlo, magari saremmo potuti uscire, tanto era venerdì, quindi il giorno dopo non avrei avuto compiti.

Entrai in casa, giusto per avvertire mia madre che stavo per uscire con un amico, quando sentii la voce furiosa di mia madre.

- Nathaniel Evans! Noi non ci siamo capiti!

Mia madre doveva aver scoperto Nate. Dovevo sospettarlo, a lei non sfugge mai niente.

- Ehi ma', adesso esco, ok? - chiesi, ricevendo come risposta un frettoloso "Certo tesoro!". Subito dopo ricominciarono gli scleri di mia madre.

Il vantaggio di chiederle qualcosa mentre era arrabbiata con qualcuno che non fossi io era che rispondeva sempre di sì, occupata com'era ad urlare non badava molto alle mie parole. Un trucco semplice ma a dir poco geniale.

Presi il telefono e mi misi d'accordo con Ben, ci saremmo visti al bar poco lontano da casa mia, per poi fare un giro in centro. Suo padre sarebbe tornato a casa verso le sette, e Ben quindi per quell'ora sarebbe dovuto essere lì, altrimenti lui si sarebbe parecchio arrabbiato.

Iniziai ad incamminarmi, con calma, giocherellando intanto con le maniche della felpa. Quando arrivai notai che Ben era già lì, e corsi verso di lui.

- Ehi Ben! - esclamai, facendolo voltare verso di me.

Potei notare quanto il suo sorriso fosse forzato, ma cercai di non farci caso.

- Ciao - rispose lui, con un semplice cenno del capo.

- Allora... - dissi, passandomi la mano sulla nuca - Credo che dovremmo parlare.

Lui mise le mani nelle tasche della giacca verde, sospirando - Lo so.

Ci mettemmo a sedere in un tavolino isolato del bar, e restammo a fissarci per alcuni secondi.

- Devi denunciarlo - dissi io, dopo aver ordinato una fetta di crostata, ed essermi assicurata che nessuno ci stesse fissando.

Lui tenne lo sguardo basso - Lui mi ha detto di non dire nulla. Non posso farlo, altrimenti... Ha detto che la farà finita con me prima che la polizia possa trovarlo. Tanto so che vorrebbe farlo - disse, con un sospiro.

Passarono altri secondi di silenzio, eravamo tesi, e si notava parecchio. Adesso non potevo fare a meno di chiedermi che cosa avesse scatenato l'odio del padre di Ben.

- Almeno tu lo sai perché tuo padre fa tutto questo? - chiesi, cercando il suo sguardo, che però era inesorabilmente rivolto verso il basso.

- Parlane solo se vuoi - aggiunsi, vedendo che non arrivava nessuna risposta.

- Lui... Lui non ha mai voluto che io nascessi. Sono un figlio che non ha mai desiderato avere. Per questo... Per questo mi odia - balbettò.

Non dissi nulla. Sapevo che uno stupido "mi dispiace" non sarebbe valso nulla. Quindi restai zitta, e lo stesso fece lui.

Uscimmo poco dopo dal bar, e ciò che cercai di fare, molto semplicemente, fu di far dimenticare a Ben quello che stava succedendo, e di fargli passare una giornata serena, all'insegna del divertimento.

Passammo per il negozio di videogiochi, senza comprare niente perché non avevamo abbastanza soldi, e visitammo un negozio di fumetti, uscendone come se fossimo appena stati in paradiso, ciascuno di noi con in mano un manga. Io mi ero procurata Tokyo Ghoul, e lui il tredicesimo volume di Death Note. Poi passammo in una libreria, e durante le camminate tra un posto all'altro parlavamo senza mai fermarci.

Alla fine della giornata ci salutammo davanti a casa sua. Aveva dipinto sul volto un grandissimo sorriso, e anche i suoi occhi sembravano sorridere, le sue iridi verdi quasi brillavano.

- Grazie - disse, abbracciandomi rapidamente - Oggi mi sono divertito come non mai.

Io gli scompigliai i capelli biondi, dopo avergli sollevato leggermente il berretto che portava in continuazione - Non c'è di che, Benjamin. Comunque ho avuto un'idea. Uno di questi giorni ti devo presentare mio fratello, sono sicura che andreste un sacco d'accordo!

- Va bene, ma... Non chiamarmi così! - disse lui, ridacchiando - Odio il mio nome!

- Come vuoi, Benjamin! - risposi, correndo via e vedendo il ragazzino sbuffare, facendo finta di essersela presa.

Game Over | Ben Drowned Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora