Capitolo 64

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BEATRICE
Non avevo trovato il modo di dirglielo direttamente, ma almeno l'avevo detto.
Finalmente.
-Cosa?!- esclamarono Luca e Gabriel all'unisono.
Voltai lo sguardo verso Gabriel, perché sebbene prima avessi cercato gli occhi di Luca, in quel momento mi sentivo troppo imbarazzata per guardarlo. Probabilmente ero diventata tutta rossa.
    Ero così fiera di me stessa, sia per aver –indirettamente – esternato i miei sentimenti, sia per aver detto al mio migliore amico finalmente la verità.
Gli avevo raccontato bugie su bugie per tre settimane sul perché mi sentissi così giù di morale e sul perché non volevo più uscire con gli altri, ma ora sapeva la verità e speravo che la prendesse bene.
D'un tratto iniziarono a parlare contemporaneamente: Luca chiedeva spiegazioni, voleva parlare con me, voleva sapere se dicevo sul serio; Gabriel continuava a chiedermi se stessi scherzando e insultava Luca, che nemmeno lo considerava.

Mi portai le dita sulle tempie e le massaggiai, provando a calmare i nervi, perché mi stava venendo già il mal di testa.
-Potete per favore andarvene, ora? – gridai per sovrastare le loro voci profonde.
Entrambi cessarono di urlare e mi fissarono come dei cuccioli appena mandati in giardino mentre fuori c'è il temporale.
-Sì, Luca, vattene. Devo parlare con Beatrice. – ordinò Gabriel.
-No, vattene tu. Io devo parlare con lei. – ribatté Luca.
-Tutti e due. – sospirai e li spinsi verso la porta.
-Dai, Bea, sai che ho aspettato così...- prima che Luca potesse finire, avevo già sbattuto la porta.
Sospirai e cercai di calmarmi: troppe cose tutte in una volta.

Mi feci una tisana rilassante alle bacche e mi sdraiai sul divano con gli occhi chiusi.
Dopo una ventina di minuti suonarono al campanello ed io sbuffai.
Ero sicura che fosse la mia vicina di casa che era venuta a lamentarsi di Luca e Gabriel che discutevano in strada, invece, quando andai ad aprire, era Luca.

- Non ti avevo detto di andartene? – alzai gli occhi al cielo. Dovevo ancora metabolizzare la cosa, non mi sentivo pronta a parlargli.
-Me ne ero andato, ma sono tornato. – mi sorpassò ed entrò in casa prima che io potessi chiudere la porta di nuovo.
-Che c'è?
-Dobbiamo parlare. – rimase in piedi in salotto.
-Luca, io non sono... devo pensare...- balbettai, cercando di trovare le parole giuste.
-Guarda che non serve prepararsi un discorso fatto prima. Puoi per una volta dire quello che ti passa per la testa in questo preciso momento?! E non fa niente se sbagli a coniugare i verbi o non dici frasi di senso compiuto, basta che mi dici qualcosa che non ti sei preparata mentalmente. – il suo tono sembrava disperato, mentre gesticolava con le braccia. –Fammi sapere cosa ti passa per la testa, una buona volta. – concluse, in un sussurro.

Rimasi parecchio colpita dalle sue parole: mi conosceva così bene da sapere che ogni volta che accadeva qualcosa, dovevo prepararmi un discorso in mente mia prima di affrontare la cosa.
-Io... sono confusa. – dissi di getto, ma non sembrava una novità per lui.
-Continua.
-Mi sento... non lo so, sento le farfalle nello stomaco e mi viene da sorridere ma nello stesso tempo ho le lacrime al limite negli occhi...- feci come aveva detto lui e dissi ciò che erano i miei pensieri: -Ho fatto bene a dirlo a Gabriel, secondo me. Prima o poi doveva saperlo, anche perché era ormai l'unico ad esserne all'oscuro. Però gli ho detto anche quella cosa...-
-Quale cosa? – mi spronò.
-Sai benissimo quale cosa. – gli lanciai un'occhiataccia.
-No, non ne sono sicuro. Dimmelo.-
Scossi la testa. Era troppo imbarazzante.

-Bea, parla, ti prego. – mi incalzò, quando ci furono diversi minuti di silenzio.
-Ma perché mi costringi? Non voglio dirti quello che penso. Non a caso i pensieri restano nella nostra mentre e non si dicono ad alta voce! – esclamai, ancora più esasperata di prima.
Luca rimase a fissarmi impassibile per qualche secondo, poi scorsi i suoi occhi diventare lucidi.
-Cerca di metterti nei miei panni, però. – disse, poi si sfregò gli occhi con una mano. –Ecco. – alzò gli occhi al cielo, come se si vergognasse.
-Guarda che puoi piangere,eh. – inarcai un sopracciglio.
-No! Non posso: sono un maschio! Tu mi fai passare per la femminuccia che piange perché il ragazzo non la ricambia, quando di solito è sempre il contrario. – sbottò, infastidito.

Sex or love?Where stories live. Discover now