Capitolo 90 (✔️)

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Oggi è stata proprio una di quelle giornate da dimenticare. Non appena ho messo piede all'interno dell'officina, stamattina, Ryan ha cominciato a bombardarmi di telefonate fino a quando non mi sono decisa a rispondergli. Non volevo sapesse di tutta questa storia ma, diversamente da quanto credevo, mio nonno non riesce proprio a fidarsi di me. Gli ha raccontato tutto e, come era da aspettarsi, nemmeno Ryan si è risparmiato la sua sfuriata. Ma, come se non bastasse, successivamente mi è toccato ascoltare le prediche di Amanda e quelle dei miei genitori. Ad un certo punto, ho scaraventato il telefono contro il muro dell'ufficio, ormai, di JD, in preda ad una crisi isterica. All'appello, mancava solo Dom, che non so per quale assurdo motivo, oggi non ha nemmeno provato a chiamarmi, fortunatamente.

Sono passati due giorni dalla chiacchierata con Ruiz, ma non so ancora niente riguardo alla fantomatica corsa a cui dovrò prendere parte. Mi sono, però, già assicurata la vettura che userò quella sera. Ieri, dopo il lavoro, ci siamo concessi una corsa e la possibilità di aggiungere alla mia collezione anche una Challenger Redline, l'auto che userò in quella corsa. Dopo gli ultimi eventi, ho deciso di lasciare Ray ai miei genitori, considerando che comunque ora sanno che sono qui. Mi distrugge allontanarmi da mio figlio, ma non potevo esporlo ad altri rischi, soprattutto adesso che ho capito di essere io il loro principale bersaglio. Quindi, lasciata l'officina, raggiungo casa dei miei. Mia madre non mi lascia nemmeno il tempo di scendere dall'auto che ricomincia a sproloquiare su quanto io sia incosciente e che farò bene a tornarmene da mio marito prima che decisa di rispedirmici lei stessa. Di sicuro, non ha ancora capito che ormai sono anni che non ha più nessun diritto di mettere bocca su ciò che mi riguarda e che, se non fosse stato per l'infarto di mio padre, non ci staremmo ancora rivolgendo la parola. Senza parlare del fatto che, ormai, si fa sempre più nitida la voglia di non rimettere più piede a Los Angeles. Evito di dare voce ai miei pensieri, ritagliandomi un po' di tempo insieme a mio figlio. È notte inoltrata quando lascio il centro per tornare a casa di mio nonno. Cerco di non pensare a niente, di svuotare la testa e lasciare che il nulla mi accompagni fino a casa. Ma quello che vedo, non appena fermo la mia auto davanti al garage, mi fa infuriare come mai prima d'ora. Ci sta il fatto che si preoccupi per me, posso anche passare sopra al fatto che lo abbia raccontato a Ryan, ai miei genitori e, non so come, anche ad Amanda, ma questa non gliela perdono. Con fare disinvolto, la persona che più di tutti doveva starmi lontana, cammina nella mia direzione, credendo di intimorirmi col suo fare arrogante. Mio nonno assiste alla scena in piedi sotto il piccolo portico di legno mentre credo che dalle mie orecchie stia per uscire del fumo. Sono arrabbiata, furiosa, perché non riescono a capire che questo è solo affar mio e che devono restarne fuori. Si ferma poco distante da me, aspettando, forse, di sentirmi parlare. Ma tutto ciò che faccio è superarlo, mandare un'occhiata di fuoco all'uomo che guarda vigile nella mia direzione, e sparire all'interno del garage. Spero che questo basti a fargli capire che non voglio che lui sia qui, che non voglio parlargli e che non voglio vederlo. Ho bisogno di tenere occupate le mie mani, quindi apro il cofano della Challenger e mi metto a fare, precisamente, non so cosa. Tutto purchè eviti di pensare che, l'uomo che mi ha fatta sentire una nullità, sia a pochi metri da me. Con la testa nel vano motore della macchina, sento la porta del garage aprirsi e richiudersi, segno che non ha capito che non lo voglio qui.

"Credevo che i problemi li risolvessimo in famiglia." annuncia la sua presenza. Non ribatto perchè vorrei evitare di innervosirmi ulteriormente. E, poi, da quale bocca escono queste parole! "Sam..."

"Vattene." cercando di sembrare calma e, nemmeno un po', turbata. Lo sento avvicinarsi e, quando ormai, lo percepisco a pochissima distanza da me, mi allontano velocemente. Non riuscirà ad avere la maglio, sta volta. Ci guardiamo, ci sfidiamo ma nessuno dei due è deciso ad abbassare lo sguardo. Pronuncia di nuovo il mio nome, quasi come se stesse recitando un'incantesimo per farmi tornare in me. Ma, non lo ha capito, io sono perfettamente in me, tanto da continuare a tenere lo sguardo puntato nel suo, cercando di fargli capire ciò che anche prima gli ho ripetuto. Deve andarsene.

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