Capitolo otto

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Capitolo otto

 

Berlino, novembre 1940.

Fuori aveva ripreso a nevicare e, all'improvviso, il suono di uno sparo squarciò violentemente l'aria.

Alcune delle ragazze avevano lanciato degli urli terrorizzati, altre si erano appiattite contro i muri grigi del corridoio ed erano sull'orlo dello svenimento. Solo alcune si erano avvicinate alle finestre, una guancia premuta contro il vetro freddo, e cercavano di capire cosa fosse successo.

Anna era tra queste e in qualche modo non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Boris ritto in piedi nella sua divisa stirata e inamidata, il braccio che reggeva una pistola ancora fumante, e ai suoi piedi Wilhelm, con un buco sanguinante nella testa e immerso in una pozza di sangue che si allargava sempre più sulla neve, tingendola di rosso.

Aveva paura che Boris avesse scoperto che quel giovane ragazzo era solito riaccompagnare a casa ogni sera la sua futura moglie.

Ma poi si rese conto che quello sparo era echeggiato troppo vicino. Il pensiero che Wilhelm fosse ancora vivo e vegeto la fece sorridere.

Aveva appena notato del movimento nei pressi del cancello chiuso del conservatorio musicale quando il vecchio custode – il signor Werner – irruppe nel corridoio come una furia, facendo allontanare tutti dalle finestre ed esortando tutti gli studenti ad entrare nelle classi con la minaccia di ricevere qualche bella frustata dal suo bastone di legno.

Anna sapeva bene che il signor Werner non avrebbe alzato le mani su nessuno. Se i genitori avessero scoperto di atti di violenza sulle loro figlie, il custode avrebbe ricevuto in premio una bella pallottola in mezzo agli occhi proprio lì, nel cortile della scuola sbiancato dalla neve.

Nonostante tutto, la ragazza seguì le istruzioni e si sedette al suo posto nella classe di matematica, ma la sua testa era altrove. 

***

Berlino, luglio 1930.

«Elga, dici che tornerà?» chiese Anna alla sua balia.

Aveva sei anni e se ne stava seduta sotto il gazebo del giardino, al riparo dal caldo sole estivo.

«Ma certo, piccolina» le aveva sorriso Elga accarezzandole la treccia di capelli chiarissimi per poi riempirle il bicchiere di limonata fresca. «Non ti preoccupare». Le aveva sorriso di nuovo e aveva ripreso a leggere il suo libro.

Elga Krause era una donna sulla trentina, con lunghi capelli biondo scuso – spesso raccolti in una crocchia – e con un paio di occhi marrone cioccolato. Era stata assunta dalla famiglia Schmidt sei anni prima, quando era nata Anna, perché la signora Schmidt non avrebbe sopportato il fatto di crescere un altra creatura urlante come il suo primo figlio, Adam. Era anche l'unico membro della servitù che potesse rivolgersi ad Anna come avrebbe potuto fare con sua figlia e questo era un enorme privilegio agli occhi dei suoi colleghi, che non potevano permettersi di interagire con Anna come faceva lei. E per Anna era l'unica persona con la quale potesse parlare liberamente di qualsiasi cosa le passasse per la testa, era l'unica vera madre che avesse mai conosciuto.

Ma, mentre Elga proseguiva nella sua lettura ad alta voce, cercando in ogni modo di attirare la sua attenzione e coinvolgerla, i pensieri di Anna non erano lì con lei.

Pensava a Thor, il pastore tedesco che due anni prima aveva chiamato come uno degli dei della mitologia nordica.

Ricordava ancora come, il giorno del suo quarto compleanno, suo padre fosse tornato a casa con un fagottino tra le braccia, glielo avesse porso e, con sua grande sorpresa, le avesse fatto gli auguri. Già a quattro anni Anna non avrebbe mai immaginato che quell'uomo distaccato e sempre concentrato sul suo amato esercito fosse in grado di cantarle Zum Geburtstag viel Glück[1] con un sorriso dipinto sulle labbra.

L'amore ai tempi della guerraWhere stories live. Discover now