Capitolo tre (OLD)

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CAPITOLO TRE (VECCHIA VERSIONE)


Norimbrega, 25 dicembre 1990.

«Arrivo!» urlò Suzanne, correndo verso la porta d'ingresso, dove qualcuno aveva appena suonato il campanello. «Sì?» chiese, aprendo la porta. «Franz! Ciao» esclamò contenta, appoggiandosi allo stipite della porta e sorridendo al suo ragazzo.

«Suzanne» sorrise, inclinando il capo biondo e fissandola negli occhi. «È da quasi mezz'ora che ti aspetto».

«Hai ragione, scusa» rispose lei, abbassando leggermente il capo e socchiudendosi la porta alle spalle. «Il fatto è che mia madre non vuole lasciarmi uscire, visto che c'è qui la nonna. E...» continuò, ma si interruppe. Cosa poteva interessare ad un ragazzo di una storia di due innamorati nella Berlino degli anni '40?

«E?» la incoraggiò Franz, avvicinandosi di un passo alla ragazza.

«E mi stava raccontando una storia. Sai quanto mi piacciono le storie!».

Il ragazzo rise. «Posso ascoltarla anche io?» chiese, sorridendo raggiante.

«Perché no?» sorrise a sua volta Suzanne, invitando il ragazzo ad entrare. Lo accompagnò nel salotto, riscaldato da un enorme camino in pietra, dove la nonna era rimasta seduta ad aspettarla, e glielo presentò.

«Gli piacerebbe sentire la storia...» se ne uscì dopo un po' la ragazza, a mo' di scusa.

«Ma certo, ma certo, caro» sorrise contenta la donna al nuovo arrivato, facendogli cenno di sedersi su una delle sedie foderate di tessuto bordeaux. Aspettò che la nipote finisse di fare un breve riassunto di quello che era stato raccontato fino a quel momento e poi continuò con il racconto.

 
***


Berlino, novembre 1940.

«Anna, che ti succede? Non hai mai avuto problemi a suonare Beethoven...» le sussurrò Juliane, arricciandosi i capelli con le dita e avvicinandosi alla ragazza durante un intervallo.

E lì Anna scoppiò. A suo padre non poteva dire di aver conosciuto un ragazzo, fosse un soldato o il figlio del suo amato Hitler in persona; a suo fratello non poteva farne parola perché avrebbe strangolato chiunque avesse osato avvicinarsi alla sua "adorata sorella", anche se poi raramente si parlavano; men che meno poteva dire qualcosa di tutto quello che provava a sua madre, che si aggirava come un'ombra per la casa, che avrebbe ben presto fatto la spia a suo padre o a suo fratello o ad entrambi. E lei come poteva sopportare l'idea di non poter più vedere Wilhelm?

«Ho conosciuto un ragazzo» sussurrò Anna in risposta all'amica, trascinandola in un angolo isolato. «Be', "conosciuto"... Mi ha accompagnata qualche volta verso casa... È un soldato ed è» ma venne interrotta.

«Non dovresti fidarti di loro» si rabbuiò Juliane, che fino a quel momento le aveva sorriso raggiante, felice che l'amica avesse (finalmente, a detta sua) qualcos'altro in mente che non fosse la musica o comunque la scuola.

«E perché no?» chiese Anna, sentendosi morire e vedendo davanti a sé l'immagine del sorriso di Wilhelm Neumann rompersi in mille pezzi.

I lunghi e neri capelli di Juliane, una rarità in Germania, o almeno in quelle parti che Anna aveva visitato con la sua famiglia durante le vacanze estive, coprirono il viso della ragazza, ad un tratto diventato ancora più bianco di quanto già non fosse.

«Jul, stai bene?» chiese Anna, alzando di poco la voce e spostando i capelli dal viso dell'amica. Stava iniziando a preoccuparsi veramente.

«Dicono che sono qui per proteggerci da... loro, ma non è vero. Stai attenta, Anna» la supplicò con lo sguardo.

«Ma di che stai parlando?» la fissò Anna socchiudendo la bocca, leggermente stupita dalle parole della sua tranquilla e riservata migliore amica.

Juliane grugnì qualcosa, abbassando ancora di più il capo e arrivando a sedersi sul pavimento.

«Dai, alzati che ti sporchi tutta la gonna...» cercò di convincerla Anna, sapendo quanto l'amica tenesse ai suoi vestiti. «Juliane, ti prego...» sbuffò, inginocchiandosi davanti a lei. «Se non mi dici che è successo, io... io...». Io cosa? Cosa avrebbe potuto dirle per convincerla a smettere di comportarsi come una bambina? «Sai quanto alla signora Franke – l'infermiera – piaccia fare punture su punture...» fu l'unica cosa che le venne in mente, e che fece sorridere l'amica.

Juliane fissò per qualche secondo gli occhi blu elettrico dell'amica, seduta sul pavimento davanti a lei. «Ok, ma non lo devi dire a nessuno».

«Ho la bocca chiusa» rispose Anna, chiudendo una cernira invisibile posta sopra le sue labbra.

«Nessuno» insistette la ragazza.

«Ho capito, Juliane, non sono ancora diventata sorda» ridacchiò Anna, anche se, dentro di sé, si chiedeva il motivo di tanta segretezza.

«L'altra sera... hai presente che sono dovuta rimanere a scuola, perché la signorina Winkler voleva parlarmi?» chiese.

Anna annuì.

«Stavo tornando a casa, era un po' buio, quando questo soldato» e aggiunse uno "schifoso" e altre parole che non stanno molto bene in bocca ad una ragazza, «è saltato fuori da un vicolo. Era ubriaco, ci scommetto tutto quello che vuoi! E...» prese un respiro profondo prima di continuare. «E mi è saltato addosso» concluse, tornando ad abbassare la testa, arrivando quasi a toccare il collo con il mento.

Anna credeva di aver capito male. Di certo aveva capito male. O aveva capito bene, ma Juliane le stava mentendo. No, no, conosco Juliane da una vita e non è capace di mentire, non a me pensò.

«Anna?» la chiamò l'amica, appoggiandole una mano sul ginocchio.

«Con "saltato addosso", intendi dire che ti è proprio saltato addosso?» fu l'unica cosa che riuscì ad uscire dalle sue labbra, ora tremolanti. Non riusciva ancora a credere a ciò che le aveva detto l'amica. Come poteva...? Doveva forse avere paura anche di Wilhelm? No, è sempre stato così gentile con me, mi porta sempre la borsa dei libri... cercò di cacciare il più lontano possibile l'idea che un ragazzo come Wilhelm Neumann potesse farle qualcosa, farle del mane. Perché semplicemente non poteva.

«Sì» sussurrò Juliane, cercando di non abbassare di nuovo il capo, ma arrossendo come non mai.

I polmoni di Anna rifiutarono tutta l'aria che avevano al loro interno e la sbuffarono fuori. Non disse niente, ma abbracciò tremante l'amica e l'aiutò ad alzarsi quando la campanella della fine della ricreazione suonò.

«Stai attenta, Anna...» le sussurrò Juliane Vogt, avviandosi verso la sua classe di matematica.

«Lo farò» cercò di rispondere lei, ma dalle labbra non le uscì che un filo di voce.

La lezione di storia tedesca passò lentamente, anche se di storia non aveva nulla. Più che altro era un lungo e noioso monologo del professore su quanto le teorie di Hitler fossero giuste e fondate, su quanto quello che facesse fosse giusto e sensato e su quanto quel vecchio rottame che se ne stava davanti a tutti a parlare adorasse Adolf Hitler.

Maledetto nano! pensò Anna a fine lezione, mentre con la memoria tornava a ciò che Juliane le aveva raccontato. Quei soldati erano lì in città solo perché era stato il "maledetto nano" ad ordinarlo.

  

Author's note (old): ok, dopo una "pausa" incredibilmente lunga torno a postare un nuovo capitolo.
Come suggeritomi, ho cercato di ampliare un po' le mie descrizioni, ma non sono pienamente sicura di esserci riuscita xD Sono sempre state un mio callo, che spero di limare presto!
Comunque, che ne dite? Spero a presto con il prossimo capitolo, eheh.
Angela

L'amore ai tempi della guerraWhere stories live. Discover now