- 1 - One Thousand People One Voice

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Prologo

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Prologo

Era come un sogno, dopo tutte quelle ore ad aspettare non mi sembrava vero; la fila chilometrica era terminata, per me, ed era il momento di tirar fuori il biglietto: quel preziosissimo pezzo di carta che mi permetteva di realizzare il mio sogno.
Quale? Vedere la mia band preferita, i Motionless In White dal vivo.

Entrai e subito mi ritrovai immersa nella gente e nell'attesa, il cuore sembrava voler sfondare la gabbia toracica e farasi un giretto, un po' come nel video di "Stray Heart" dei Green Day.
Mi guardai intorno estasiata.
Ero avvolta dal frastuono: urletti delle fan, sbuffi dei ragazzi impazienti, il rumore dei flash delle macchine fotografiche, gli accordi della band dalle quinte.
Era tutto confuso, pieno di gente e di odori che mi stordivano.
Tutte le fan sembravano cadute in vasche di profumo, davvero pensavano che avrebbero conquistato qualcuno della band se fossero imbevute di Prada Candy? Era insopportabile, inoltre c'era qualche fumatore nella folla, il ché rendeva l'aria irrespirabile, ma l'eccitazione copriva tutta l'insalata di odori e rumori rendendola solo un'insulsa parentesi.
Erano solo di sfondo a ciò che aspettavo.
In un primo momento, non fui felicissima che nessuno mi avesse accompagnata, poi però, si riveló vantaggioso per farsi largo tra folla ed avvicinarsi al palco.
Chi lo dice che essere bassi non ha vantaggi?

Il pubblico richiedeva il cantante urlando con ritmo incalzante "CHRIS! CHRIS! CHRIS!" finché le luci non si spensero.
Si levò un boato, come se tutte le voci provenissero da un unico grande essere.
E poi un rombo di chitarra.
Impestò potente la batteria e l'atmosfera venne colorata dalle luci viola.
Senza accorgemene fui ricoperta dai brividi e avevo gli occhi lucidi dall'emozione. Sentivo che il ritmo scuoteva prepotentemente le mie ossa e che la magia stava iniziando.
Entrò in scena il cantante, dal vivo sembrava ancora più alto e sovrastava la platea come una torre scura e magnetica.
«ARE YOU READY, MOTHERFUCKERS?!», urlò al microfono.
Mi sfuggì dalle labbra un urlo fortissimo di approvazione prima che la musica investì il pubblico.

Cantai tutto a squarcia gola, che fossero parole cantate o urlate, che fossero rif di chitarra: io li replicavo a voce tendendo le mani verso il palco, verso il soffitto, verso l'atmosfera pesante per via della nebbia artificiale.
Partecipai ad un mosh pit e ne uscii con un solo taglio al labbro.
Era andata relativamente bene e neanche quella piccola ferita mi impedì di cantare lasciando che la mia voce si perdesse anonima nel coro.
Scuotevo talmente tanto la testa a ritmo che non sentivo più il confine tra il mio capo e l'aria mentre questa veniva sferzata dai miei capelli.

Un'ora e quatantacinque fu un secondo; il live stava per finire, mancava il break down, l'ultima canzone, l'ultimo brivido, gli ultimi minuti di estasi; non sapendo che quello che mi aspettava fuori era anche, tutto sommato "meglio".
Spaventoso ed irreale, non saprei se definire un sogno o un incubo quello che a breve avrebbe segnato tutta la mia vita, cambiando la mediocre neodiciottene che ero in una criminale, una fuggitiva dal volto innocente nascosto da lunghi boccoli castani e occhiali neri.

City LightsWhere stories live. Discover now