13. I only love it when you touch me

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                                                                                                                Capitolo 13:               «I only love it when you touch me»

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                                                                                        Capitolo 13:

           
  «I only love it when you touch me»







Non avevo mai amato dare l'impressione di essere debole ma in quel momento mi sentivo sola, persa nella mia mente. Ero una macchia scura su una parete bianca, una crepa nel vetro. Sentivo che sarebbe bastato davvero poco per cadere in pezzi e l'unica cosa che mi teneva intera erano le braccia di Ezra, unica àncora in un mare in tempesta. Ansia, angoscia e paura si agitavano nel mio corpo come il vento più impetuoso. Il freddo della solitudine, che per anni avevo cercato di tenere lontano ora tendeva di nuovo i suoi tentacoli. Lo sentivo, che strisciava lungo le pareti del mio cuore, come se fosse sempre stato lì, pronto ad afferrarmi e trascinarmi nel suo antro oscuro. Pensavo di essermi lasciata alle spalle tutto quello che riguardava i Campbell ma mi ero sbagliata. Non si poteva fuggire da qualcosa che ti scorre dentro, nelle vene, come un veleno. La mia famiglia era una bugia e l'unica luce, l'unico barlume di felicità era stato mio fratello. Il suo sorriso e la sua allegria mi avevano aiutata a tenere a bada quel maledetto silenzio. Era stato seppur per poco la mia casa, la mia speranza di felicità ma qualcuno me l'aveva portato via troppo presto. Me l'avevano strappato dalle braccia lasciandomi di nuovo sola a combattere quella sensazione opprimente di non essere mai abbastanza per nessuno.

Non so cosa fosse successo e non ricordavo nulla di quelle fotografie, la mia mente era come un computer che si inceppava nel preciso istante in cui volevo accedere a determinati file. Sentivo ancora il dolore, anche se più leggero, che mi pulsava nella testa, le mani ancora strette attorno al busto di Ezra, le sue braccia mi cingevano e mi tenevano ancorata a lui, come se avesse paura che potessi sparire da un momento all'altro. La sensazione di panico mi stringeva ancora lo stomaco in una morsa non più soffocante. Lentamente lo lasciai andare, un leggero senso di imbarazzo mi colorava le guance e mi impediva di guardarlo negli occhi.

«Uccellino?» Mi chiamò.
Avevo troppa vergogna per guardarlo, soprattutto perché gli ero ancora seduta sulle gambe. Feci per alzarmi ma mi trattenne per i fianchi.
Lentamente mi cinse le guance con le sue grandi mani e mi fece alzare lo sguardo su di lui. I pollici si muovevano con lente carezze, portandosi via i residui delle lacrime.
«Non scappare via da me» sussurrò.
«Non...»
Non mi diede il tempo di rispondere perché prese a lasciarmi leggeri baci sulle guance, come se volesse prendere per sé i mei sentimenti.
«Ezra...»
Continuava a tenermi il volto tra le sue mani, le sue labbra erano come farfalle sulla pelle. Gli afferrai i polsi e lo scostai.
«Per favore Ezra, devi ascoltarmi.»
Puntò il suo sguardo artico nel mio, in quelle iridi così chiare da ricordare il ghiaccio non vi lessi ne biasimo ne sfiducia. No, in quegli occhi c'erano scritte tutte le emozioni che in quel momento non sarei mai stata in grado di comprendere.

«Ascolta, io non lo so cosa sono quelle foto. Non ho memoria di quelle visite. Nulla!»
Mi alzai e mi avvicinai all'enorme finestra che dava sul giardino.
Ogni volta che cercavo di afferrare un ricordo che potesse essere collegato ad una di quelle visite, una forte fitta partiva dalla base della testa e arrivava a mettere fuori fuoco la vista.
Un senso di odio prese a stringermi lo stomaco e la gola. Avrei ucciso mio padre se avessi potuto, non era la prima volta che provavo nei suoi confronti un sentimento così profondo di odio e rabbia, avrei dovuto scappare lontana da lui molto tempo prima di quando l'avevo fatto.
Sentii Ezra che si avvicinava fermandosi a pochi passi da me, mi prese per le spalle e mi fece voltare.
«Andremo fino in fondo a questa storia Uccellino, te lo prometto.»
Promesse.
Promesse.
Promesse.
Tutti che promettevano ma nessuno che avesse tenuto fede alle sue fottute promesse.
Più passavano i secondi più il senso di rabbia mi pervadeva. Non ce la facevo più ad aspettare che le risposte mi cadessero dal cielo dritte dritte tra le braccia, era arrivato il momento di esigerle.

Midnight CityWhere stories live. Discover now