4.1 Il passato bussa alla porta

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Ci sono momenti, istanti, secondi... che cambiano la traiettoria del tuo cammino. E tu, l'unica cosa che senti è il ticchettio insopportabile delle lancette che rincorrono velocemente o a fatica i numeri che si susseguono sull'orologio. Un giorno, quattro settimane, sei mesi, un anno. Non è importante. Il ticchettio è inarrestabile. Ci sono giorni segnati sul calendario, con un tratto invisibile che ha la forza di cambiarti il fuso orario. Ti priva della normalità. Un anno, sei mesi, quattro settimane, un giorno. Non è importante. Il tuo fuso orario non coincide più con quello del resto del mondo.

Cercai con tutte le forze di concentrarmi sulla voce del professore, impegnato a tratteggiare sulla lavagna nera, impiastrata di gesso bianco, una linea. Lo struscio della polvere di gesso, frantumato sull'ardesia della lavagna, tratteggiava ciò che in molti definirebbero le colonne del bilancio aziendale. Sul mio di resoconto prendevano posizione solo numeri invisibili di date.

Entrate ed uscite, mormorai a voce bassa.

Un bilancio è fatto di entrate ed uscite monetarie. Se le perdite investono la sfera personale l'unica unità di misura, per me, è riconducibile all'oblio, allo squilibrio interiore.

Quando sei disorientato e non hai punti di riferimento qual è la linea da seguire?

Appoggiai il gomito sopra il banco per reggermi il mento sul palmo della mano. Non avevo dormito dopo l'incidente della sera prima. Il solo pensiero mi creava nausea, ansia, panico. Scrollai la testa per cacciare le immagini. Deglutii, socchiudendo le palpebre come se ciò potesse bastate per trovare un equilibrio interiore.

Ci sono attimi che aprono il sipario sul tuo passato, dove sullo schermo cinematografico cambiano gli attori, ma non il protagonista principale.

Al cambio dell'ora David entrò in aula, dirigendosi verso il banco della prima fila, dove io e Catrin avevamo preso posizione.

«Buongiorno Ade, ti ho portato il caffè» affermò David, poggiandomi il bicchiere sul banco di legno.

«A cosa è dovuto questo buon umore?» domandai, assaporando il liquido denso ed amaro del caffè.

«Ma quale buon umore? Hai visto la faccia che ha?» proruppe Catrin accanto a me.

«Che cosa ha la mia faccia che non va?» chiese preoccupato David, aggiustandosi il ciuffo dei capelli proiettato sullo schermo del cellulare.

«Si chiama hangover» aggiunse incastrando un sorriso tra le fossette.

«Grazie per il caffè». Inclinai leggermente la testa in segno di gratitudine.

«È il minimo che possa fare per renderti sopportabile la giornata che ti aspetta» disse, proiettando lo sguardo verso Catrin.

«Cosa c'è oggi?» chiesi curiosa.

«Hai la cena con i tuoi genitori» aggiunse Catrin con fermezza.

«Cazzo!».

«Perché non vi siete sedute vicino agli altri?» domandò David, slanciando la testa verso i banchi della tribuna in alto, sopra di noi.

«Non tira aria» affermò Catrin, consapevole di quello che era accaduto la sera prima.

Scesa dal taxi, condiviso con Penelope e Carlo ore prima ero tornata verso la mia stanza. Aprendo la porta del dormitorio caddi a terra, inerme di forza per pensare, agire e parlare. Il mio stato creò un senso di allarme in Catrin, costringendomi a raccontarle di come Walter e Tomas si erano aggrediti. A conoscenza del mio passato, Catrin si scusò per essere andata via dal locale con Leonardo senza prima assicurarsi del mio stato. Così, la mattina, entrate in aula decidemmo di sederci il più lontano possibile dagli altri. Appena entrata avevo notato i bozzi violacei sulla faccia di Tomas e una benda bianca avvolta sulla mano destra; accanto a lui Jonathan, Filippo, Miranda ed Elisabet.

«Apriamo le finestre se hai bisogno di più aria» aggiunse David, sicuro di sé stesso nell'aver trovato la soluzione al problema.

Scoppiai a ridere.

Poco dopo, iniziò la lezione di Psicologia dei consumi, con l'entrata in aula del professore Stefano. Cercai di concentrarmi su di esso nel frattempo che David, seduto vicino a me, mi mostrava le foto della sera prima, scorrendo il dito sullo schermo del cellulare ed ingrandendo le fotografie che ritraevano la sua faccia.

«Bene. Vediamo cosa abbiamo qui!» esclamò il professore, appoggiando il palmo della mano sopra il nostro banco.

«Le cuffie Airpods» aggiunse non spostando gli occhi dal foglio che tratteneva tra le mani.

«Sintetica, ma coincisa».

«Una vostra collega afferma di acquistare le Airpods per estraniarsi dal mondo».

«È proprio questo il punto. Acquistiamo prodotti non per il loro utilizzo tangibile, ma per essere partecipi, accedere ad una dimensione...».

Le ore di Psicologia dei Consumi andarono avanti con la lettura dei testi relativi ai bisogni che ci spingevano ad acquistare un prodotto, consegnati nella lezione precedente. Al finire dell'ora mi avviavi verso il dormitorio. La cena con i miei genitori sarebbe stata di lì a poco.

«Grazie per ieri sera» sentii tuonare la voce di Jonathan vicino a me, appoggiandomi il braccio destro sulla spalla.

«Lascia stare, non voglio parlarne» mormorai verso di lui.

«Bene» aggiunse Jonathan.

Mi divincolai dal suo contatto, velocizzando il passo verso il dormitorio.

«Ade, non prendertela. Loro sono fatti così».

«Jonathan, mi hai sentito? Non mi interessa» aggiunsi innervosita dalla sua insistenza.

«Che fai questa sera?» domandò, adattando il suo passo al mio.

«Ho fa fare» tagliali corto.

«Ti va di uscire?» chiese brusco.

Mi fermai in mezzo al viale alberato. «Con te?».

«Sì. Perché no?» chiese titubante.

«Jonathan. Non esco con i ragazzi» affermai.

«Ah, non lo sapevo» disse impacciato.

«Ma che hai capito?» chiesi sorridendo. «Non voglio frequentazioni. A me piacciono i ragazzi».

«Ah, ok. Ho capito. Quando ti va però scrivimi».

«Magari solo come amici» affermai riprendendo a camminare.

«Sono appena stato friendzonato?» domandò corrugando la fronte.

Gli diedi un colpetto sulla spalla, sorridendo.

«Domani allora?».

«Cosa Jonathan?».

«La festa» mormorò.

«Spiegati meglio» lo incentivai.

«Quella che devi organizzare, Ade» continuò lui.

Mi ero completamente dimenticata di quello stupido gioco della catenina.

«Sai che ti dico? Organizzala tu, poi mi mandi il costo e ti faccio un bonifico» affermai spazientita.

«Come vuoi». Sentii la sua voce da dietro alle mie spalle.

Mi mancava troppo riprendere questa storia, dopo il periodo di fermo

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Mi mancava troppo riprendere questa storia, dopo il periodo di fermo. 

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⏰ Last updated: Feb 23 ⏰

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