3.3 Mi ricordo solo due occhi azzurri (T)

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5 ore prima

«Non mi apri la portiera?» domandò Elisabet, una volta arrivati al parcheggio del Delirious.

Inclinai la testa verso il suo corpo snello, adagiato sul sedile. Alzai di scatto il mento verso la portiera. «Scendi!». Ordinai.

«Hai dimenticato le buone maniere, Tomas» sibilò, aprendo di scatto la portiera.

Gettò un'occhiata furibonda sul mio viso, prima di puntare il tacco a spillo sull'asfalto.

Catturai un ricordo fugace non appena incrociai il mio sguardo nello specchietto retrovisore; un momento di felicità istantanea, l'ultimo di cui avevo memoria nel parcheggio del Delirious.

Trasalii al richiamo di Elisabet. «Andiamo, Tom! Ho sete!».

Roteai gli occhi all'insù, pentendomi per l'ennesima volta di averla portata con me.

Ci incamminammo lungo le transenne del locale. Notai il mio nome, affiancato da quelli degli altri DJ, sul grande cartello colorato, all'entrata del Delirious.

Una ragazza con addosso un paio di jeans attillati e una t-shirt nera con il nome della discoteca ci venne incontro. «Ciao, tu devi essere Tommaso».

Elisabet, con passo felino, scattò in avanti, non lasciandomi professare parola. «Elisabet! Vorrei un drink».

«Certo, vi accompagno al vostro tavolo», sibilò la ragazza.

Lungo le scale che portavano al secondo piano del locale, dedicato al ristorante, il fondoschiena di Elisabet catturò la mia attenzione, muovendosi lentamente. Deglutii amaro, conscio delle sue strategie per ammaliarmi.

Le ore passarono tra una portata e l'altra. Elisabet, seduta dall'altro lato del tavolo, continuò a dare sfogo ai suoi pensieri a voce alta. Tra un boccone e un sorso di champagne, la sua bocca continuava a farfugliare parole. Mi limitai ad annuire, a dire sì e no ogniqualvolta sollecitava una mia reazione. Mi soffermai per un istante su di lei, quando prese il ghiaccio tra le dita. Lo succhiò avidamente, facendolo scivolare all'interno delle labbra.

Va bene, forse la notte la passo con te, pensai, osservando la sua lingua leccarsi il labbro inferiore, afferrarlo tra i denti, per poi lasciarselo scivolare in basso.

«Hei, Tommaso». Mi voltai non appena sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla. Incrociai gli occhi di uno dei ragazzi che organizzava le serate del locale.

«Come stai? È da una vita che non ti vedo. Sei tornato in patria», aggiunse il ragazzo.

«Per forza, è iniziata l'università», affrettai a pronunciarmi.

«Ti ho seguito sui social. Hai fatto molta strada con la musica», esultò euforico.

«Vieni di là, ci sono tutti!», esclamò sbrigativo.

«Vuoi venire?», domandai a Elisabet.

«Ovvio, non vorrai mica lasciarmi sola», affermò, alzando il tovagliolo bianco da sopra le gambe, posandolo sul tavolo di vetro lucente.

«Non ti avrei chiesto di uscire se avessi avuto intenzione di lasciarti sola», continuai divertito dalla sua presa di posizione.

«Passo a incipriarmi e ti raggiungo». Elisabet ondulò il corpo verso la toilette fino a scomparire.

Avvicinandomi all'area riservata allo staff, lungo l'immenso corridoio spoglio, decorato con luci e specchi incastonati tra muri lisci, contornati da strisce di luci colorate, udii il frastuono delle voci. Varcata la porta di ingresso, una figura maschile mi spalleggiò urlando euforicamente il mio nome, qualcun altro mi abbracciò.

ADDERALLWhere stories live. Discover now